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«IL CANTAUTORE - Luigi Calivà» la recensione di Rockol

Luigi Calivà - IL CANTAUTORE - la recensione

Recensione del 11 set 2012 a cura di Franco Zanetti

(Caosfera, 138 pagine, 14 euro)

Voto 4/10

La recensione

"Riferimenti a persone o fatti realmente accaduti sono da considerarsi casuali e non voluti”. Sì, figuriamoci. Luigi Calivà, uno che bazzica l'industria della musica più di trent'anni, scrive un romanzo che nel mondo dell'industria musicale è ambientato, e i “riferimenti” che ci mette “sono casuali e non voluti”. Vabbé, è una formula standard, utile anche per evitare qualche grana, ma mai come in questo caso suona appiccicata e non credibile. Ovvio che se Calivà scrive un libro intitolato “Il cantautore” ci metta dentro quello che sa e quello che ha visto succedere, e ovvio che nei protagonisti del suo romanzo adombri uno o più personaggi che ha incontrato, conosciuto e frequentato. Alcuni sono trasparenti, non è difficile dar loro un nome e un cognome diverso da quello di fantasia (“un avvocato di quelli che se deve fare una causa è facile che scopra di essere il difensore di tutte e due le parti”?) che a volte non è nemmeno molto diverso da quello reale (un vincitore di talent show che si chiama Marco Moroni?) o è proprio quello reale (un promoter con i baffi e la mosca sul mento che si chiama Michele?). Altri sono collage, Frankenstein di più di un dirigente discografico, di più di un impresario, di più di una funzionaria televisiva. Il problema, per chi – come me – analogamente a Calivà bazzica l'ambiente da più di trent'anni, sta nel cercare di leggere il romanzo cercando di non distrarsi giocando al giochino del riconoscimento. Ma è praticamente impossibile. Come è praticamente impossibile non spazientirsi quando l'autore è costretto a dettagliare e a spiegare, nei dialoghi, particolari che nella conversazione fra due addetti ai lavori non verrebbero mai puntualizzati; perché, appunto, certe nozioni appartengono alla competenza e all'esperienza, e non richiedono certo di essere ribadite (in un paio di occasioni Calivà le mette in nota a piè di pagina, a beneficio del lettore inesperto, ma è una soluzione artificiosa).

E così rimani, finita la storia, un pochino insoddisfatto: già che c'era, Calivà avrebbe potuto usare nomi e cognomi veri (come fa per Fiorella Mannoia, sommergendola di complimenti - e se lo poteva risparmiare), oppure – al contrario – sforzarsi di rendere decisamente non riconoscibili i suoi personaggi. Ha scelto una via di mezzo, ed è per questo che il suo libro resta a metà del guado: un po' documentario, un po' fiction, si chiude con un finale troppo precipitoso e troppo sbrigativo (oltre che ampiamente prevedibile): un peccato di gioventù, professionale s'intende, per un romanziere debuttante, ma anche – è una vecchia storia – l'indizio dell'assenza di un editor avveduto. La prossima volta bisognerà provvedere.
(Franco Zanetti)

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