Olly: un live all’Ippodromo di San Siro “alla Vasco”

Non è certo un caso che Vasco Rossi abbia letteralmente cambiato la vita e il modo di approcciarsi alla musica di Olly. Il cantautore genovese classe 2001, partito dalle battle di freestyle, passato per le curve dell’r&b e poi per quelle della musica elettronica, insieme a Juli, il produttore-mago con cui lavora sui suoi dischi, ha iniziato a scrivere sempre più ballatone pop, con l’impianto di veri e propri inni da gradinata, dopo essere stato a un concerto del Komandante. È durante una di quelle gigantesche messe laiche che l’ultimo vincitore del Festival di Sanremo con “Balorda nostalgia” ha compreso, nel profondo, il valore aggregativo e collettivo della musica. E ha trovato, lavorando sulla sua identità autorale, la magia nella semplicità: le canzoni vanno cantate, vanno scritte per essere cantate. Insieme.
La sua prima "Grande festa" andata in scena all’Ippodromo di Milano davanti a oltre 30mila persone, primo di due appuntamenti, ambedue sold out, per un totale di quasi 70mila paganti, è “alla Vasco”, con tutte le debite proporzioni, sulle orme di uno dei suoi maestri: un mare di voci, pezzi cantati letteralmente a squarciagola, abbracci, momenti di unione e condivisione, ritualità consolidate. E il destino vuole che il suo primo stadio, a Genova il 18 giugno 2026, annunciato prima di intonare “Meno male che c’è il mare”, sia curiosamente legato alla storia del rocker: fu Vasco nel 2004 l’ultimo a salire sul palco dello stadio del capoluogo ligure. Da quel momento in poi, a causa delle difficoltà economiche e strutturali dell’impianto, il vuoto. Il passaggio di testimone, ventidue anni dopo, con l’obiettivo di riaccendere la Città della Lanterna, passa a Olly, che a quella terra natia è indissolubilmente legato. Quella “signora al quarto piano che fuma e stende il bucato”, immortalata in “Balorda nostalgia”, per esempio, Olly se l’è proprio immaginata in piazza delle Erbe, nel cuore dei caruggi.
Quello che colpisce del suo primo Ippodromo è ancora una volta il rapporto simbiotico con i suoi fan, fatto di “non detti”, ma anche di teatrini: il ragazzone ex rugbista gioca con le parole, con lo sguardo, con il corpo, proprio come il Blasco. Dietro il suo successo, piaccia o no, non ci sono segreti. Olly, occhiali da sole e giacca cowboy “muccata”, è quello che scrive e canta, non ha un personaggio da interpretare. Il cantautore genovese fa parte di una nuova schiera di artisti, giovanissimi, magari cresciuti con il rap come nel suo caso, ma che ha deciso di trovare una propria e precisa strada attraverso la scrittura di brani dal taglio generazionale che al centro mettono sentimenti, amori, racconti di vita, storie di ragazze e ragazzi. È Vasco, ancora una volta, a spuntare: proprio all’inizio i versi di “Albachiara” risuonano nel buio e al termine del brano il pubblico viene proiettato letteralmente dentro una “festa”. Pezzi come “A squarciagola”, “Quei ricordi là”, “Bianca”, “La lavatrice si è rotta”, “Scarabocchi”, “Devastante”, “I cantieri del Giappone”, o “Meno male che c’è il mare”, con all’interno un tributo a “Il pescatore” di Fabrizio De André, sono sinceri, scritti bene, si cantano come se fossero cori da stadio per l’appunto, delineano un mondo lontano dalla narrazione del rap e anche da molta frivolezza di un pop che spesso non racconta alcunché.
Tra i pezzi più belli della sua discografia c’è “Paranoie”, un vecchio singolo strano e dark in cui Olly sputa fuori i suoi fantasmi. E non mancano gli ospiti: “Ho voglia di te” in duetto con Emma, e “Sopra la stessa barca” con Enrico Nigiotti. Ad accompagnarlo sul palco, oltre a Juli alla chitarra, ci sono Pierfrancesco Pasini (tastiere e chitarra), Dalila Murano (batteria) e Gas Gas (sax). La band si arricchisce con la presenza di Rufio (chitarra elettrica), Stefan (violino/tastiere) e Nazza (basso). Il live è suonatissimo con lunghe parti strumentali. Il suono risulta fresco e allo stesso tempo classico, e anche questo aspetto fotografa bene chi sia oggi Olly, che non si risparmia mai dal punto di vista interpretativo. Dentro alcune canzoni, come nella recente “Depresso fortunato”, un canto quasi da osteria, ci sono schegge di esistenzialismo in salsa Gen Z, anche per questo si crea una colla tra lui e chi lo segue. Un processo di identificazione nelle parole, e di affetto quasi religioso da parte di chi le ascolta, che ricorda un altro artista generazionale, Ultimo.
In nome di tutto questo, della sua “gente”, Olly dopo la vittoria a Sanremo rinunciò all'Eurovision, dando priorità al già programmato tour nei club e all’annuncio di questi due raduni all’Ippodromo. Anche per questo motivo le due “Grandi feste” sono letteralmente due sfoghi liberatori, due modi per sentire addosso, sulle pelle, che le scelte più difficili, alla fine, sono quelle che fanno davvero crescere. Guardando quello che sta raccogliendo, tra classifiche e certificazioni, e soprattutto osservando il calore di quella sua gente, con 300.000 biglietti venduti tra il 2025 e il già programmato 2026, chi ha il coraggio, oggi, di dirgli “hai sbagliato”?.
Scaletta:
È festa
L’anima balla
Polvere
Quei ricordi là
Bianca
Una vita
Un’altra volta
Paranoie
A noi non serve far l’amore
Ho voglia di te
La lavatrice si è rotta
A squarciagola
Set acustico (Quando piove / Hai fatto bene / Ho un amico / L’amore va / Sopra la stessa barca / Per due come noi)
Depresso fortunato
Scarabocchi
Fammi morire
Noi che
Questa domenica
I cantieri del Giappone
Balorda nostalgia
Il campione
Devastante
Menomale che c’è il mare