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«IL FESTIVAL DI SANREMO - Serena Facci e Paolo Soddu» la recensione di Rockol

Serena Facci e Paolo Soddu - IL FESTIVAL DI SANREMO - la recensione

Recensione del 23 mar 2011 a cura di Franco Zanetti

Carocci, 422 pagine, 29 euro

La recensione

La buona (credo) abitudine di recensire i libri dopo averli letti per intero fa sì che a volte, come in questo caso, non si riesca a tenere il passo con l’attualità. Ho acquistato questo libro durante la settimana del Festival di Sanremo, e capirete che per leggerlo interamente – 422 pagine! - qualche giorno sia stato necessario; soprattutto in un caso come questo, in cui le ambizioni dell’opera sono abbastanza “alte”, ed evidenziate da un sottotitolo come “Parole e suoni raccontano la nazione”. I due autori sono una docente di etnomusicologia (Serena Facci) e uno studioso di storia contemporanea (Paolo Soddu): il che è, al tempo stesso, un pregio e un limite.

Il pregio è che sembra ormai avviata, e in via di consolidamento, una tendenza che finalmente riconosce alla canzone popolare (o “pop”, o "popular", o commerciale, a seconda di come vogliate definirla) un’importanza e un’influenza significativa sull’evoluzione della società; siamo ancora lontani dal momento in cui alla musica leggera verrà concessa un’attenzione (anche accademica) pari a quella del cinema, ma mi pare che siamo sulla strada giusta. Il limite è che quando autori avvezzi a trattare materie “alte” si misurano con la canzonetta, da una parte lo fanno con un atteggiamento un po’ condiscendente, dall’altra parte non sembrano essere attenti quanto dovrebbero ai dettagli e alla precisione storica.
Ho avuto il sospetto che così fosse anche in questo caso fin dalle prime battute del libro, quando – a pagina 25 – si scrive che “Il tamburo della banda d’Affori” usa il dialetto milanese (mentre la versione originaria della canzone è in italiano, e il testo in dialetto milanese ne è una sorta di traduzione). Poi me ne sono un po’ dimenticato, finché, da pagina 193 in avanti, mi sono imbattuto in una serie di imprecisioni e inesattezze certo non drammatiche, ma ugualmente fastidiose per chi, come me, della storia della canzonetta italiana ha fatto un impegno serio.

Esempi? A pagina 193: “A me mi piace vivere alla grande” di Franco Fanigliulo diventa “Io voglio vivere alla grande”. A pagina 197: “L’uomo che si gioca il cielo a dadi” di Roberto Vecchioni diventa “L’uomo che si giocava il mondo a dadi”. A pagina 202, il compagno di vita e coautore di Donatella Rettore, Claudio Rego, viene ribattezzato Antonio (fatte le debite proporzioni, è come se Nino Bixio venisse ribattezzato Filippo: i cultori di storia garibaldina insorgerebbero). Pagina 211: “Una notte che vola via” di Zucchero diventa “Una notte che vola”. Pagina 212: i Kraftwerk diventano Kraftwert, “My Sharona” degli Knack diventa “My Shalona”. Pagina 225: “(Riccardo Fogli) Già voce dei Pooh, era stato marito di Patty Pravo prima e di Viola Valentino poi”: in realtà, Fogli aveva sposato Viola Valentino (Virginia Minnetti) nel 1972, mentre la sua storia con Patty Pravo – ci fu anche una sorta di matrimonio all’estero, in Scozia – è datata 1974. Pagina 230, una citazione del testo di “Vita spericolata” cambia le parole e il significato di una frase: “voglio una vita che non è mai tardi, di quelle che non dormi mai” diventa “voglio una vita che non è mai tardi / di quelle che non dormono mai” (sbagliato anche metricamente). Pagina 236: il maestro GianMaria Berlendis diventa Barlendis. Pagina 242: “Saint Tropez Twist” di Peppino Di Capri diventa “A Saint Tropez Twist”. Pagina 251: “Signor Tenente” di Giorgio Faletti diventa “Minchia signor tenente”. Pagina 259: Luigi Schiavone, il chitarrista e coautore di Enrico Ruggeri, diventa Schiavoni. Pagina 274: Massimo Varini diventa Varinia. Pagina 301: Gianni Muciaccia diventa Mucciaccia. Pagina 314: “Nel 2006 è sorta inoltre un’ ‘accademia’ denominata SanremoLab”: in realtà la storia è diversa, l’Accademia esisteva dal 1997, venne chiusa nel 2002 e rinacque nel 2004 con il nome di SanremoLab. Pagina 327: l’ “edonismo reaganiano” di Roberto D’Agostino si tramuta in “ottimismo reaganiano”. Per non parlare di Loredana Berté sistematicamente trasformata in Bertè, e di Max Gazzé sistematicamente trasformato in Gazzè...

Quisquilie, pinzillacchere, direbbero magari gli autori se capitasse loro di leggere questo puntiglioso elenco. Ma risponderei che, se in un libro di storia incontrassero tante e tali imprecisioni ed errori, il loro giudizio sulla validità del lavoro ne risulterebbe condizionato.
In realtà, il volume – dal costo non esiguo - è interessante e ben strutturato, ricco di citazioni puntuali: mi hanno particolarmente divertito alcuni giudizi sul Festival, qui riportati, di Roberto Vecchioni, che danno da pensare soprattutto alla luce del ritorno vincente del cantautore al Festival di Sanremo. Per esempio: “Il gioco è quello che è, inutile, assurdo, scriteriato, libidico, non sto qui a giudicarlo, fa parte di un mondo che ho lasciato da tanto tempo” (29 gennaio 1978); “Sanremo è privo di valenze popolari ma anche di senso populista” (5 febbraio 1983). “Come passa il tempo”, commenterei citando la canzone che partecipò a Sanremo nel 1993 (Maurizio Vandelli, Dik Dik, Camaleonti)... (Franco Zanetti)

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