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«SOUND TRACKS. TRACCE, CONVERGENZE E SCENARI DEGLI STUDI MUSICALI - Francesco Damato (a cura di)» la recensione di Rockol

Francesco Damato (a cura di) - SOUND TRACKS. TRACCE, CONVERGENZE E SCENARI DEGLI STUDI MUSICALI - la recensione

Recensione del 13 mar 2002

Meltemi, Pagg. 192, € 15.50

La recensione

In una delle passate recensioni di libri (quella di “The look” di Paul Gorman) si citavano per inciso gli studi accademici sulla musica: spesso un po’ astrusi, scritti con una buona serie di “supercazzole” incomprensibili, ma altrettanto spesso interessanti.

Se volete farvi un’idea di come l’accademia si è occupata di quella che solitamente viene definita “Popular music” (etichetta che comprende molti sottogeneri diversi, non solo il pop e il rock, ma comunque distinti da jazz e musica “colta”, classica e contemporanea), questo “Sound tracks” fa per voi. Non solo perché è la pubblicazione più recente di un filone di studi molto affermato all’estero (soprattutto in Inghilterra) ma poco seguito nel nostro paese. Soprattutto perché, pur essendo derivato dagli atti di un convegno svoltasi a Roma qualche tempo fa, è una buona raccolta di saggi che mette assieme alcuni degli studiosi più affermati.
Su tutti Simon Frith, che alla fine degli anni ’70 pubblicò una insuperata “Sociologia del rock” e che in seguito ha scritto molte altre cose assolutamente degne di nota (come "Il rock è finito", raccolta di saggi pubblicata anche in Italia alla fine degli anni '80 dalla torinese EDT). Il sociologo scozzese (che, per la cronaca, è fratello del chitarrista d’avanguardia Fred Frith) firma le note introduttive, sintetiche e brillanti, riassumendo alcuni dei problemi chiave della questione: come e perché parlare di musica, con che approccio. Molto bello anche il saggio di Franco Fabbri (musicologo con passato da musicista rock -al tempo fece parte del gruppo degli Stormy Six), che si preoccupa di esaminare un’altra questione chiave, quella della definizione dei generi musicali (una questione che chi scrive di musica conosce, anche se per lo più superficialmente, viste le continue “etichettature” di vari gruppi come appartenenti a un filone piuttosto che ad un altro). Interessante anche il saggio del curatore, Francesco d’Amato, che riassume i diversi modi con cui semiotica e sociologia si sono occupati della musica “popular”, anche se con tono inevitabilmente molto accademico (e quindi difficilmente comprensibile a chi ha voglia di una lettura leggera o non deve studiare a fondo l’argomento, magari per una tesi di laurea).

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