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Nick Hornby - HOW TO BE GOOD - la recensione

Recensione del 12 giu 2001

Viking, 256 pagg, 16 sterline.

La recensione

Il pubblico di lettori musicali conosce il nome di Nick Hornby per quel capolavoro di sarcasmo sulle derive della passione per il pop che è “Alta fedeltà”. (Chi ancora non lo conoscesse –o avesse visto soltanto il pur pregevole film – è pregato di non indugiare oltre su queste righe, ma di andare immediatamente in libreria, comprare il libro in questione e impiegare le prossime ore libere nella lettura dello stesso. Ne va della vostra autocoscienza musicale, ve lo assicuriamo). Un piccolo capolavoro a cui è seguito ormai quasi tre anni fa “Un ragazzo”, altra storia generazionale che prendeva spunto da una canzone dei Nirvana e si svolgeva sullo sfondo del suicidio di Kurt Cobain.

Spinti dalla curiosità, musicale e non, siamo quindi andati a procurarci e leggerci “How to be good”, nuovo romanzo dello scrittore, da poco uscito nella natia Inghilterra e previsto la pubblicazione italiana per i tipi della Guanda in settembre. E dobbiamo spingerci ad un doppio tipo di considerazioni. Quelle proprie dell’appassionato di musica alla ricerca di un romanzo costruito sullo sfondo di elementi di cultura pop, come le precedenti due opere dell’autore. E quelle riguardanti l’evoluzione stilistica dell’autore stesso.
Il titolo, che in italiano verrà tradotto con “Come diventare buoni” tradisce solo in parte l’intenzione dell’autore: trattasi della storia di Katie Carr, medico della mutua in crisi; ha dedicato la sua vita a cercare di aiutare la gente ed è sposata con un uomo che fa della rabbia verso gli altri la sua ragione d’essere, scrivendo velenosi articoli su un quotidiano londinese. Improvvisamente i suoi valori si capovolgono ed inizia una dolorosa e autoironica opera di autoanalisi: tradisce il suo sposo che, contemporaneamente, conosce uno pseudo-guru e dedica la sua vita a cercare di aiutare gli altri, eccedendo in azioni che un agiato borghese non concepirebbe mai: regalare i giocattoli dei propri figli a bambini poveri (senza chiedere il permesso…), accogliere senza tetto nella propria casa e cercare di persuadere i propri vicini a fare altrettanto.

Come avrete capito da queste breve sinossi, l’interesse musicale è limitato: Hornby, che è cresciuto a pane e pop, limita ulteriormente lo spazio della musica, ridotto a qualche citazione sparsa qua e là. Uno spazio che in “Un ragazzo” era già esiguo, ma comunque fondamentale perché sosteneva l’intreccio. In “How to be good” la musica è ancora un elemento distintivo, questa volta dei quarantenni protagonisti del romanzo, ma non è più una componente determinante.
Questo non deve suonare come una dissuasione dalla lettura di questo libro. Certo, statene alla larga se cercate una storia in cui identificarvi totalmente, a meno che non siate sposati, e in crisi. “How to be good” è una storia “morale” di quelle cadute in disuso nel romanzo contemporaneo, raccontata con l’(auto)ironia tipica dello stile di Hornby. Che scegliendo un tema del genere, e scegliendo di raccontarlo da un punto di vista femminile, ha scelto anche di rischiare. Dimostrando, però, di essere l’autore simbolo di una generazione. E questo perché è in grado di raccontare non solo le manie degli appassionati di musica, ma anche altri temi come questo, contemporaneamente più particolari e più universali.

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