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«LITTLE OBLIVIONS - Julien Baker» la recensione di Rockol

Julien Baker, storie di vizi e di virtù in "Little Oblivions"

Nel suo nuovo album la cantautrice di Memphis prova a fare chiarezza sul proprio vissuto, cercando di trovare un personale equilibrio tra fede e sessualità

Recensione del 13 mar 2021 a cura di Marco Di Milia

Voto 8/10

La recensione

Ce n’è a sufficienza per una vita intera nei 25 anni di Julien Baker. La cantautrice del Tennessee non ha mai smesso di fare i conti con i fantasmi che sembrano accompagnarla da sempre. Fin dall’esordio con “Sprained Angle” del 2015, il successivo “Turn Out The Lights” e l’esperienza con le colleghe Phoebe Bridgers e Lucy Dacus nel progetto a tre Boygenius, la giovane artista ha dato voce a una sensibilità piuttosto livida, che ora, nel nuovo “Little Oblivion” porta ancora una volta allo scoperto, per aprire spiragli a una malinconica redenzione.

Mille crepuscoli esistenziali

In dodici tracce, Julien sparge tutta l’irrequietezza dei suoi sentimenti coi saliscendi emotivi di un folk rock decisamente catartico. Se però nelle sue precedenti uscite la musicista dava sostegno alle sue parole con il solo contributo di acustica e pianoforte, questa volta la struttura dei brani si fa stratificata da batteria, basso, mandolino, banjo e anche sintetizzatori mai davvero invadenti. Suonando e registrando in piena autonomia, ma con l’essenza di una vera e propria band, la Baker - con il contributo in fase di missaggio di Craig Silvey, già in cabina di regia con i The National - nel suo terzo album riparte dal racconto di sé e dei suoi mille crepuscoli esistenziali. Passata dalle difficoltà di un’educazione religiosa alquanto rigida nel Sud degli States a un complicato coming out in famiglia fino al rapporto troppo stretto con la bottiglia, la ragazza con la chitarra mette in mostra tutto il suo malsano candore in un lavoro crudo e intenso, senza risparmiarsi di mostrare le cicatrici guadagnate lungo il percorso. “Riesco a vedermi nei tuoi occhi iniettati di sangue” intona in modo quasi romantico in “Bloodshot” mentre rievoca il fantasma di Elliott Smith sospesa tra riflessione e un disperato bisogno di concretezza.

C’è il disordine affettivo e il bisogno di farsi coraggio, nonostante tutto, lungo le storie vulnerabili di “Little Oblivions”. Un’irruenza sempre sul punto di rottura, che Julien combina in aperture melodiche e umori cupi, fin dell’iniziale “Hardline”, con una poetica fitta di ombre troppo intricate da dipanare. Eppure, negli struggimenti infiniti di “Favor”, intonata insieme alle altre Boygenius, o negli slanci tragici di “Ringside”, gli opposti che si rincorrono nelle vicende della musicista di Memphis paiono finalmente riuscire a bilanciarsi. I testi si fanno così duri e violenti, quasi in contrasto con le suggestioni più estatiche degli arrangiamenti, affollandosi di immagini cupe e mortifere, come di barelle, ospedali, dipendenze tossiche, sbronze colossali, cinture cui affidare la propria vita e la necessità di darsi un motivo per continuare ad andare avanti respingendo il silenzio assordante di una quotidianità spesso terribile da accettare.

Canzoni di fede e di dipendenze 

Emerge quindi un’intimità perennemente in affanno in ballate delicate e dolenti come “Relative fiction”, “Crying wolf” o “Highlight reel”, per mettere a cuore aperto le tante occasioni di salvezza, perdita, conquista e ricaduta sperimentate in prima persona da una cantautrice dall’anima sensibile e problematica. In quei vizi forse liberatori di cui si riempiono le liriche di “Faith healer” si trasmettono in questo modo inquietudini impossibili da mandare giù che pungolano di sussulti e stilettate l’intero tracciato di “Little Oblivions” e che, tanto in “Song in E” quanto nella conclusiva “Ziptie”, riescono a farsi strada con disarmante trasparenza.

Un'irresistibile vulnerabilità

Tenendo quindi in un equilibrio tenacia e tenerezza, Julien Baker si fa perciò carico in un disco insieme affascinante e pieno di tormenti di quelle circostanze mai del tutto risolte del proprio vissuto per conciliare il suo cristianesimo e la sua sessualità, facendo della fragilità l’arma imprescindibile per venirne a capo. Per darsi risposte ci sarà ancora tempo.

Tracklist

01. Hardline (03:51)
02. Heatwave (02:44)
03. Faith Healer (02:54)
04. Relative Fiction (04:19)
05. Crying Wolf (03:29)
06. Bloodshot (03:47)
07. Ringside (04:00)
08. Favor (04:38)
09. Song in E (02:44)
10. Repeat (02:55)
11. Highlight Reel (03:36)
12. Ziptie (03:42)

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