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«GOD OF ANGELS TRUST - Volbeat» la recensione di Rockol

Riff e ritornelli da radio: i Volbeat confermano la loro identità

Con "God of angels trust", i Volbeat ripercorrono la formula tra metal, rock e melodia

Recensione del 19 giu 2025 a cura di Elena Palmieri

Voto 7/10

La recensione

A distanza di quattro anni da "Servant of the mind", con il singolo "Wait a minute my girl" pensato apposta per le radio e rimanere in testa, i Volbeat tornano con il nuovo album "God of angels trust". Con questo nuovo lavoro di studio, che ripropone un suono più diretto e compatto, dopo gli esperimenti più leggeri dei recenti progetti, la band danese riscopre la propria espressione e riprende il filo del metal contaminato con rock’n’roll, groove e punk rock. Per dieci brani e un totale di 44 minuti di musica, il disco si muove tra riferimenti classici e struttura radiofonica, ma con un’energia più controllata e una scrittura più focalizzata, che permette al gruppo di rifinire la propria identità invece che stravolgerla.

La voce di Michael Poulsen resta il perno del progetto. Le sue linee vocali mescolano una serie di riferimenti che vanno da Elvis Presley e persino Johnny Cash, citando James Hetfield, evocandoli addirittura tutti e tre insieme in "In the barn of the goat giving birth to Satan’s spawn in a dying world of doom". I riff di Flemming Lund riportano tensione e impatto: “By a monster’s hand” e “Demonic depression” spingono su territori quasi thrash. Il primo brano citato, condiviso anche come singolo apripista, rappresenta un po' la sintesi dello spirito di questo nuovo album. I testi giocano tra profondità e riflessione, anche se a livello musicale potrebbe sembrare che si abbracci spesso la frenesia, intrecciando storie di serial killer ("And in the night, he's dancing with the dead / Wearing the body parts on a string / High on emotion, it goes with his dress / And it goes on and on and on / On and on and on", recita il ritornello di “By a monster’s hand”) e incontri paranormali con temi molto più intimi. "Those lonely fields in the night / Father, I walk with you / Those lonely fields in the night / Father, I walk with you", canta Poulsen in "Lonely fields", uno dei brani con maggiore intensità emotiva, in cui il frontman della band ricorda e omaggia il padre.

In assenza di Lund, “Acid rain” e “Lonely fields” rallentano con costruzioni più melodiche e malinconiche per mano di Kaspar Boye Larsen e Martin Pagaard Wolff. Diversamente, "Time will heal” sfrutta una dinamica leggera ma resta agganciata al formato arena rock. Con "God of angels trust" i Volbeat si mantengono quindi in equilibrio tra il proprio passato metal un presente più commerciale. Il lavoro sulla forma è evidente. La band mantiene i propri punti fermi — strofe orecchiabili, ritornelli ampi, assoli brevi — ma varia suoni e registri per evitare l'effetto ripetizione. Le chitarre passano da saturazioni metal a fraseggi rockabilly, la sezione ritmica adatta il passo senza perdere coesione. L’equilibrio tra potenza e accessibilità funziona, seppur senza momenti di debolezza come sul finale di "At the end of the sirens".

"God of angels trust" non cambia le regole del gioco, ma consolida il linguaggio dei Volbeat. Nessuna svolta, ma un ulteriore passo dentro una discografia già riconoscibile. I fan trovano ciò che cercano, chi è rimasto indifferente in passato difficilmente cambierà idea. È da riconoscere alla band di aver fatto un nuovo disco costruito con mestiere e consapevolezza, che conferma la sua identità e capacità di scrivere canzoni pensate per il palco prima che per lo studio.

Tracklist

01. Devils are Awake (04:54)
02. By a Monster’s Hand (03:42)
03. Acid Rain (04:44)
04. Demonic Depression (03:58)
05. In the Barn of the Goat Giving Birth to Satan’s Spawn in a Dying World of Doom (04:18)
06. Time Will Heal (04:45)
07. Better Be Fueled than Tamed (04:01)
08. At the End of the Sirens (05:14)
09. Lonely Fields (04:52)
10. Enlighten the Disorder (By a Monster’s Hand Part 2) (03:42)
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