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«THE PAINFUL TRUTH - Skunk Anansie» la recensione di Rockol

"The painful truth" è il nuovo inizio degli Skunk Anansie

La recensione dell'album che segna il ritorno dei pionieri del clit-rock britannico, per citare Skin

Recensione del 28 mag 2025 a cura di Lucia Mora

Voto 7.5/10

La recensione

Quando sforni un disco a nove anni di distanza dall’ultimo, hai due possibilità: un ritorno in grande stile, cavalcando e rimarcando la cifra stilistica con cui hai conquistato il cuore di migliaia di fan, o una tabula rasa che si lascia alle spalle il passato verso un nuovo inizio. Con “The Painful Truth” gli Skunk Anansie scelgono la seconda via.

Dai gloriosi tempi di "Post Orgasmic Chill" e del Festival di Glastonbury, cioè dal 1999, sembra passata una vita, e in effetti un po’ è così. In questi 26 anni è cambiato il mondo, è cambiata la musica, sono sicuramente cambiati anche Skin, Ace, Cass Lewis e Mark Richardson. Già nel 2001 avevano avvertito la necessità di una pausa, per poi inaugurare il secondo capitolo della carriera nel 2008; di lì a poco sarebbero arrivati “Wonderlustre” (2010), “Black Traffic” (2012) e “Anarchytecture” (2016). Il terzo capitolo della loro storia si apre invece dopo il periodo più travagliato e sofferto della band londinese, capace di ritrovarsi nel momento peggiore: lo scenario post pandemico, segnato oltretutto dall’addio del manager di lunga data e dal tumore che sia Lewis sia Richardson devono affrontare.

Non appena il COVID-19 lo ha concesso, i pionieri del clit-rock britannico - sì, "clit-rock", dove clit sta per "clitoris": il copyright è di Skin, che ha definito così il genere del gruppo, un mix di femminismo e rock - si sono riuniti in una fattoria nel Devon per ritrovare la dimensione più intima del gruppo. Dai giorni trascorsi insieme sono nati confronti, dai confronti sono nati sentimenti che a loro volta hanno preso la forma di canzoni, quelle contenute in “The Painful Truth”. Lo spirito collettivo del lavoro si evince dall’assoluto equilibrio che lo caratterizza: non c’è una voce che prevarica sulle altre. Niente riff di chitarra pesanti, niente batteria martellante, niente magniloquenza nu-metal. Lo si deve anche allo zampino del produttore Dave Sitek (Yeah Yeah Yeahs, Weezer e Beyoncé, tra gli altri), autore di un suono post-punk più incline all'elettro.

La loro prima uscita con la neonata FLG Records è un piccolo terremoto all’interno di una band che, in ogni caso, la rivoluzione l’ha sempre amata, sfondando qualsivoglia barriera razziale e di genere nel rock. “Abbiamo fatto dei bei dischi a suo tempo, ma ne è passato parecchio da quando abbiamo fatto un grande album. Ed è questa la dolorosa verità. Capirlo ci ha portato a realizzare quello che credo sia il nostro disco più bello” sostiene Skin. Difficile contraddire la voce potente, magnetica e graffiante degli “Skunks”, ma è altrettanto difficile paragonare “The Painful Truth” agli apici di "Post Orgasmic Chill". Probabilmente non si tratta del disco più bello, ma di pregi ne vanta comunque eccome.

Lo dimostra fin dai suoi primissimi minuti: la traccia di apertura, "An Artist Is An Artist", ribadisce con insistenza che i veri artisti rimangono vitali e impegnati a qualsiasi età, indipendentemente dal disprezzo della critica e dalle mode passeggere. “Un artista è un artista / non è qui per assecondare il tuo piacere / cambiando come il tempo in Gran Bretagna”. Un ruggito di protesta, un inno all’emancipazione (anche femminista) che può tranquillamente essere considerato il manifesto della band.

Nella ballad trip-hop “Shame”, Skin rimugina su ferite familiari in un vibrato lacerante, prima di cambiare marcia con un coro melodico e operistico. Rifacendosi al comune amore per la produzione di Dennis Bovell per gli Slits, Sitek e gli Skunk Anansie preparano anche una festa reggae punk con influenze dub in “Shoulda Been You”. L’intento sperimentale è chiaro, e certifica una volta di più lo scopo essenziale dell’album: non evolversi ma autodistruggersi, per rinascere dalle ceneri. Non a caso, il titolo del brano che ha l’onere e l’onore di salutare l’ascoltatore nei titoli di coda è piuttosto significativo: “Meltdown”, fusione, crollo, collasso, disastro.

Sebbene manchi quel tocco – anche solo un singolo – capace di eternare il disco e di renderlo indimenticabile, è sempre bello ed emozionante ascoltare le note che hanno riunito e riportato in vita artisti altrimenti destinati a perdersi. Fresco, schietto e ben strutturato: "The Painful Truth" è l’araba fenice che restituisce l’intenzione del volo, per dirla con Giorgio Gaber, agli Skunk Anansie.

Tracklist

01. An Artist Is An Artist (03:11)
02. This Is Not Your Life (03:24)
03. Shame (04:06)
04. Lost and Found (04:15)
05. Cheers (03:26)
06. Shoulda Been You (03:50)
07. Animal (04:07)
08. Fell In Love With A Girl (04:27)
09. My Greatest Moment (03:43)
10. Meltdown (03:26)
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