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«SONGS OF SILENCE - Vince Clarke» la recensione di Rockol

La concezione del suono secondo Vince Clarke

L’ex Depeche Mode “esordisce” con un album profondo e celebrale.

Recensione del 17 nov 2023 a cura di Simöne Gall

Voto 8/10

La recensione

L’apporto di Vince Clarke rispetto al suono elettropop dei primi Depeche Mode, se mai lo si fosse scordato, fu determinante ed è tutto racchiuso nel debutto "Speak & Spell" (guai a sminuirlo). Ora, senza perdersi troppo nella preistoria, sappiamo che la parabola di Clarke come membro dei Depeche si consumò celermente, e il tastierista lasciò la band proprio mentre lui, Gahan, Fletcher e Gore cominciavano a conoscere inaspettatamente il successo, con i primi singoli a svettare nella UK Chart. Clarke però non si lasciò a superflui rimuginii e fondò subito gli Yazoo con la vocalist Alison Moyet, rimanendo aderente all’ambito commerciale. Dopo la parentesi con The Assembly, trovò quindi il modo di assicurarsi una carriera col progetto Erasure, in partnership con Andy Bell, che ad oggi conta ben diciannove album in studio - l’ultimo, ‘Day-Glo (Based On A True Story)’ risale al novembre 2022. Ciò che purtuttavia ancora mancava, nel portfolio di Vince Clarke, in particolare dopo trenta milioni di dischi venduti, era un album da solista, un album cioè da indirizzare unicamente al suo nome. Nasce così ‘Songs Of Silence’, che arriva oggi, a oltre quarant’anni dall’inizio della sua permanenza nel mondo della musica, quella che conta.


L’oblio si fa suono

‘Songs Of Silence’ è fatto di trame contratte, di narrazioni senza parole, che qualcuno della stampa internazionale ha già definito sconfortanti, ma di uno sconforto che tonifica. Le composizioni che scivolano dal suo interno, autoprodotte da Clarke, sono a suo dire connaturate a un senso di profonda tristezza e a quelle cose destinate a imboccare la strada del buio per poi sgretolarsi. Riflessioni come queste, trasformate in musica, hanno avuto origine nel periodo del lockdown da covid-19, ma registrando l’album nel suo studio casalingo a New York (e collaborando sul piano dell’artwork col pluripremiato fotoreporter Eugene Richards), Clarke non si aspettava che la Mute Records avesse già in mente di conferire al suo debutto una pubblicazione ufficiale. 

Sci-fi e sperimentazione

Lo strumento principale con cui Clarke ha scolpito ‘Songs Of Silence’ è il sintetizzatore modulare Eurorack, una particolare attrezzatura con cui il nostro ha cominciato a sperimentare proprio in quel periodo in cui anche lui, come tanti, si era trovato a doversi barricare forzatamente in casa. I droni dell’iniziale “Cathedral” si dispiegano con delicatezza creando una sintesi di suoni inquieti, ma liquidi ed eterei. La sensazione che ne nasce, di vacuità cosmica, prosegue in ‘White Rabbit’ (che non è una rilettura simil-ambient del noto e omonimo brano dei Jefferson Airplane, come si potrebbe pensare) mediante un monotono pattern elettronico che culmina in una serie di tamburi tribali. “Passage” ne rappresenta in successione l’evoluzione, facendo leva sulla presenza della soprano Caroline Joy (voluta da Clarke poiché ispirato da un’aria della Tosca di Puccini). Altri droni, quelli di “Imminent”, confluiscono nelle lave apocalittiche che danno sostanza a “Red Planet”, un tributo alla fantascienza, secondo il suo autore (lo si capisce già dal titolo), ma che suona in particolare come un’invocazione in favore del grande dio greco Vangelis. “The Lamentations Of Jeremiah”, che di ‘Sounds Of Silence’ aveva già disposto un assaggio nei mesi scorsi, attinge dalla musica filmica di Hans Zimmer e Benjamin Wallfisch per "Blade Runner 2049", e si sorregge tutta sullo splendido contributo a opera del violoncellista Reed Hays. L’unicità del risultato va di pari passo con le meditative immagini del videoclip abbinato alla traccia, in sé quasi un lavoro di abbacinante videoarte. “Mitosis” garantisce altri impulsi di distaccata ombrosità, mentre lo spettro di un lontano passato si combina all’inquietudine dei giorni nostri per tramite di “Blackleg”, incorporando una nenia tradizionale risalente al diciannovesimo secolo (“Blackleg Miner”). L’elettroambient di “Scarper” è per contro l’unico episodio dell’album a declinare una ritmica (su cui l’ugola di un Dave Gahan non avrebbe certo sfigurato). La strumentale conclusiva, “Last Transmission”, ha il compito di cucirti addosso un po’ tutta quanta l’essenza di ‘Songs Of Silence’, specchio di un musicista colto a invecchiare nel futuro, ma pensosamente e con lo sguardo rivolto in direzione dell’ignoto. Un po’ come il buon Vince sembra fare nel già citato video di “The Lamentations Of Jeremiah”. 

Tracklist

01. Cathedral (04:21)
02. White Rabbit (04:40)
03. Passage (03:10)
04. Imminent (04:56)
05. Red Planet (04:40)
06. The Lamentations of Jeremiah (04:23)
07. Mitosis (04:51)
08. Blackleg (03:06)
09. Scarper (03:47)
10. Last Transmission (04:46)
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