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«THE DARK SIDE OF THE MOON (LIVE AT WEMBLEY 1974 50TH ANNIVERSARY) - Pink Floyd» la recensione di Rockol

Pink Floyd, torna la versione live di "The dark side of the moon"

“Live at Wembley 1974”, per i 50 anni di un classico

Recensione del 24 mar 2023 a cura di Nino Gatti

Voto 8/10

La recensione

In occasione delle celebrazioni dei 50 anni dalla pubblicazione dell'album “The Dark Side Of The Moon” dei Pink Floyd, il 24 marzo 2023 esce “Live at Wembley 1974”, che propone una coinvolgente versione dal vivo del loro ‘classic album’ targato 1973.
Per gli irriducibili e super-informati fan dei Pink Floyd, “Live at Wembley 1974” non è una vera e propria novità: si tratta infatti dell'intera esecuzione di “The Dark Side Of The Moon” registrata professionalmente dal vivo alla Wembley Arena di Londra il 16 novembre 1974 e trasmessa da BBC Radio One, all'interno del programma di Alan Freeman, nel primo pomeriggio di sabato 11 gennaio 1975. La registrazione di quel programma, irradiata in perfetta stereofonia dalla radio inglese, attirò ben presto gli spietati ‘bootlegari’ che la riproposero più volte su vinili e cd illegali, per la gioia di collezionisti e completisti della band. La pubblicazione ufficiale della versione live di “Dark Side” curata dalla BBC, effettuata lavorando sui nastri d'archivio, arriverà solo il 27 settembre 2011 e sarà contenuta in due particolari versioni di “The Dark Side Of The Moon”: il box “Immersion” e il doppio cd “Experience Edition” che comprendeva sia la versione in studio del 1973 che il live del 1974. Il ‘nuovo’ “Live at Wembley 1974”, atteso per il 24 marzo 2023, ripropone la stessa versione pubblicata ufficialmente nel 2011 ma questo non lo rende musicalmente meno interessante. Quelli che non avevano acquistato le edizioni del 2011 ritroveranno la versione live di “Dark Side” sia all'interno del cofanetto “The Dark Side Of The Moon – 50 years”, sia come uscita singola nei supporti in cd e in vinile. 

La confezione

Le due nuove uscite hanno la particolarità di offrire una copertina alternativa di “Dark Side”, realizzata partendo dal layout grafico a matita su fondo bianco ingiallito disegnato nel 1972 da George Hardie della Hipgnosis, che mostra le indicazioni di colorazione delle varie partizioni. Anche l'interno della copertina ricalca la grafica esterna, proponendo le indicazioni grafiche del 1973, per cui avremo il testo in nero su fondo chiaro, l'esatto contrario di quanto offriva il disco originale. All'interno del disco sono state inseriti due poster: uno riproduce la caricatura di Gerald Scarfe ai quattro Floyd, per intenderci quella contenuta nel tour program dell'inverno 1974 con l'aggiunta delle date del tour inglese, l'altro poster riproduce un fotogramma dell'animazione di “Time”, firmata dal regista Ian Emes e usata dalla band sul palco. Le label sia del vinile sia del cd riprendono il tema della copertina, offrendo anche qui il fondo chiaro e le scritte nere.

(Nota: In occasione del concerto londinese del 16 novembre 1974 la BBC registrò anche le altre quattro lunghe canzoni eseguite dai Pink Floyd. “Shine On You Crazy Diamond”, “Raving And Drooling” e “You've Got To Be Crazy” finirono nel box “Immersion” di “Wish You Were Here” (pubblicato il 4 novembre 2011), mentre “Echoes” sarà inclusa nel cd “Bonus Continu/Ation” del cofanetto “The Early Years 1965-1972”, pubblicato l'11 novembre 2016)

La storia del British Winter Tour 1974

Dal 4 novembre al 14 dicembre 1974 i Pink Floyd eseguono ben venti concerti tra Edimburgo (due), Newcastle (due), Londra (quattro), Stoke-on-Trent (uno), Cardiff (uno), Liverpool (tre), Birmingham (tre), Manchester (due) e Bristol (due). A parte Londra, dove suoneranno ogni sera in una arena da 12mila posti, i Pink Floyd si esibiranno in piccoli spazi; in alcuni di loro lo schermo circolare entrava a malapena sul fondo della sala. Come mai una band che da venti mesi continuava a essere presente nelle classifiche di mezzo mondo con “Dark Side” decideva di suonare in posti così piccoli? Bisogna tornare indietro di qualche mese, quando a scombinare le carte in tavola era arrivato il successo di “The Dark Side Of The Moon”, che nella settimana del 28 aprile 1973 toccava la vetta delle classifiche USA. Tradotto in poche parole: soldi a palate. Già nel marzo 1973, durante il loro primo tour americano dell'anno – il secondo era atteso a giugno – la band ebbe sentore del successo che li avrebbe travolti grazie ai clamorosi consensi raccolti al botteghino.

Nella primavera 1973 si può così considerare definitivamente chiuso il primo periodo dei Pink Floyd, quello che dall'era psichedelica e sperimentale delle geniali intuizioni musicali barrettiane li aveva traghettati nel movimento prog e avanguardistico di dischi come “Ummagumma” (1969), “Atom Heart Mother” (1970) e “Meddle” (1971). Il “disco del prisma”, nel bene e nel male, era un prodotto dalle forti tinte commerciali e vendeva ovunque come il pane. Di diritto, i Pink Floyd erano diventati delle star mondiali: quelle settimane li videro pieni d'euforia per aver raggiunto finalmente il tanto agognato successo, e frastornati dal denaro che entrava incessantemente nelle loro casse. Proprio quando si sarebbe potuta prendere il mondo, affrontando lunghi tour in giro per il globo e raccogliendo danaro a vagonate, la band decise di fermare tutto e di prendersi una lunga pausa. Una scelta anti-commerciale, probabilmente folle, ma funzionò: durante il 1973 ci furono solo due tour americani, uno a marzo, l'altro a giugno e poi due concerti a Londra (18-19 maggio), due spettacoli a Monaco e Vienna (12 e 13 ottobre) e uno show benefico a Londra (4 novembre). Per il resto, silenzio. E riposo, nella tranquillità delle loro famiglie: se si esclude Gilmour che conviveva con Ginger, tutti gli altri erano sposati e - a parte Waters - con prole.
La richiesta di concerti era tale che il loro manager non sapeva più come arginarla. Si arrivò così a un compromesso: nel 1974 ci sarebbero stati due tour: prima una toccata e fuga di una settimana a giugno in Francia per tenere fede a un contratto firmato un paio di anni prima con la sponsorizzazione di una famosa bevanda della Perrier, poi un lungo giro d'Inghilterra. Anche qui una scelta controcorrente: avrebbero potuto esibirsi in sale più capienti ma scelsero strutture da 3-4mila posti. Un tour che per questo motivo non avrebbe avuto un ritorno economico - le spese erano più alte degli incassi – ma che consentiva alla band di esibirsi in patria dopo due anni, sperimentando la nuova attrezzatura. Steve O'Rourke, il loro tenace manager, aveva firmato diversi contratti per un doppio tour americano atteso ad aprile e giugno 1975. Si suonava negli stadi, davanti a 40-50mila spettatori e si doveva proporre un concerto all'altezza delle aspettative, con nuovi impianti di amplificazione e luci, ma soprattutto la novità dello schermo circolare, sul quale la band proiettava alcuni filmati legati ai temi delle canzoni eseguite. Il tour inglese serviva così come banco di prova per gli spettacoli del 1975.

I Pink Floyd erano stati irremovibili con il loro manager, che aveva fretta di rimettere in moto il circo floydiano: quei concerti dovevano offrire delle nuove musiche, mai pensare di poter vivere sugli allori. Nella prima parte degli show del 1974 ci sarebbero state nuove canzoni, motivo per cui nella primavera 1974 la band si ritrovò in sala prove, componendo alcune nuove musiche. Le prime due a essere completate e suonate in Francia furono la lunga suite “Shine On You Crazy Diamond”, che sarà completata in studio nel 1975 e che finì nell'album “Wish You Were Here” e “Raving And Drooling” (divenne “Sheep” su “Animals”). A queste si aggiunse “You Gotta Be Crazy” (la futura “Dogs” di “Animals”), presentata in anteprima al pubblico inglese nel novembre 1974. 
Oltre alle nuove canzoni, i Pink Floyd lavorarono duramente per offrire una versione live dell'intero disco “The Dark Side Of The Moon” che fosse all'altezza delle aspettative. Per questo motivo, sullo schermo circolare che campeggiava al centro del palco, usato per la prima volta in Francia nel giugno 1974 fu proiettata una serie di filmati e animazioni che sottolineavano visivamente il contenuto delle varie canzoni. Una novità che, soprattutto nelle piccole sale di provincia, rendeva al massimo lo spettacolo visivo e sonoro della band.
Per ricompensare le migliaia di fan inglesi che non erano riusciti ad accaparrarsi i biglietti per il “winter tour” del 1974, i Pink Floyd avevano infine deciso di registrare uno dei loro concerti londinesi, proponendo sul primo canale radiofonico inglese l'intero album “The Dark Side Of The Moon” dal vivo.

“Live at Wembley 1974”, traccia per traccia

Impareggiabili maestri d'atmosfera, nel 1974 i Pink Floyd aprono l'esecuzione di “Dark Side”dal vivo con “Speak to Me” (2:45). La sala era al buio, con le immagini grafiche del battito del cuore che si muovevano sullo schermo circolare a ritmo dei suoni che venivano fatti ruotare in perfetta quadrifonia intorno al pubblico. Il battito cardiaco proseguiva per alcuni minuti, quando partivano i vari effetti assemblati da Nick Mason per il disco del 1973. La prima trasmissione della BBC del 1975 conteneva una piccola censura. Le parole “I've been mad for fuckin' years, absolutely years / Been over the edge for yonks, been working me buns off for bands” che si ascoltano all'inizio di “Speak To Me” sia nella versione in studio che nelle esibizioni dal vivo del 1974, erano state eliminate dal mix. Sono magicamente riapparse già a partire dall'edizione 2011 e sono presenti anche nel “Live at Wembley 1974”.
Il pubblico è impaziente e quei battiti cardiaci stanno facendo impazzire tutti i presenti, che aspettano l'inizio di “Breathe” (2:16): così come sull'album, sarà la voce (registrata) di Clare Torry a introdurre la band. L'atmosfera è rilassata e la musica scorre floydianamente soave; Gilmour, che aveva suonato le prime note alla slide, ha il tempo di alzarsi, prendere la chitarra tra le mani ed esordire con voce ferma e calda: “Breathe, breathe in the air / Don't be afraid to care”. Quando alla seconda strofa Wright punta le dita sull'Hammond sembra di poter volare, ma è solo l'inizio di questo lungo viaggio. Arrivano implacabili i sintetizzatori di “On The Run” (5:08) e le celebri voci della speaker dell'aeroporto. La paura di volare e lo stress da viaggio che aveva accompagnato per molti anni la band sono tutte in quei suoni e nei passi con tanto di fiatone del protagonista, che corre nei corridoi dell'aeroporto per non perdere il suo volo. Allungata rispetto alla versione in studio, è facile immaginare l'effetto sul pubblico che ascoltava questi suoni ruotare intorno alla Wembley Arena. A fine brano si sente il suono di un aereo che esplode: l'effetto reale, che si materializza davanti agli occhi del pubblico, è uno dei più famosi della storia dei Pink Floyd. Il modello di un velivolo lungo poco più di due metri, fissato a un cavo e azionato dai roadie, parte dal fondo della sala e si schianta inghiottito da fuochi e fumi ai lati del palco.
“Time” (6:31) ti fa sobbalzare dalla poltrona con quelle sveglie che ti sorprendono ad ogni ascolto. Mason si concentra sui rototoms, Wright spruzza suoni con la sua tastiera, Waters riproduce con le corde del basso il ticchettio del tempo e Gilmour lancia suoni ed effetti di chitarra con maniacale precisione. La voce del chitarrista è ruggente, quella del tastierista si adegua e i due vocalizzano insieme così che ti sembra di tornare tra i solchi di “Echoes” del 1971. Prima del solo tagliente di Gilmour, arrivano finalmente le voci delle coriste Venetta Fields e Carlena Williams, che aggiungono spruzzatine di soul al Pink Floyd Sound. Chiude il brano la sua coda naturale, “Breathe (Reprise)”, che chiude idealmente la prima sezione di “Dark Side”. Su “The Great Gig In The Sky” (6:50) si sono spese miliardi di parole e nonostante migliaia di ascolti, non riesco mai ad evitare qualche lacrimuccia. Il pianoforte di Wright, incastrato su un palco che è pieno zeppo di strumenti e attrezzature – guardate le foto del libro contenuto nel box – duetta con la slide di Gilmour, con i suoni puntellati dal basso, finché non arriva la batteria di Mason che dà il via alle due coriste. È un delirio di ugole che non lascia scampo, mentre Wright non risparmia le sue falangi sull'Hammond, aiutato da Gilmour che si posiziona a suo fianco per aggiungere qualche nota al pianoforte. A metà brano, quando il climax si placa, la voce delle coriste si calma ma non perde di intensità, mentre tornano pianoforte e chitarra slide a indicare la strada da percorrere. A due minuti dalla fine Mason vira a tinte jazzate il suo suono, seguito da Waters che coglie l'atmosfera del batterista. Wright non ha ancora concluso i suoi giri di note quando l'effetto delle monete e il basso di Waters introducono l'inconfondibile “Money” (8:41). La versione è notevolmente allungata rispetto a quella in studio del 1973. Gilmour è particolarmente graffiante con la sua voce e Mason picchia duro sulle sue pelli. Il chitarrista ha appena terminato la sua parte quando chiama il suo vecchio amico sassofonista con un semplice “Come on Dick”. Parry non delude le aspettative e si mantiene nel solco di quanto inciso sull'album del 1973, concedendosi alcune modifiche che non stravolgono il mood del brano. L'assolo di Gilmour è da manuale, esattamente speculare a quello dell'album, sostenuto dalle coriste che ripetono la parola “money”. Successivamente la band si lascia andare a una lunga improvvisazione strumentale, che il pubblico gradisce, prima di riprendere sul finale il tema iniziale. La musica sfuma, si ascoltano le voci delle persone intervistate da Waters per il disco – ci sono Peter e Patricia Watts, Gerry O'Driscoll, Henry McCullough (chitarrista degli Wings) - e arrivano le calde tastiere di Wright che introducono “Us And Them” (8:09). La versione non è dissimile da quella dell'album, con le voci delle coriste in quadrifonia che ripetono le parole cantate dal chitarrista – “us, them, me, you, black, blue, up, down, round and round, down, out, with” - mentre i tecnici inseriscono l'effetto eco in quadrifonia, muovendo quelle parole intorno alla sala. Adesso Parry cambia la tavolozza dei suoi suoni che diventano più morbidi e caldi rispetto al brano precedente. Con la solita maestria, i Pink Floyd planano da questi suoni soffici e sognanti sulla successiva “Any Colour You Like” (8:10), che raddoppia la sua durata rispetto alla versione in studio. Lo strumentale è un vero e proprio caleidoscopio psichedelico, firmato dalla premiata ditta Gilmour, Mason e Wright, proprio quelli che dal 1987 porteranno in giro per il mondo il nome Pink Floyd senza la presenza di Roger Waters. Il Minimoog di Wright è inconfondibile, seguito dalla Black Strat di Gilmour che taglia l'aria notturna di Londra con affilatissime lame sonore. La parte centrale si placa musicalmente, lasciando spazio alle due coriste, libere di aggiungere suoni vocali in libertà, fino a quando la band non riprende vigore intensificando il suono. Con un improvviso giro di note la chitarra di Gilmour traghetta la canzone alla successiva “Brain Damage” (3:43). Eccola finalmente la voce nasale di Waters e l'inconfondibile frase “The lunatic is on the grass”, con la voce di Gilmour e delle coriste a sostenere Roger: si segue quanto inciso nel 1973, fino alle risate finali presenti nel “disco del prisma”, quando arriva la batteria a chiudere tutto con quattro colpi sulle pelli che introducono “Eclipse” (2:16). Un finale degno della fama della band, con i quattro musicisti che fondono in un vortice sonoro i loro strumenti alle voci di Gilmour e Waters e agli incredibili fraseggi vocali de Venetta e Carlena. La frase “there is no dark side of the moon really matter of fact it's all dark”, pronunciata dal portiere di Abbey Road Gerry O'Driscoll, reso famoso dai Pink Floyd, anticipa di poco il suono finale di una campana. Il rintocco all'improvviso suona come un nastro che si blocca e si ferma, concludendo la performance. Il pubblico è letteralmente in delirio mentre Waters, che ha appena lasciato il suo basso, ringrazia e saluta i presenti.

“Live at Wembley 1974” è l'album che mancava nella discografia della band, il live che sarebbe già dovuto uscire nel periodo tra “Dark Side” e “Wish You Were Here” e che oggi trova spazio nella corposa discografia della band. Un disco dal vivo che rende giustizia ai Pink Floyd di quel periodo e alla loro capacità di portare sul palco un album complicato da eseguire dal vivo: ci riuscivano grazie ai tanti effetti sonori incisi su nastro, che i tecnici inserivano durante le loro performance con una precisione e sincronia pazzesche.
Grazie alle possibilità offerte dal digitale, oggi tutto sarebbe più semplice: ma è proprio questa follia che caratterizzava gli spettacoli dei Pink Floyd.

 

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