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«ARBEIT MACHT FREI - Area» la recensione di Rockol

Area, una sfida alle coscienze

I 50 anni di "Arbeit macht frei"

Recensione del 15 giu 2023 a cura di Elena Palmieri

Voto 8/10

La recensione

“Arbeit macht frei”, “Il lavoro rende liberi”, era la frase posta all’ingresso di numerosi campi di concentramento nazisti. Verso l’intento di un suono totale, in cui far incontrare stili e influenze diversi con nuovi spunti, e con l’idea di una musica in grado di non trascurare temi politici e sociali, un gruppo nato all’inizio degli anni Settanta scelse proprio quell’espressione capace di scuotere e sfidare le coscienze come titolo del suo album di debutto. La band in questione aveva dato il via alla propria avventura nel 1972 come Area – International POPular Group e, consolidando uno dei suoi punti di forza nella varietà di attitudini e sensibilità dei suoi componenti, diede alle stampe l’anno successivo per la Cramps di Gianni Sassi e Sergio Albergoni il suo disco d’esordio, intitolato appunto “Arbeit macht frei”.

La formazione inizialmente contava tra le proprie fila il cantante d’origine greca Demetrio Stratos, che arrivava dai Ribelli di “Pugni chiusi”, il batterista Giulio Capiozzo, il tastierista Gaetano Leandro, il bassista Patrick Djivas (futuro membro della PFM), il chitarrista italo-ungherese Johnny Lambizzi e il sassofonista belga Victor Edouard Busnello. Con l’uscita di Lambizzi e Leandro, seguita dall’ingresso di Paolo Tofani e del pianista Patrizio Fariselli, si riunì il gruppo di musicisti che incise il primo album degli Area. Un lavoro che si inserì nelle trame delle nuove suggestioni che in Italia stavano raccogliendo la lezione delle band britanniche di quel rock definito “progressivo” o “sinfonico”, ma che puntò anche in direzione contraria e aprì alla libertà e alla fusione di esperienze diverse per un suono totale fra musica e vita.

L’apertura di “Arbeit macht frei”, accompagnato dalla fotografia di una scultura di Edoardo Sivelli in copertina, raffigurante una statuina in legno incatenata con in mano la chiave della sua liberazione, è affidata a un brano ormai simbolo degli Area.

Introdotta da una voce recitante in arabo, la dedica alla lotta del popolo palestinese di “Luglio, agosto, settembre (nero)”, inaugura infatti il lato A del disco. “Non è colpa mia se la tua realtà / Mi costringe a fare guerra all’omertà”, è la dichiarazione che arriva con questo pezzo, che trascina da subito dentro sia la dimensione sonora sperimentale e rivoluzionaria del gruppo, sia nella sua narrazione impegnata, di matrice sociale e politica, diretta ma allusiva, che ha origine dai testi scritti da Gianni Sassi con lo pseudonimo Frankenstein.

Il viaggio sonoro degli Area trova anima e concretezza nella sinergia dei musicisti, che in libertà mettono in scena suoni che guardano alle influenze del progressive e del folk, ma che vengono stravolte in un insistente succedersi di sperimentazioni, dove i contorni sono tutt'altro che rigidi. L’esercizio beat nella voce dal carisma incisivo di Demetrio Stratos incontra qui la lezione jazz di Giulio Capiozzo e Vittorio Edoardo Busnello, così come l’impeto rock della chitarra elettrica e dei sintetizzatori analogici di Paolo Tofani uniti alla formazione classica di Patrizio Fariselli e all’abilità di Patrick Djivas di passare dal basso elettrico al contrabbasso. Lungo i sei brani di “Arbeit macht frei” la forma canzone si dissolve quindi in un'esperienza musicale più complessa e rivoluzionaria, per liberare lunghe parti strumentali nel cui impegno, tra la ponderosità dei versi e i veloci cambi di tempo e atmosfera, non trova ragione un facile ascolto, ma che porta a un linguaggio originale capace comunque di manifestare lo spirito dei tempi.

Il gruppo colpisce con la foga dalla forte padronanza tecnica della title track di “Arbeit macht frei”, passando per gli estri del successivo inno alla “Consapevolezza”, tra fiati e ritmica instancabile e mutevole.

L’improvvisazione di matrice jazz e la melodia vocale di “Le labbra del tempo” conducono in profondità verso le pulsioni di ogni musicista, dove si sperimentano stati d’animo sonori e prese di coscienza multiforme (“Solo chi è nudo / Riesce a capire / La tua forza muta / Che comunica realtà”). L’unica traccia strumentale dell’album, “240 chilometri da Smirne”, è un’alternanza di assoli dove la musica è ormai una forma quasi visiva che esaspera l’improvvisazione fino a “L’abbattimento dello Zeppelin”, in cui la voce di Stratos è ormai uno strumento musicale che suggella l’esordio degli Area.

Tracklist

01. Luglio, agosto, settembre (nero) (04:23)
02. Arbeit macht frei (07:57)
03. Consapevolezza (05:59)
04. Le labbra del tempo (05:52)
05. 240 chilometri da Smirne (05:07)
06. L'abbattimento dello Zeppelin (06:48)

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