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«GOT TO BE THERE - Michael Jackson» la recensione di Rockol

“Got to be there”: l’antipasto della leggenda

Michael Jackson: il soulman teenager che sarebbe diventato il Re del Pop

Recensione del 06 set 2022 a cura di Redazione Soul

Voto 7.5/10

La recensione

In pochi mesi, si chiuse una porta e – l’avremmo capito nei due decenni successivi – si spalancò un portone.

All’inizio di ottobre del 1971, la Motown pubblicava il primo singolo solista di Michael Jackson, intitolato “Got to be there”. Alla fine di dicembre, la label di Berry Gordy Jr. sigillava la carriera di uno dei suoi gruppi di maggior successo – i Jackson 5, di cui Michael era il virgulto – pubblicandone il greatest hits. E il 24 gennaio 1972 dava alle stampe “Got to be there”, l’album di esordio di MJ, preceduto come abbiamo visto dalla sua title track che si piazzò in alto in classifica insieme all’altro singolo “Rockin’ Robin”.

Michael Jackson, già una star con sette anni di carriera alle spalle, quando uscì il suo primo album solista aveva 13 anni e cinque mesi. Al pari di Donny Osmond – anch’egli emerso da una band di famiglia, The Osmonds – stava per dare un significato alla locuzione “teen idol”. Ma, al contrario del suo temporaneo concorrente bianco, si sarebbe spinto molto ma molto oltre.

La title track del disco rappresentava uno dei tocchi originali all’interno di un album che includeva anche alcune celebri cover. Era stata scritta appositamente da Elliot Willensky, prodotta da uno degli uomini forti della Motown, Hal Davis, per trent’anni figura chiave della label, ed incisa non nella natia Detroit, ma negli Hitsville Studios di Hollywood, la filale dell’etichetta sul Pacifico che per certi versi simboleggiava anche l’evoluzione dello stile e delle ambizioni della Motown da un decennio all’altro.

I cori del brano furono un affare di famiglia: alle spalle del piccolo Michael l’impalcatura era sostenuta dai fratelli Tito, Jermain, Marlon e Jackie. Qualcosa che appariva anche come una metafora del peso del talento del più giovane affermatosi come il più importante nel gruppo di famiglia. Michael trasportava nell’album, appena teenager, non solo un talento smisurato, ma anche la disciplina del solista veterano, capace con la sua voce di attraversare cambiamenti di stile, arrangiamenti che lo trasportavano dal pop al soul al jazz e una capacità di tenere il palco che avrebbe avuto pochissimi eguali nella storia della musica popolare.

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Da questo punto di vista è utile rimarcare come la sua stella polare fosse James Brown, dalle cui mosse era stato irretito fin da bambino, ed è significativo che la scintilla che aveva dato inizio alla carriera dei Jackson 5 fosse scoccata proprio all’Apollo Theater di Harlem, dove la debuttante band nel 1967 vinse a mani basse la Amateur Night Competition proprio sul palco che era stato calcato – oltre che dal suddetto Mr. Dynamite, che lo celebrò nel suo epico “Live at the Apollo” – da mostri sacri come Billie Holiday, Jackie Wilson, Ella Fitzgerald, Gladys Knight & The Pips, giusto per citarne pochi.

L'album “Got To Be There” arrivava dopo il mega-successo che i Jackson 5 avevano ottenuto con “I want you back”, quindi era difficile sorprendersi che fosse già arrivato il momento della svolta solista per colui che aveva ormai relegato i fratelli più anziani in una posizione secondaria. Nel disco si riprendeva la già famosissima “Rockin’ Robin”, resa celebre dai Jackson 5, e nella tracklist venivano incluse alcune cover di recenti successi dell’epoca, selezionati come a sottolineare la precoce capacità di crossover di Michael. Le più note erano i grandi successi “Ain’t No Sunshine” di Bill Withers e “You’ve Got A Friend” di Carole King, mentre l’altro brano forte tra gli originali dell’album fu “I wanna be where you are”.

Da un brano all’altro, la voce e l’interpretazione di Michael Jackson sfidavano il dualismo tra quella sua purezza post-infantile e la professionalità dell’artista consumato, un tratto suggerito anche dalla foto di copertina del disco in cui la star teenager compariva sorridente e disinvolta con un cappellaccio a coprire la sua pettinatura afro.

La Motown, che in quell’inizio del 1972 aveva ormai ampiamente centrato la missione che il suo fondatore si era prefissato negli anni Sessanta (quella di vendere il soul al pubblico dei bianchi, quella di rendere il soul vera “pop music”), anche se non lo sapeva ancora nessuno stava per dare inizio alla “Michael-mania” che, due decenni dopo, avrebbe reso Michael Jackson uno degli artisti più popolari di ogni tempo, con oltre 400 milioni di dischi venduti nel mondo.

Una fama che affonda le radici in un soul di marca Motown che prevedeva – nel progetto di Berry Gordy Jr. – che quel singolo “Got to be there” diventasse il prototipo della “perfetta canzone pop”. Il mogul di Detroit vi aveva appositamente investito una cifra senza precedenti all’inizio degli anni Settanta: 10.000 dollari.

Di sicuro diede una mano per trasformare quel giovane soul-man nel template della perfetta popstar.

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Tracklist

01. Ain't No Sunshine (04:11)
02. I Wanna Be Where You Are (03:00)
03. Girl Don't Take Your Love From Me (03:47)
04. In Our Small Way (03:38)
05. Got To Be There (03:23)
06. Rockin' Robin (02:31)
07. Wings Of My Love (03:21)
08. Maria (You Were The Only One) (03:41)
09. Love Is Here And Now You're Gone (02:51)
10. You've Got A Friend (04:53)

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