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«FTHC - Frank Turner» la recensione di Rockol

Frank Turner si mette a nudo, ed è disarmante

Nono album in quindici anni... la penna di Frank è sempre calda

Recensione del 01 mar 2022 a cura di Paolo Panzeri

Voto 8/10

La recensione

Qui da noi Frank Turner è relativamente poco conosciuto nonostante, dopo avere militato per un lustro, dal 2000 al 2005, nella band di ispirazione punk dei Million Dead, abbia avviato la carriera solista una quindicina di anni fa, nel 2007 che, mettendo nel conto l'ultimo nato intitolato "FTHC", è giunta ad essere costituita da nove album. Ma se da noi è conosciuto e amato solo da chi segue più da vicino quanto accade nel rock che nasce aldilà della Manica, in Gran Bretagna è un nome di tutto rispetto, una garanzia di qualità. Infatti, ripercorrendo la sua saga artistica si può notare come dopo un più che ragionevole rodaggio, con il suo quarto album, "England keep my bones" (2011), sfiora l'entrata nella top ten della classifica di vendita, che centra puntualmente - due secondi e due terzi posti - con i dischi seguenti, conquistando finalmente la prima posizione nei giorni scorsi con "FTHC".

Frank Turner Hardcore

La vena di Frank pare essere inesauribile, così come l'energia che scorre lungo i quattordici brani del disco che avranno una resa, se possibile, ancora maggiore quando proposti in concerto. Canzoni che, memori della formazione punk del ragazzo, vanno dritte al punto ("Non Serviam") e all'energia si associa la maturità datagli dall'esperienza che giunge con lo scorrere degli anni che ora sono 40. L'emozione guida la sua penna: “A Wave Across A Bay” è dedicata all'amico Scott Hutchison, il cantante degli scozzesi Frightened Rabbit, che si è tolto la vita nel 2018 nelle acque di un fiume vicino Edimburgo, l'addio a Scott di Frank è devastante e compassionevole. Autobiografica dell'umanità tutta è "The resurrectionists" che viene urlata a piena ugola così come l'indomita "Punches", con il suo coro da stadio che si vorrebbe poterla intonare un poco alticci in un pub pieno di persone di buona volontà. In "Miranda" Frank spolvera un pop d'autore per dimostrare la propria buona volontà nel voler riallacciare i rapporti con il padre, transgender. I brani corrono veloci uno dopo l'altro, l'unico momento in cui si alza il piede dall'acceleratore e ci si può lasciare andare a guardare fuori dal finestrino lo si ha con "Little life", proprio un attimo prima della spettacolare invettiva finale innalzata da "Farewell to my city", il suo accorato e rabbioso saluto alla città di Londra ('I realized this part of my journey was coming to a close/And how our lives will be after, nobody knows/I guess I got older, that's just how it goes/And I know it sounds weak but I'll still see you at shows/I got tired of London, not tired of life').

Una questione di cuore

Il segreto del successo di Frank Turner è quello di scrivere belle canzoni che trasudano onestà, emotività, coinvolgimento. Lui si presenta spoglio e senza maschera, canta di ciò che conosce, di ciò che gli fa battere il cuore e di ciò che gli tormenta l'anima. A non ragionare con le viscere e a rifletterci sopra, un poco ci si potrebbe sentire manipolati da questo quarantenne, tanto risulta semplice rimanere intrappolati dentro le sue melodie, a volte facili e ruffiane, proprio come accade a un pesce che si dibatte nella rete. Insomma, "FTHC", che sta per Frank Turner Hardcore, mi ha preso il cuore e, in piena facoltà, ho voluto che me lo prendesse.

Tracklist

01. Non Serviam (01:59)
02. The Gathering (02:39)
03. Haven't Been Doing So Well (03:16)
04. Untainted Love (02:54)
05. Fatherless (02:40)
06. My Bad (01:44)
07. Miranda (04:00)
08. A Wave Across A Bay (03:43)
09. The Resurrectionists (02:42)
10. Punches (03:03)
11. Perfect Score (02:30)
12. The Work (03:32)
13. Little Life (03:35)
14. Farewell To My City (04:13)
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