Le due canzoni che fanno piangere Thom Yorke

Jason Thomas Gordon, frontman della rock band di Los Angeles dei Kingsize, alla fine dello scorso anno ha pubblicato il libro 'The Singers Talk'. Un volume di interviste con alcuni dei cantanti rock più importanti del nostro tempo. Tra questi Bruce Springsteen, Roger Daltrey, Chrissie Hynde, Willie Nelson, Mavis Staples, Ozzy Osbourne, Robert Smith, Geddy Lee, Michael Stipe, Rod Stewart, Steve Perry e anche il cantante dei Radiohead Thom Yorke. Al tempo dell'uscita del volume il magazine Rolling Stone pubblicò l'intervista al leader dei Radiohead come anticipazione del volume.
Nell'intervista Yorke – che oggi compie 56 anni - ha raccontato, tra le altre cose, come Neil Young e Jeff Buckley lo hanno aiutato ad affinare il suo stile, i vantaggi del portare un chiropratico in tour e di quella volta in cui era talmente sballato da dimenticare i suoi testi una volta sul palco.
Thom Yorke ha spiegato che nonostante avesse preso qualche lezione di canto ha sempre pensato di avere una voce “sgradevolmente alta e goffa”. Nonostante ciò all'età di 18 anni il futuro cantante dei Radiohead ha inviato un demo tape a una rivista musicale. Quella rivista pubblicò una recensione piuttosto lusinghiera in cui si chiedeva: "'Chi è questo ragazzo? Sembra proprio Neil Young!’”. Ricorda Yorke: "Ho pensato: 'Chi è Neil Young?' Non avevo mai sentito Neil Young, quindi comprai “After the Gold Rush” e pensai, ‘Wow! Va bene essere così?’ Perché è leggermente più alto di me, ma c’era una morbidezza e un’ingenuità nella voce che cercavo sempre di nascondere. Poi, 'Oh, forse non ho bisogno di nasconderlo.'"
Comunque sia, Thom Yorke impiegò un po’ di tempo per abituarsi alla propria voce: “Quando stavamo registrando il secondo disco, andai a trovare Jeff Buckley prima che morisse. E mi ricordò quella parte vulnerabile di me che stavo scegliendo di nascondere. Ricordo di aver registrato “Fake Plastic Trees” da solo all’inizio. Poi, quando ci siamo riuniti per ascoltarlo, gli altri hanno detto: “La useremo!” e io risposi: 'No, no, non possiamo usarla, è troppo scoperta'. E' troppo per me.'”
Ora, quasi 30 anni dopo, Thom Yorke è concentrato nel mantenere la sua voce in forma. Oltre ad alcune abitudini prima dei concerti - le scale di corsa e una seduta di meditazione – porta con sé in tour anche un chiropratico per riallineare la sua colonna vertebrale quando la sua voce è tesa. "È una sensazione davvero straordinaria quando la tua voce si apre in quel modo. È mentale. Questo è ciò che accade quando stai molto in tour, devi avere qualcuno che ti sistema se ti butti in giro come faccio io.”
Ma anche il riscaldamento più accurato non avrebbe potuto salvare Yorke da quello che lui stesso definì il suo "incidente vocale più imbarazzante di sempre", accaduto alla fine di un grande concerto allo Shoreline di San Francisco: "Prima del bis finale, ho fumato una canna con Jonny (Greenwood, suo compagno nei Radiohead, ndr). Tornai sul palco e iniziai a suonare “Everything in Its Right Place” e mi persi completamente. Penso di aver cantato prima la seconda strofa, poi ho guardato la tastiera pensando: 'Cos'è questa?'".
Ha continuato ancora il suo racconto: "Poi ho cantato la strofa successiva e mi resi conto di averla appena cantata, ho guardato gli altri, stavano tutti dicendo 'Tirateci fuori da qui'. Giravo intorno al riff, guardavo il pubblico e tutti cantavano le parole, io dicevo: 'Cosa?' Ero così fatto che mi sono alzato dal piano e me ne sono andato.”
In un'altra parte dell'intervista ha ricordato le proprie preferenze di quando era un ragazzino: "Mi piacevano molto i Queen, ma non mi sono mai visto come Freddie Mercury. Sorprendentemente nella mia testa sono sempre stato Brian May.”
Tra le curiosità riportate da Yorke, dice che la sua performance vocale preferita è in "Bloom" e se potesse duettare con qualcuno di vivo oppure di morto questi sarebbe John Lennon. Chiestogli di nominare i suoi cinque cantanti preferiti ha elencato Ella Fitzgerald, Nina Simone, Scott Walker, Michael Stipe, Billie Holiday e Tom Waits. Sottolinea poi che "Tom Traubert's Blues" di Tom Waits – dall'album del 1976 "Small change" - e "Simple Twist Of Fate" di Bob Dylan - dall'album del 1975 "Blood on the tracks" (leggi qui la recensione) - sono le due canzoni che lo faranno sempre piangere.