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Charlie Charles: "Non voglio ascoltare l'ego, non farò un album"

L'intervista a uno dei produttori più innovativi della musica italiana, fra paure e ambizioni.
Charlie Charles: "Non voglio ascoltare l'ego, non farò un album"
Credits: Roberto Graziano Moro

Dal 2015-2016 in poi, il tocco magico di Charlie Charles ha cambiato i confini della musica italiana: non solo nel rap, nella trap e nel pop, ma in generale ha rimodellato il sound e il gusto di questo Paese, traghettando nuove influenze e visioni nel mainstream. Insieme a Dardust è il producer simbolo della “rivoluzione” di questi ultimi anni. A una crescente popolarità, però, è corrisposto un sempre più assordante silenzio: il produttore classe 1994, all’anagrafe Paolo Alberto Monachetti, si è fatto vedere pochissimo, ha concesso un numero di interviste che si contano sulle dita di una mano, ai riflettori della fama ha preferito, da buon stacanovista, le luci dello studio. Lo ha fatto anche per difendersi, per non lasciarsi sovrastare dalle paure. Il suo ultimo singolo “Obladi Oblada”, con thasup, Fabri Fibra e Ghali, come racconta, “chiude un cerchio” ed è come se sancisse una sorta di nuovo inizio, di nuovo viaggio.

Charlie, stai lavorando a un disco da produttore?
“No, non ci sarà un disco”.

A lungo si è parlato di un tuo ipotetico producer album, tanti tuoi colleghi ne hanno realizzato uno. Perché il tuo non uscirà?
“Sono arrivato alla conclusione che Charlie non ha bisogno di fare un disco e, per questo, non riesco a farlo. Parlo in terza persona come se Charlie fosse un’entità…forse perché è anche così che va trattato. Lui è un grande sarto, sa far bene il suo lavoro su chi ha davanti. Sa immedesimarsi molto e trovare la soluzione giusta, in termini musicali, conosce le misure appropriate per gli artisti per cui lavora. Per gli altri, appunto. Un barbiere non si fa i capelli da solo, Charlie non può fare il suo disco. Sarebbe troppo facile fare una compilation di brani, ma non servirebbe a nulla”.

Non sarebbe stimolante?
“Non sarebbe una sfida. Non aggiungerebbe nulla. Anche per questo non riesco a farlo”.

Preferisci un Charlie “al servizio” e non protagonista, quindi?
“Sì. Per quanto ci si possa illudere, l’ego non si sradica, è sempre lì. Ma io non riesco a pensare a un disco per me, composto da me, solo come lo voglio io. Mi sento troppo coinvolto, Charlie sarebbe troppo coinvolto. Quando lavoro per gli altri non c’è una visione così egoica, ma anzi, aiutando chi collabora con me, cerco di cancellare le insicurezze dell’altro. E tutto questo funziona perché non si parla di ‘me’, ma degli ‘altri’”.

Molti producer, in questi ultimi anni, hanno fatto esattamente il ragionamento opposto: quando realizzano un producer album, rivendicano un proprio spazio dopo essere sempre stati dietro le quinte.
“Io mi guardo dentro e non riesco a trovare un’esigenza artistica reale per ‘collezionare’ una serie di brani e farli uscire. Sono in un momento della mia carriera e della mia vita personale, in cui ho capito che voglio emozioni forti. Voglio sfide. E questo ipotetico album non lo è”.

Una sfida emozionante che ti sei posto?
“Ce n’è una in corso. Ma non posso parlartene ora”.

Come è nato il singolo “Obladi Oblada”?
“Ha una storia un pochino travagliata. Nasce come un pezzo con Ghali. Ci siamo trovati nell’estate del 2021 insieme per fare musica, era parecchio tempo che non avveniva. Ci siamo ritrovati a livello umano e poi anche artistico. Il brano, però, non rientrava nei piani di Ghali e quindi è rimasto lì, fermo. E allora ne ho approfittato io, proprio come avvenne con ‘Calipso’ che nacque come pezzo di Mahmood. Rimase in cantina e successivamente l’ho riutilizzato: lo stesso processo di ‘Obladi Oblada’, che all’inizio si chiamava ‘Ghetto magico’. Ho dato un senso a tutto, coinvolgendo anche thasup e Fabri Fibra. Abbiamo fatto session ovunque: in Piemonte, sul Lago di Garda, a Berlino, a Parigi. E in più lo vedo come un cerchio che si chiude…”.

Che cosa intendi?
“Intendo a livello di uscite personali. Pongo molto la mia carriera in parallelo con quelle di Ghali e Sfera. E credo nelle simmetrie. Charlie ha fatto ‘Bimbi’, che coinvolgeva tutti e due, poi ‘Peace & Love’ con di nuovo sia Sfera che Ghali, poi ‘Calipso’ in cui principalmente c’era Sfera: mi mancava il pezzo solo con Ghali ed eccolo arrivato”.

Come racconteresti il nuovo pezzo?
“Come un brano notturno. È vero che si pone dentro il game dei singoli estivi, ma ha un tema più psichedelico e lo trovo divertente”.

In questi anni hai parlato pochissimo. O meglio, hai fatto parlare la musica, hai preferito il lavoro in studio all’apparire e alle interviste, pur essendo un pioniere di un sound che ha cambiato la musica italiana. Come hai vissuto il tuo percorso?
“È stato come essere al bivio fra un incubo e la più grande gioia al mondo. Forse anche per questo ho sempre cercato di stare ‘dietro’ e di non esprimermi a parole. Ci sono stati momenti bellissimi in questi anni, ma anche momenti brutti in cui l’ansia ha preso il sopravvento. Mi sono ritrovato di botto dal passare all’essere un ragazzino in una cameretta che faceva musica al diventare un artista con uno studio gigante, che ha realizzato il suo più grande sogno, guadagnando tanti soldi. ‘Bello’ mi dirai, ma ci devi fare i conti. C’è un carico sulle spalle da non sottovalutare. E solo dopo che si sono fatti i conti con quello che è successo e con quello che si è diventato, si può tornare a una certa sicurezza e serenità”.

Per questo motivo oggi riesci a fare questa intervista con tranquillità? Un’intervista che forse, tempo fa, avresti rifiutato.
“Sì, oggi riesco a parlare di me senza un bisogno narcisista e senza paure”.

Ma perché a volte parli di Charlie in terza persona?
“Non c’è una motivazione psicologica, ma è utile a far capire meglio il mio cambiamento. Ci sono stati anni in cui sembrava che io non volessi parlare, non ridessi o fossi chiuso in me stesso. Ovvero l’opposto di quello che realmente ero e sono. Poi, infatti, mi beccavano i fan per strada e mi dicevano ‘ma allora parli e sei anche simpatico…’. Ecco, con questo e altri aspetti bisogna fare i conti. Io oggi voglio essere conosciuto per quello che sono”.

Come si è evoluta la tua musica?
“È cresciuta con me. Sento che la mia ricerca non si è mai fermata: sono partito dall’elettronica, da ragazzino, poi ho scoperto l’hip hop. All’inizio principalmente quello francese, poi ho forgiato una mia sfera personale soprattutto fra il disco ‘Sfera Ebbasta’ (2016) e ‘Album’ di Ghali (2017). Lì ho trovato una chiave. Poi è arrivato ‘Rockstar’ di Sfera, con le influenze americane. La mia priorità è sempre stata quella di filtrare il sound che mi piaceva attraverso una visione solo mia. Ricordo anche brani come ‘Soldi’ di Mahmood, ‘Calipso’, ‘Cheyenne’ con Francesca Michielin, ce ne sono stati tanti importanti per me”.

Hai materiale nuovo, nuova musica in cantiere?
“Tantissima, è nel pc per ora”.

Oggi il Festival di Sanremo non sarebbe quello che noi conosciamo, ovvero una manifestazione più aperta, se ‘Soldi’ di Mahmood non avesse trionfato nel 2019. Dopo una vittoria così, che tipo di pressione si crea?
“La pressione non è data dal successo del brano, ma da come io valuto quel brano. È una sfida con me stesso, ripeto. Se un brano è potente e per me fenomenale, io non voglio scendere da quel gradino. E infatti, non è un segreto, per diversi anni a un certo punto, non ho più fatto uscire tanta musica come accadeva all’inizio. Mi ricordo quando dissi a Sfera: ‘io il tuo prossimo disco (si sarebbe trattato di ‘Famoso’ del 2020) non lo produrrò’. Perché c’era l’alto rischio che facessi un ‘Rockstar 2’, ero ancora troppo influenzato dal passato. Curai la direzione artistica di quel progetto e la sola produzione del pezzo simbolo ‘Bottiglie privè’”.

A questo livello di consapevolezza come ci sei arrivato? Segui un percorso di analisi?
“Lo stare male è iniziato dagli albori della mia carriera, nel 2015. E mi è servito, mi ha permesso di costruire una consapevolezza più forte. E sì, sto seguendo anche un percorso di analisi ormai da quattro anni. Mi aiuta a guardare più Paolo e un po’ meno Charlie”.

Oggi la tua musica che direzione sta prendendo?
“Ho uno studio pazzesco in cui lavorano tre persone. Ho un confronto costante con questi ragazzi, sto imparando tanto anche da loro. Stiamo scoprendo, ci stiamo contaminando. Non so dove andremo e dove andrà il nuovo suono, ma siamo in viaggio. E questo mi fa felice”. 

 

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