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Simple Minds, una storia che continua ad affascinare da 45 anni

Jim Kerr racconta il 18° album della band, "Direction of the heart"
Simple Minds, una storia che continua ad affascinare da 45 anni

“Mettete dei fiori nei vostri cannoni”, cantavano i Giganti nel 1967. I Simple Minds hanno aggiornato il concetto, i fiori sono tra le pieghe di una maschera a gas, immagine terribile e allo stesso tempo romantica, carica di paura ma anche di speranza: è l’immagine della copertina del loro diciottesimo album, “Direction of the Heart’, in uscita il prossimo 21 ottobre.

È l'ennesimo capitolo di una storia ormai molto lunga, di grande successo, per molti versi innovativa, spesso meravigliosa, che li ha visti attraversare quattro decenni, sull’onda di una inesauribile passione per la musica. Jim Kerr e Charlie Burchill sono una coppia ancora perfetta, solidissima, hanno resistito al cattivo tempo e alle crisi di identità, non hanno ceduto all’idea di essere perennemente “una grande band degli anni Ottanta” e vivere di costant revival, e hanno costantemente cercato nuovi stimoli, nuovi sentimenti, nuove “direzioni del cuore”, alle volte sbagliando, altre centrando l’obbiettivo, ma senza mai perdersi d’animo, senza mai dimenticare la loro storia e guardando costantemente in avanti. E così, nel bel mezzo del lockdown, hanno messo mano all’ennesimo capitolo “di una storia che continua”, ci dice Jim Kerr, “iniziata a scuola, a Glasgow, quando io e Charlie avevamo 8 anni. Amavamo la musica, ogni settimana c’era un disco da comprare e ascoltare, tanti concerti da vedere e la voglia di mettere su una band per contro nostro. 45 anni fa cominciammo con i Simple Minds e adesso usciamo con il nostro diciottesimo album”. 

Una storia che continua

Una storia, vale la pena ricordarlo, che ha avuto punti di splendore assoluto, musicalmente con album come “Sons and fascination”, “New Gold Dream”, “Sparkle in the rain”, “Street Fighting Years”, momenti di crisi, ma anche la grande rinascita degli anni Duemila, che hanno portato dritti a questo nuovo lavoro, carico di energia, saldamente ancorato allo stile della band, ma al tempo stesso contemporaneo quanto basta per essere lontano da ogni forma di nostalgia, completamente catturato dalle correnti del cuore. “Si, se dovessi descrivere l’album”, dice Kerr, “direi che è veramente il frutto delle correnti del cuore, nato cercando quello “sweet spot” in cui tutta la nostra musica migliore è nata. Abbiamo cercato di portare l’energia che ha caratterizzato gli esordi dei Simple Minds nel pieno dei nostri giorni”. 

E ci sono riusciti, perché ‘Direction of The Heart’ vede una band forte, coesa, convincente, in grado di sfidare sul terreno della creatività e della comunicativa anche band più giovani e vivaci, in una celebrazione della vita, e del rock, di qualità finissima. E’ un album per molti versi italiano, come del resto Kerr (e Burchill) è da molti anni, nonostante non abbia mai perso il suo il solidissimo accento scozzese: la gran parte delle canzoni sono state scritte a Taormina, e forse dell’Italia hanno un generale respiro, un’apertura, uno spirito che serve a spingere in alto la tensione che la band, magnificamente, crea. Kerr e Burchill sono con Ged Grimes, Cherisse Osei e Berenice Scott, ma hanno lavorato separatamente da loro, causa lockdown, tra Amburgo e Londra, dimostrando che si può essere coesi anche a distanza.

Elettronica e ritmo

C’è l’elettronica e molto ritmo anche in questo album, come del resto è sempre nella musica dei migliori Simple Minds: “Volevamo un disco off beat, pieno di energia positiva, che in qualche modo esprimesse gioia, soprattutto nel suono. Ed è bello sentire il suono elettronico che ci ha caratterizzato, e la chitarra di Charlie in primo piano”. Il collegamento con gli esordi del gruppo è reso manifesto soprattutto dalla presenza nell’album di un brano ‘vecchissimo’ come ‘Act fo love’: “E stata una delle prime canzoni che abbiamo scritto e una delle prime che abbiamo suonato dal vivo, ma come accadeva spesso all’ epoca, l’abbiamo messa da parte dopo poco, perché ci sembrava già ‘consumata’, superata da altri cose che facevamo. Ma è sempre rimasta nella nostra testa, ci è sempre piaciuta molto, al di la del tempo. Quindi l’abbiamo ripresa per fare in modo che tutti la potessero ascoltare e noi potessimo virtualmente tornare esattamente in quel momento della nostra storia, ma con la consapevolezza e l’esperienza di oggi”. 
E’ comunque un album di speranza, e non mancano i riferimenti al mondo e alla politica di oggi.

La generazione dei Simple Minds pensava che il mondo potesse essere migliore, oggi è difficile crederlo…“Sono d’accordo, c’è stato un momento nella nostra storia in cui abbiamo pensato che il mondo potesse migliorare davvero, stava accadendo, il muro di Berlino era venuto giù, l’apartheid era finito e Mandela era stato liberato, si cominciava a pensare alla natura in un altro modo con le battaglie di Greepeace, o alla solidarietà con concerti come il Live Aid, c’era un idealismo che sembrava realistico. Oggi il mondo sembra molto più complesso, allora era facile poter dire cosa andava e cosa no, era chiaro cosa rappresentasse Reagan o cos’era l’apartheid. Ma io sono un tipo ottimista, so che posso fare delle cose positive con la musica, fare pensare la gente e trasmettere empatia, cercare di dare un senso a quello che accade, anche con una canzone”. 

"Fai quello che senti"

In questi 45 anni, nonostante tanti avvenimenti abbiano cambiato, in maniera drastica, il mercato e la musica, i Simple Minds sono riusciti a rinnovarsi restando molto fedeli a loro stessi e nell’album questo ‘suono’ che li caratterizza si sente in maniera molto chiara, una scelta coerente, anche se lontanissima dal mainstream: “Devi fare quello che senti, devi essere quello che sei. Bob Dylan è così, sono così i Rolling Stones, ognuno ha il suo stile. Certo puoi cambiare, fare cose particolari, ma devi restare te stesso, le grandi band hanno il loro suono. E’ il nostro DNA, è come il colore degli occhi. Cerchi di fare del tuo meglio, alle volte sei alla moda, altre volte no, ma l’importante è seguire le direzioni del cuore, anche se la fortuna cambia”. 

E cosa è cambiato davvero in Jim Kerr con il passare degli anni? “L’umore principalmente. Quando ero giovane ero serio e intenso in un certo modo, oggi l’intensità è sempre la stessa ma rido di più. E’così nella band, c’è più humor, più leggerezza nell’affrontare i problemi, quando sei giovane non ci riesci proprio”. 

Certo, i dischi sono importanti, segnano come pietre miliari la distanza, la storia, l’evoluzione. Ma per una band come quella di Jim Kerr i concerti sono il momento in cui tutto diventa ‘vero’: “Qualche giorno fa vedevo un’intervista di quando avevo diciotto anni. Mi chiedevano cosa sperassi e io rispondevo che avrei voluto essere in una grande band, andare in giro per il mondo e suonare. E’ la vita che faccio ancora, dopo più di 40 anni, con tutte le sfide che questo ha comportato e ne sono contento. Suonare dal vivo era importante allora e lo è ancora oggi, siamo invecchiati ma abbiamo più esperienza, siamo seri ma sappiamo divertirci di più, e abbiamo un rapporto più diretto con il pubblico, cerchiamo di farli sentire accolti, proviamo a far scomparire il palco ed essere uniti con loro. Credo che questo sia ancora il vero, grande, segreto del rock!”. 

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