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Pink Floyd: perché e come hanno pubblicato 12 album dal vivo

I "bootleg ufficiali" spiegati e recensiti da uno dei massimi esperti della band inglese. Cosa si nasconde dietro l'operazione dei Pink Floyd e, soprattutto, cosa sono i bootleg?
Pink Floyd: perché e come hanno pubblicato 12 album dal vivo

Il 10 dicembre 2021, con una mossa che ha sorpreso i fan di tutto il mondo, i Pink Floyd hanno distribuito sui loro canali digitali dodici nuovi album dal vivo, tutti provenienti da alcuni “storici” cd e vinili bootleg. Si tratta di una operazione epocale per la band inglese; al pari di altri illustri colleghi, i Pink Floyd hanno sempre mal digerito i bootleg e ben poco hanno potuto fare per contrastare, nel corso degli anni, questo fenomeno. Nick Mason, lo storico batterista dei Pink Floyd, durante la promozione del suo libro “Inside Out”, aveva espresso nel 2004 la sua opinione sui dischi illegali: “Odio le registrazioni bootleg. Lasciateci scegliere le registrazioni, per favore”.
Non si sa quanto casualmente, il 29 agosto 2017 Mason pubblicava sul suo profilo Twitter il fermo immagine di un video di Neil Young, ripreso con un suo bootleg tra le mani alle prese con un commesso di un negozio di dischi. Mason scriveva: “La leggenda musicale Neil Young va a fare shopping di dischi e trova canzoni illegali di Neil Young”. Si trattava di un filmato datato dicembre 1971 che Young stava girando per il suo film sperimentale “Journey through the past”. La reazione del chitarrista, non riconosciuto dal giovane commesso, fu quella di prendere il disco illegale di CSN&Y e uscire dal negozio senza pagarlo! “Lo porto via perché non deve essere venduto”. Meno di 50 anni dopo, nel 2020, Neil Young annunciava la pubblicazione ufficiale di una serie di concerti intitolata “Official Bootleg Series”, sei titoli con materiale proveniente dai “bootleg” del periodo 1970-1977. Young aveva scelto di duplicare i suoi bootleg più popolari sin dalla grafica di copertina, cercando però di rendere migliore l'audio. Quello di Neil Young non è l'unico esempio e sono numerosi gli artisti che hanno deciso di rendere “ufficiali” i loro bootleg più famosi. Da qualche settimana fanno parte di questa schiera di artisti anche i Pink Floyd, fino a ieri tra i più acerrimi nemici dei dischi “illegali”. Cosa si nasconde dietro l'operazione dei Pink Floyd e, soprattutto, cosa sono i bootleg?

Cos'è un bootleg

I bootleg sono registazioni di concerti o di sessioni in studio, sia amatoriali che professionali, distribuite in maniera illegale tra i fan, sia a pagamento che scambiate senza fini di lucro. Sono appunto illegali perché vengono realizzate senza l'ausilio e l'approvazione degli artisti e di chi detiene i diritti. La parola deriva dall'abitudine dei contrabbandieri di oggetti negli stivali.

La registrazione dei concerti di alcune tra le band più famose del rock e non solo, è una pratica che nasce quasi parallelamente alle esibizioni dal vivo, fin dagli anni '60 ed è stata raccontata da un bel libro di Clinton Heylin, "Bootleg: The Secret History of the Other Recording Industry". I fan sono famosi per la bramosia di voler  possedere tutto quello che riguarda il proprio artista preferito. Dal momento in cui nel 1963 la Philips ha commercializzato il primo registratore portatile a cassetta, tutti potevano catturare su nastro una registrazione audio, ad esempio, di un concerto dal vivo. Questi nastri analogici, che inizialmente venivano scambiati tra gli appassionati senza scopo di lucro, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta sono stati riversati sui primi vinili bootleg rock della storia. Nati nel 1969, i bootleg hanno spesso avuto uno scopo commerciale; erano parte di un mercato parallelo a quello ufficiale, con i titoli (inizialmente su vinile), venduti “sottobanco” nei negozi di dischi specializzati a prezzi che si avvicinavano a quelli ufficiali, pur non avendo gli stessi costi di produzione. In alcuni casi i bootleg hanno permesso il recupero di materiale storico di grande interesse su un dato artista. Spesso infatti le registrazioni riguardavano anche inedite incisioni in studio, come nel caso dell'album Great White Wonder di Bob Dylan del 1969, ritenuto il primo bootleg “ufficiale” della storia del rock. In alcuni casi invece, come quello noto dei Grateful Dead, le band incentivavano o tolleravano le registrazioni dei concerti come mezzo per creare una comunità e diffondere la propria musica: purché fossero amatoriali e senza fini di lucro: nasce così il fenomeno dei "taper", a cui tuttora alcune band riservano spazi nei concerti. I Dead hanno poi iniziato a vendere i propri "bootleg ufficiali" negli anni '90.

I Pink Floyd, una delle band più famose del mondo, sono notoriamente tra gli artisti più colpiti da questo fenomeno. Il primo bootleg pubblicato a loro nome risale al 1970 e si intitola “Pinky”; prodotto in Inghilterra, numero di catalogo DJ3003, era stato registrato in maniera amatoriale durante il loro concerto ad Amburgo il 12 marzo 1970 e conteneva una versione embrionale di “Atom Heart Mother”.

I bootleg dei Pink Floyd

Per tutti gli anni Settanta, tra alti e bassi, i bootleg su vinile continueranno a monopolizzare il mercato. Questi dischi li riconoscevi subito; la copertina era solitamente un foglio ciclostilato con stampa monocolore, incollato su una copertina di cartone bianca, mentre le etichette erano solitamente bianche o gialle, senza scritte o con nomi e titoli fuorvianti (i dischi venivano stampati presso le stamperie “ufficiali” ed era un modo per non dare nell'occhio). I nomi delle etichette erano poi dei più fantasiosi, da Contra Band Music (CBM) a Dittolino Disco, da Trade Mark of Quality (TMOQ) a The Amazing Kornyphone Record Label (TAKRL). Acquistarli era un po' come far parte di un circolo fuorilegge: ti sentivi complice del negoziante di dischi, che dopo la vendita usciva per strada con fare circospetto e ti dava il via libera, quasi come se lì fuori ci fosse appostato mezzo esercito pronto ad intervenire. Tornavi felice a casa per l'ascolto in religioso silenzio, magari in cuffia, per scoprire le rarità nascoste tra i solchi di quel vinile, anche se per la maggior parte dei bootleg il suono non era paragonabile alle uscite ufficiali. Le cose cominciarono a migliorare e già a partire dalla metà degli anni Settanta le copertine venivano stampate a colori, in offset e l'aspetto generale era decisamente più professionale, traendo in inganno gli acquirenti convinti di aver acquistato un disco “normale”.

A partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, ai vinili furono affiancati i compact disc. Tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta, in Europa e in particolar modo tra Italia e Germania, i cd bootleg raggiunsero vendite importanti, proponendo al pubblico sia la ristampa di alcuni storici e fortunati 33 giri “illegali”, sia nuovi e interessanti concerti. Sfruttando alcune locali leggi molto permissive sul copyright, era possibile stampare e distribuire praticamente ogni tipo di registrazione, soprattutto degli artisti più popolari; l'importante è che la data dell'esecuzione contenuta sul supporto digitale avesse più di vent'anni. Cd bootleg venivano spesso realizzati con qualità grafica e packaging di livello professionale, sia su semplici cd che come lussuosi ed elaborati cofanetti. In Italia i cd bootleg venivano distribuiti col bollino SIAE, mentre alcune etichette discografiche nostrane, come la Great Dane Records, si sentivano così al sicuro da indicare sulla confezione addirittura l'indirizzo della propria sede (a Milano) e il numero di telefono dei propri uffici! Altre etichette specificavano all'interno della confezione del cd di aver provveduto ad aprire un conto bancario dove l'artista poteva recuperare il compenso relativo ai propri diritti d'autore. All'interno della copertina del cd “Embryo San Diego 1971”, proprio uno dei titoli pubblicati dai Pink Floyd qualche settimana fa, si legge: “Ai sensi e per gli effetti dei disposti di cui all'art. 80 e segg. L. 22/4/1941 N. 633 la soc. distributrice ha effettuato, mediante costituzione di un libretto bancario al portatore, deposito a favore degli artisti esecutori componenti il gruppo musicale e degli aventi diritto e/o loro aventi causa come specificato sul retro della copertina del supporto, di un equo compenso per ciascuna copia stampata e distribuita. La soc. distributrice del presente supporto di suono, depositaria di detto libretto, lo pone a disposizione degli aventi diritto, come sopra identificati, che ne facciano espressa richiesta”.

Grazie a questo escamotage, la vendita dei cd bootleg raggiunse numeri di rilievo. I dischetti erano disponibili in tutti i negozi italiani, non più nascosti nel retrobottega come i vinili ma affiancati ai titoli ufficiali, o addirittura pubblicizzati sui cataloghi di vendita per corrispondenza come quelli di Nannucci, Sweet Music e simili.

I Pink Floyd, che alla fine degli anni '80 tornavano sulle scene grazie al tour di “A Momentary Lapse Of Reason”, furono ovviamente presi di mira dalla nuova ondata di bootleg, soprattutto su supporto digitale. Le uscite che li riguardavano erano veramente tante, con prezzi per un doppio cd che superavano anche le 40mila lire, quasi il doppio rispetto a un titolo “ufficiale”. Una cifra di tutto rispetto, se si considera che nel 1988 il biglietto per un concerto italiano dei Pink Floyd costava 30mila lire...

2021: arrivano i bootleg “ufficiali” dei Pink Floyd

Con questa mossa i Pink Floyd hanno voluto recuperare una manciata di concerti risalenti al 1971, appropriandosi di alcuni famosi bootleg e al tempo stesso allungando i diritti d'autore relativi a queste registrazioni, in scadenza a fine 2021, seguendo il trend di altri artisti come il già citato Neil Young, Bob Dylan e i Beach Boys che di recente hanno reso “ufficiali” alcuni loro storici bootleg. I dodici album distribuiti dai Pink Floyd provengono da concerti risalenti al 1971, anche se in un paio di titoli sono contenute tracce registrate nel 1970 e nel 1972. In realtà gli album sono undici (quello di Copenhagen è stato diviso in due) e recano tutti il copyright della Pink Floyd Music Ltd.

Questi dodici titoli sono stati inizialmente lanciati sulle piattaforme digitali “ufficiali” dei Pink Floyd (YouTube, Spotify, Amazon, iTunes), conservando titolo e copertine degli storici bootleg. Qualche ora dopo queste copertine sono state sostituite da una grafica comune a tutti gli album; al centro dell'immagine di sfondo, che si ripete identica ma con tonalità diversa per ogni album, sono riportate le scritte che descrivono i vari titoli.

La distribuzione di questi bootleg ufficiali ha ovviamente carattere commerciale. Sullo store di iTunes ognuno dei dodici album è acquistabile al prezzo di 9 euro e 99, 1 euro e 29 centesimi per alcune singole tracce. Stessa cosa su AmazonMusic, dove gli album si possono acquistare in digitale a 8,99 euro l'uno, mentre per un numero ridotto di canzoni di ogni album il costo è di 1,29 euro a traccia.  C'è poi un'altra motivazione, quella determinante: l'estensione del copyright: nell’Unione Europea le registrazioni sonore sono protette dal diritto d’autore per i cinquant'anni a partire dalla data di incisione: si può estendere per altri 20 anni, purché le registrazioni vengano pubblicate ufficialmente e legittimamente in un qualsivoglia formato. Un fenomeno che negli anni passati ha riguardato registrazioni di Dylan, degli Stones, recentemente di Lou Reed, solitamente pubblicate in modalità limitata e poi ritirate dal mercato.

Non è chiaro se i Pink Floyd abbiano intenzione di stampare e distribuire questo materiale su supporto fisico, cd o vinile che sia. Prevedendo questa possibilità, alcuni fan hanno riempito i social di commenti poco lusinghieri nei confronti della band. Forse per evitare commenti inappropriati e critiche varie, i Pink Floyd hanno scelto di disattivare nel loro canale ufficiale YouTube la possibilità di aggiungere commenti su tutti gli audio bootleg. A proposito di YouTube, a un mese dal lancio ufficiale di queste registrazioni, le visualizzazioni (ovviamente gratuite) per ogni canzone sono veramente esigue, mentre non si hanno informazioni sui download a pagamento.

QUA I BOOTLEG UFFICIALI RACCONTATI NEL DETTAGLIO UNO PER UNO.

Fine... oppure è solo l'inizio?

La registrazione della data di Quebec City del 10 novembre 1971 è l'ultima dei dodici bootleg che i Pink Floyd hanno voluto regalare ai propri fan in occasione del Natale 2021. Se questa operazione dovesse avere un seguito, la prossima 'sfornata' riguarderà logicamente i concerti del 1972, per i quali si può già anticipare il contenuto.

Tra fine novembre e fine dicembre 1971, di ritorno in Inghilterra dal tour statunitense, i Pink Floyd si mettono al lavoro per comporre una nuova e lunga suite da presentare durante la tournèe inglese prevista nel gennaio 1972. Questo lungo componimento musicale deve superare i 40 minuti e, successivamente, sarà inciso in studio come nuovo album dei Pink Floyd. C'è poco tempo e i quattro musicisti decidono di utilizzare una nuova metodologia, diversa da quella che aveva generato qualche mese prima la suiteEchoes”. In pochissimo tempo recuperano una serie di canzoni tenute nel cassetto, ne compongono alcune nuove e le uniscono tutte insieme, in un continuum musicale e testuale che segue un'idea, un concetto, così come avevano già fatto nel 1969 in occasione delle due suiteThe Man” e “The Journey” (pubblicate ufficialmente solo nel 2016).

I Pink Floyd presentano questa nuova opera a partire dal concerto di Brighton del 20 gennaio 1972. Tra il 30 maggio 1972 e il 9 febbraio 1973 questa lunga composizione, che la band avrebbe suonato in tutte le date del 1972 presentandola per un certo periodo come “Eclipse”, viene incisa, modificata e affinata in studio. Sarà pubblicata nel marzo 1973 in un album che in alcuni paesi non riporta il titolo: la copertina ha uno sfondo nero, al centro c'è il simbolo di un triangolo attraversato da un fascio di luce, che genera uno spettro di sei colori. Il titolo? “The Dark Side Of The Moon”...

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