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Parliamo con *Chumbawamba*

Se a rispondere alle domande di un’intervista è un gruppo, a volte le risposte sono espressione di personalità forti e ben distinte (vi aspettereste una risposta "comune" dai Rolling Stones?). Altre volte i componenti della band rispondono collettivamente, ogni tanto completando il pensiero come Qui Quo & Qua. Il fatto che ciò succeda coi Chumbawamba è se non altro indice della coesione del gruppo; i vezzi individuali (la gonna di Danbert o i capelli blu di Alice) sono limitati all’esteriorità: i quattro membri del gruppo da noi incontrati parlano quasi all’unisono, più di politica che di musica, anche se quel poco che dicono in proposito è abbastanza interessante.

C’è una domanda che è praticamente un classico, e che con voi è un imperativo: il successo vi ha cambiati?...

"Prima conseguenza del successo: dormiamo di meno. Comunque, solo perché abbiamo imbroccato un singolo, la gente pensa che abbiamo fatto un sacco di soldi, che siamo cambiati e abbiamo chissà quale potere. Dal lato privato peraltro il successo è fastidiosissimo. Forse a Bono piace,

ma è totalmente diverso dalla nostra mentalità. In ogni caso, se abbiamo tutta questa attenzione su di noi, dobbiamo usarla per andare contro la tradizione del rock’n’roll.

La cosa più importante e rimanere sani di mente. Il nostro modo di intendere la vita e il nostro modo di lavorare come gruppo non sono cambiati".

I soldi non cambiano la vita?

"Oh, non li abbiamo ancora visti, le royalties arriveranno alla fine di marzo...ti faremo sapere. Comunque tutti quanti dovrebbero avere delle sicurezze: un tetto sulla testa, da mangiare, diritto alla cultura e al divertimento. C’è un limite alle cose che puoi avere. Nessuno ha davvero bisogno di due case. Per 15 anni siamo stati senza soldi...E ora abbiamo 15 anni di debiti da pagare. Se ne arriveranno a sufficienza ne metteremo un po’ da parte, ma li useremo soprattutto per progetti come fare una rivista o un film".

Molti hanno ironizzato sul fatto che in tv avete difeso chi ruba nei negozi. E’ vero che in Inghilterra la Virgin ha ritirato i vostri dischi dai suoi megastore?

"Se la gente non ha soldi cosa deve fare? L’intervistatore della tv ci ha chiesto cosa pensavamo dello "shoplifting" ed io (Alice, N.d.R.) ho detto: "Beh, non è un mondo equo, c’è chi può permettersi un sacco di lussi e chi non ha i soldi per comperare il nostro disco, e allora va bene; però ho suggerito di rubare nei megastore e non nei negozietti di gente che ha pochi soldi e fatica a tirare avanti. Lo shoplifting fa parte del gioco, è perfettamente ragionevole oltre che inevitabile. Anche noi per tanti anni lo abbiamo fatto. Non è che ce l’abbiamo con la Virgin, ce l’abbiamo con l’ingiustizia del mondo in generale, ma il big business annovera ben altri ladri: le grandi compagnie non pagano le tasse o sfruttano i loro lavoratori. La Nike sta chiudendo tutte le sue fabbriche in USA per riaprirle appena oltre il confine del Messico per non pagare le tasse e pagare meno i lavoratori. Nel mondo degli affari questo procura ammirazione e copertine delle riviste per i grandi managers che hanno avuto questa idea meravigliosa. Nessuno dice "Questo è sbagliato". Dicono: "Oh, che senso del mercato". Nessuno li fa arrestare, come succede per chi rubacchia le loro scarpe da tennis nei negozi".

Ma la vostra casa discografica vi avrà fatto perlomeno qualche menata in proposito, pensando che la gente si sarebbe sentita incoraggiata a rubare i vostri dischi.

"Chi se ne frega. Non vogliamo vendere milioni di copie di dischi, vogliamo dire la nostra su come le cose non vanno. E poi se non avessimo rubato all’inizio della nostra carriera non saremmo qui: metà degli strumenti che abbiamo li abbiamo rubati tanti anni fa".

Hanno usato la vostra musica per una pubblicità.

"Ci interessa la propaganda, e la sua discendenza dalla cultura pop. Non possiamo tagliare i ponti con il mondo capitalista in cui viviamo: accettiamo il fatto di vivere in un mondo capitalista, all’interno del quale la pubblicità fa passare messaggi. Di fronte a questo, tu puoi scegliere di non far passare messaggi di alcun tipo oppure utilizzarla per far passare il tuo messaggio in qualche modo. Noi utilizziamo un veicolo capitalista per far passare un messaggio anticapitalista".

Pensate che la gente riuscirà a distinguere?

"Oggi la gente vuole conoscerci e sapere chi siamo: noi dobbiamo sfruttare il momento per provare a portare qualche cambiamento nel mondo. Non vogliamo rifugiarci in qualche eremo e guardare tutto con disprezzo dall’alto. Ad alcuni ha dato fastidio il fatto che siamo usciti dall’underground. La gente che ci rispetta di più sa cosa vogliamo, e capisce che stiamo allargando il nostro discorso a un pubblico più vasto. In un certo senso siamo perfino contenti che Norbert sia stato arrestato, perché ci ha dato la possibilità di dire che una certa legge per cui lui è stato arrestato non è giusta".

A proposito, Norbert, quando sei stato arrestato a Firenze, ti sei sentito soprattutto irritato o anche un po’ divertito?

"Oggi ci rido sopra, ma al momento ero soprattutto irritato. Ero già stato arrestato in Inghilterra - per shoplifting - ma mai perché indossavo una gonna. Sì, avevo le mutande... Quello che non avevo erano i documenti".

Gran brutta pensata.

"Non mi aspettavo che i poliziotti italiani avessero una mentalità più chiusa di quelli inglesi. E poi dimmi una cosa: da voi è normale che in cella ci siano ragazzi di dieci anni? Può succedere che i bambini siano nelle stesse celle degli adulti?"

Era un posto di polizia, penso che giustifichino la cosa come provvedimento provvisorio.

"Sarà. Sono stati lì per ore: uno di loro batteva sul vetro perché voleva andare in bagno".

Comunque si dice che siate pronti per un’altra istituzione italiana: dopo le patrie galere, Sanremo.

"E’ molto probabile che ci andremo: stiamo trattando. L’abbiamo segnato sulla nostra ricca agenda di attivissime rockstar... Poi vedremo".

Siete anche in contatto con i centri sociali italiani.

"Abbiamo il massimo rispetto per la tradizione italiana e per l’organizzazione dei centri sociali italiani. Il Leoncavallo è un modello di come dovrebbero essere i centri sociali, che in Inghilterra non ci sono più: negli anni ’80 il governo aveva dato soldi alle comunità, poi se li è ripresi, in entrambi i casi per impulso della sinistra, che ha fatto un uso elettorale della cosa. Molto furbetti, i nostri amici del Labour Party".

Ho letto un articolo dove vi indicavano come i nuovi Jefferson Airplane, per struttura della band e attitudine. Vi identificate con qualche gruppo del passato?

"La cosa dei Jefferson deriva dal fatto che anche loro erano una specie di comune, o così si racconta. Tutti nel nostro gruppo hanno gli stessi diritti, funzioniamo come un’entità unica. C’è chi fa i conti, chi guarda le e-mail...Ognuno ha un suo compito in una giornata lavorativa piena. Ma per il resto, non condividiamo questa cosa tipica del rock di inserirsi in un filone. Noi siamo noi, qui e adesso. I Jefferson sono stati grandi ma sono stati un prodotto del loro tempo e del loro paese, come noi lo siamo del nostro. Per quanto ci riguarda, è soprattutto in Inghilterra che abbiamo un ruolo in questo momento. Nel nostro paese la sinistra governa snaturando se stessa e la destra ne evidenzia facilmente i difetti morali e i limiti. Ecco perché siamo così determinati nei confronti del governo Blair: non possiamo lasciare il compito di coscienza alla destra solo perché vediamo la sinistra al governo. Sarebbe il caso che la sinistra si ricompattasse senza pensare alle radici anni ’60 e ’70 e noi potremmo avere un ruolo in tutto questo".

Tornando a parlare di musica, chi vi ha influenzati?

"Ci piacciono molto i Fall. I gruppi venuti dopo i Sex Pistols sono stati i più importanti. I Fall hanno fatto quello che volevano senza seguire le tendenze del momento".

Cosa pensate invece della attuale scena musicale dominata dalle vecchie rockstar?

"Lo vuole l’industria. Anzi, l’industria sono loro: insomma, Bowie, Rod Stewart sono delle multinazionali quotate in borsa. L’industria rock se ne frega della creatività. Stanno succedendo cose eccitanti, in giro, né più né meno di quanto capitava negli anni ’60 e ’70, ma l’industria oggi è più forte e preparata a sfruttarle quando ci vede opportunità o soffocarle quando ci vede dei pericoli. Ma del resto neanche negli anni ’60 e ’70 nessuno si aspettava che il meglio venisse proposto da Top of the Pops, dalla tv o dalla stampa borghese".

Se il vostro successo finisse domani?

"Faremo qualcos’altro. Non abbiamo sempre desiderato essere popstars, siamo in questa posizione? Ok, la sfruttiamo e ci divertiamo. Sappiamo bene che sarà difficile avere un altro successo: tutto quello in cui crediamo e il nostro modo di concepire il lavoro è opposto a quello del mercato discografico. Non a caso, abbiamo avuto un successo in 15 anni. Ma le nostre idee sopravviveranno a noi. Certe idee anarchiche saranno sempre connaturate. Ognuno odia il suo insegnante, il suo capo, il suo lavoro: l’importante è trovare qualcuno che riesca ad esprimere quello che alla maggior parte della gente non è consentito esprimere".

Cosa avete pensato vedendo la visita del Papa a Cuba?

Risponde Alice Nutter:

"E’ una questione politica. Castro usa il Papa, per guadagnare qualche simpatia all’ovest. Il Papa usa Castro per far vedere che è ancora vivo. Quell’uomo sta morendo.

Il Vaticano invece è più vivo che mai ed è potentissimo, condiziona le menti e i comportamenti individuali: pensiamo all’aborto e all’omosessualità. Ho visto il Papa in tv, diceva: piove, il cielo piange perché sto lasciando Cuba, Dio manda un segnale. Ma cosa dici, pensi che la tua visita cambierà la storia di Cuba, sei matto, pensi di essere Dio? Lascia perdere, torna nella tua bella casetta a Roma ad ascoltare Bob Dylan tutti i giorni".

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