
Il suo terzo album, "Campi di popcorn", veleggia in questo momento nella top ten italiana degli album più venduti, segno che il pubblico continua a seguirlo. E questo nonostante Gianluca Grignani, sin dai tempi di Sanremo, abbia avuto un atteggiamento insofferente nei confronti delle vittorie facili, preferendo ogni volta rimettersi in gioco in nome di una musica che lo rappresenti il più possibile. E successo anche questa volta, e nellintervista a Grignani ci siamo soffermati il più possibile su vari argomenti, per cercare di capire qual è lorigine di questa incontenibile voglia di muoversi
"Campi di Popcorn", oltre a essere il titolo del tuo nuovo album, dà anche il nome a una canzone che avevi già scritto ai tempi de "La Fabbrica di Plastica"....cos'è successo dopo l'uscita di quel disco e del relativo tour?
Sono stato in studio per fare dei provini di due pezzi di Battisti, che in origine avrebbero dovuto essere utilizzati su una compilation che poi non si è mai fatta. Dopo è venuto fuori "Campi...". Sono andato un po' in giro: Stati Uniti, Sudamerica, Italia e, con le idee ormai chiare sul disco, di nuovo negli Stati Uniti. Sono andato a San Francisco, da Corrado Rustici. Gli ho spiegato che tipo di disco volevo fare e lui mi ha detto: "Per fare quello che vuoi tu, hai bisogno di un non-arrangiatore, un non-fonico e un non-produttore. Io non vado bene, però posso darti i nomi delle persone adatte". I nomi erano quelli del produttore dei Verve, di quello dei Jellyfish e di quello dei Live. Quello dei Verve ha detto che avrebbe accettato soltanto se avessi fatto il disco alle sue condizioni, cosa che naturalmente non mi stava bene. Il produttore dei Jellyfish era impegnato e per un periodo si è parlato anche di Arto Lindsay, che aveva ascoltato i miei provini e ne era rimasto colpito. Poi alla fine ho optato per Jay Healy, che mi sembrava una persona più facilmente 'addomesticabile'. Poi come tecnico del suono è geniale, sa fare benissimo i suoni, ti ascolta.... Anche se non sembra, su questo disco ci sono molti loops, e la capacità di farli stare insieme è dipesa tutta dalla bravura di Jay Healy.
Come ti sei trovato a New York?
A me non piace. Puzza...
Cioè?
Non saprei dirti, ma ha un odore strano. L'unica cosa buona sono il sushi e il sashimi (piatti giapponesi, ndr), che in Italia non si trovano facilmente. Infatti sto addirittura pensando di inaugurare una catena di ristoranti che facciano sushi e sashimi. Gli ultimi due tre mesi che sono stato negli Stati Uniti, tanto a New York che a San Francisco, mangiavo solo sushi e sashimi.
Sì, so che i primi tempi diventa quasi una "dipendenza", devi andarci a mangiare spesso...comunque, al di là della puzza, c'è qualcosa che ti è piaciuto?
Sì, le mescolanze etniche, l'idea di stare in un posto dove puoi incontrare veramente gente di tutte le razze. In realtà poi New York dal punto di vista musicale non è questo granché, non c'è una scena ben definita... Mentre invece dal punto di vista lavorativo è fantastica.
E' meglio dell'Italia?
Sì, purtroppo sì....
Perché?
Perché...ma come perché, dai! La strumentazione che hanno lì.... e poi non so, ho elaborato una mia teoria. Credo che il motivo della loro grandezza dipenda dal fatto che sono tantissimi, e quindi hanno anche tanti brani musicisti, tecnici, ecc. Loro possono permettersi tutto quello che vogliono proprio in nome del fatto che sono tantissimi. Poi, per carità, è anche vero che la storia della musica rock per come la conosciamo e l'ascoltiamo noi viene da lì, però credo che il numero di persone sia importante. E' anche una questione di spazi...Io comunque a vivere negli Stati Uniti non ci andrei mai, ci starei male.
Parlavi prima della scena newyorkese...
A New York non ho saputo trovare una scena del rock. Per me è stato un bene, perché non ero influenzato da niente, se non forse da MTV, ma sulla scena musicale non c'era niente fuori dalle righe. Se fossi andato a Los Angeles, San Francisco o Seattle, sarei impazzito perché c'è una scena più accesibile. Lì il disco forse non sarei neanche riuscito a farlo....
New York ha un suono secondo te?
Sì, quello degli Spin Doctors del primo album. E' precisamente il suono di New York di oggi, un suono che è ancora così...
Riconosci qualcosa di New York nel tuo disco?
No, ripeto mi ha influenzato poco, mi piaceva solo il sushi, sul serio...però mi sono divertito a New York, e poi facevo un tipo di vita assurdo. Lavoravo dalle 11 del mattino alle 2/3 del mattino dopo, tutti i giorni. Facevo una vita... Avevo trascorso i mesi precedenti in giro per gli States, dormendo in macchina dove capitava, cambiando posto notte dopo notte. A New York ho passato tre mesi dal lavoro al letto della stanza del mio albergo, che dava proprio sul Central Park....un po' alienante. Lì è nato un pezzo...
Come si intitola?
Sull'album non c'è. Si intitola "New York" e fa così: "La strada è piena di confusione/ne ho già vista tanta per fortuna/non basta questo a fare impressione/qui ad un passo e mezzo dalla luna...."
E come mai non l'hai messa sull'album?
Perché non è finita!
Hai provato anche tu il brivido di andare a correre di notte al Central Park?
To'(gestaccio). E mica sono scemo. Però ci sono andato di giorno, ogni cinque metri c'era qualcuno che ti offriva qualcosa.....
Quando sei arrivato a New York il disco era già finito?
No, potrei dire che l'ho chiuso in studio.
Cosa mancava?
Ho finito il lavoro sul suono, in realtà.
Una cosa che mi sorprende è l'idea del suono con cui ti presenti in sala di registrazione. Mi sembra incredibile che tu possa avere le idee così chiare...
Anche a me, però è così. Ci sono stati due vantaggi in questo approccio, uno è stato l'aver lavorato all'Hit Factory, e l'altro è che sto imparando a suonare sempre più. Non è che prima fossi un cane, però un conto è suonare dal vivo, un conto in studio. Devi essere molto più tecnico, molto più pulito, attento. Sto crescendo, per cui le mie idee sono sempre più dettagliate. Sto scoprendo una qualità che credevo di non avere, quella di dirigere, di far capire agli altri cosa voglio. Alla fine ho diretto il lavoro di quattro musicisti, un produttore e un tecnico e non è stata una cosa facile: perché non ho un esperienza decennale, perché il tutto doveva avvenire in inglese, perché questi facevano i professionisti. Tutti che s'atteggiavano un po, capito?...
L'Hit Factory è stato lo studio di John Lennon...
Sì, bellissimo! Ho fatto il disco sullo stesso desk utilizzato da Lennon e John Leckie per "Double Fantasy". Pensa che nello studio c'era questo quadro enorme di John Lennon e di Sean che lo guardava.
Possiamo dire che questo è il tuo disco più influenzato da Lennon?
No. Il titolo lo è.
E il resto no?
No. Non è così.
Mi sembra che tu abbia 'regolato il conto' con quel tipo di psichedelia che proviene dal "White Album" dei Beatles...
Ci sono delle cose, dei giri armonici, come in "Dalla cucina al soggiorno", anche se lì l'ho un po' nascosta, e poi in "Il Joker"; c'è questa discesa melodica all'inizio...
Be', anche in "Hi Buongiorno Guerra"...
Sì, è vero, ma lì è trattata completamente in un altro modo, la chitarra è accordata in un modo assurdo, che cambia completamente, anche se ti dà questo tipo di sensazione. E' un giro, tu stai confondendo il giro con quello che in realtà è il risultato del disco. In questo disco credo di essere tornato alle radici di quello che sono, e io sono un incrocio tra Vasco Rossi e Battisti. Tra la metropolitana di Precotto e viale Palmanova, tra Central Park e Parco Lambro. E' così. Io non sapevo neanche che esistesse una realtà underground, allora...
Se su Battisti eravamo tutti d'accordo, a cominciare da te, di Vasco non parlavi molto all'inizio della tua carriera...
Perché mi piaceva troppo, tanto da aver paura che potessero pensare che io volessi associarmi a qualcosa che era talmente forte e pesante da potermi schiacciare. Adesso sono tornato alle radici, però con il mio suono e le mie influenze. Ad esempio da Vasco ho appreso la maniera di parlare, cioè di cantare quasi parlando, la sua scrittura... quando lui canta sembra quasi che parli, e ci sono cose mie che sono fatte così, secondo me deve essere una cosa che viene naturale. Vasco ha comunque preso da Battisti e, anche se dicono che dal punto di vista melodico non ha portato niente, secondo me Vasco ha delle aperture che non aveva neanche Battisti, con una solarità incredibile.
E il suono dell'album, da dove viene?
Il mio suono è visto dal punto di vista internazionale, nel senso che altri ragazzi di altri paesi potrebbero riconoscersi in quello che faccio. E' l'idea di come si mettono insieme i suoni che fa la differenza e al tempo stesso la similitudine. Credo da questo punto di vista di essere riuscito a mettere insieme qualcosa che finalmente rappresenta "la provincia del mondo".
Cioè?
Il rock è nato e si è diffuso negli Stati Uniti e poi in Gran Bretagna: questa è la musica che continua ad espandersi e a poco a poco deve riuscire a metabolizzare anche i linguaggi di altri paesi. Adesso tocca alla 'provincia' tirare fuori il suo suono. E' come un procedimento a macchia, adesso tocca a noi.