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Un nuovo disco , un nuovo giro di concerti negli stadi: il ritorno in grande stile del cantautore romano...

Tra meno di un mese uscirà il suo nuovo album "Sono io, l'uomo della storia accato, e Claudio Baglioni è visibilmente stanco ma appagato. L'incontro con Rockol è avvenuto negli studi milanesi nei quali il cantautore romano è alle prese con le ultime cure del disco, alla ricerca di effetti elettronici che mirano alla suggestione. Tra un'occhiata al passato e uno sguardo al futuro, Baglioni si lascia andare a significative anticipazioni sull'album, sul tour e sulla sua vita: "Tra qualche mese mi laureo in architettura finalmente, così poi non farò più il cantante", dice ironico. Prima che ciò accada - e con i dovuti scongiuri - abbiamo cercato di saperne di più sul lavoro del futuro architetto.

Sta per uscire il tuo nuovo album, che disco dobbiamo aspettarci?
L'album uscirà entro maggio, non il 16, perché farlo uscire il giorno del mio compleanno mi sembrava un po' disgustoso (ride). E' un disco fatto a mano, molto suonato, anche se la parte finale è ricca di effetti elettronici, di ricerca di sonorità particolari. E poi, siccome con l'andare avanti del tempo l'unica vera angoscia non è più il successo o l'insuccesso, ma è terminare il lavoro e doverlo consegnare, fino all'ultimo istante siamo tecnicamente nella condizione di intervenire anche su brani chiusi, qualora ci fosse un intervento musicale che non convince più, una nota cantata male, una parola che è meno efficace di un'altra che si trova all'ultimo momento.

Fino alla pubblicazione, quindi, il tuo disco non può dirsi concluso?
Sì, io lavoro così. Nel precedente disco che ho fatto tre canzoni le ho ricantate addirittura durante il mastering, l'ho fatto per evitare di andare a casa di ogni singola persona a dire: qui avrei voluto dire questo e non quello che c'è nel disco (ride). Questo perché forse c'è anche una forma di ingenua presunzione per la quale uno vorrebbe essere infinito, non finire mai.

Dal primo singolo, "Sono io", si intuisce un cambiamento rispetto agli ultimi lavori. Sei passato da un linguaggio più ermetico a uno più diretto e comunicativo, è così?
Ho l'impressione che la voglia e il tentativo di scrivere in maniera più diretta, di gettare un ponte tra me e chi dall'altra parte è disposto e ha voglia di ascoltarmi si siano trasferiti nel risultato finale del disco. Non parlo solo del singolo anche perché il disco è, secondo me, plurale e per questo sono in difficoltà a ragionare per singoli. Comunque mi sembra un album diretto, che ha in sé la ricerca della semplicità. E', inoltre, il disco più rapido che io abbia fatto fino ad oggi, almeno dal punto di vista della realizzazione.

In quanto tempo lo hai fatto?
Saranno stati solo sette/otto mesi di lavoro e rispetto ai due/tre/quattro anni che abitualmente ci impiego... Oddio, io avevo addirittura pensato di farlo in un tempo ancora più breve, come un'istantanea, però magari sarà un progetto della prossima volta.

Dicevi che è un disco plurale, lo è anche dal punto di vista musicale?
Ci sono molte facce sia dal punto di vista dei contenuti che da quello musicale. E' un disco musicalmente articolato, in certi momenti addirittura sinfonico, in altri assolutamente leggero, intendo dire molto magro, molto scarno. E' un disco vero dal punto di vista delle sonorità, c'è poca elettronica che serve a creare stati d'animo, non è palese, è subliminale, serve a portare meglio l'avanzamento del brano, serve a creare una sorta di suggestione nascosta.

Dei contenuti cosa puoi anticiparci?
E' un disco d'amore, fatto di canzoni d'amore in senso classico e più in generale di canzoni d'amore per il mondo, nel tentativo di amarlo meglio e di amarlo di più. Cosa che non ho detto per quindici anni, perché solo dire la parola amore mi disgustava, mi dava fastidio; adesso dico forte che darsi più amore è l'unica speranza. Mi piacerebbe che chi lo ascoltasse ricevesse questo messaggio, almeno io ho provato a fare un disco che traboccasse d'amore. E poi c'è il bisogno di identità, tradotto in "Sono io", ma praticamente presente in tutto l'album.

Cosa intendi per bisogno di identità?
Una ricerca di un io di nuovo riconoscibile, in seguito alla sensazione un po' umiliante degli ultimi tempi. Dalle piccole storie private alle grandi storie dell'umanità, l'io è scomparso completamente rispetto a una sorta di voi non meglio identificato, che poi viene definito da un io che comanda un po' più degli altri. In questo album, invece, c'è una ricerca di identità personale, di riconoscibilità.

E' per questo che hai scelto di dare risalto alla parola "io" all'interno del tuo nome e cognome anche nella grafica delle locandine del tour?
Sì, e poi è una parola che a me piace molto graficamente, perché è formata praticamente da un cerchio e un rettangolo. Inoltre mi piace perché lì dentro c'è un po' tutto, insomma l'io, che non è un ego, è una ricerca di se stessi, proprio perché musicalmente credo di cominciare da me in questo lavoro. Adesso non so quanto ancora avrò la ventura di fare dischi e persino di cantare, per cui non posso fare progetti, però se dovessi fare tutto questo per un altro decennio, potrei inaugurarlo proprio con questo album, ricominciando da me, smettendo di andare a cercare qualcun altro e qualcos'altro, ma guardandomi indietro per guardare meglio avanti.

Vuoi dire che quello che stai per pubblicare è un album di partenza?
Non direi. Secondo me è un disco di arrivo, in cui io vado a cercare quello che ho fatto nei 35 anni della mia onorata carriera e cerco di riportarlo a oggi, con i musicisti di oggi, con la maturazione di oggi o anche con qualche piccola confusione che anche oggi è dentro di me.

Confusione?
Per i diversi ruoli che occupo, tra compositore, autore, cantante, coarrangiatore. Per cui faccio anche fatica a metterli tutti insieme e c'è una specie di gioco interno per il quale io do delle colpe a uno di me per le cose che mettono in difficoltà l'altra parte.

Parlavi dei tuoi 35 anni di carriera, come li vedi oggi?
A parte i primi cinque anni vissuti cercando di ottenere successo, da un certo punto in poi la mia carriera è scandita da decenni che in maniera compatta traducono le mie scelte. Gli anni '70, per esempio, sono caratterizzati da temi post adolescenziali; negli anni '80 c'è la possibilità attraverso "Strada facendo" e "La vita adesso" di raccontare una vita oggettiva, che sta sotto gli occhi di tutti; negli anni '90 ci sono tre dischi molto complessi e molto architettati, tutti e tre di ricerca. Ora mi sembrava arrivato il momento di ricominciare da me.

Per i live, negli ultimi anni hai fatto una scelta minimalista esibendoti da solo nei teatri. Perché adesso hai deciso di tornare nuovamente alla liturgia degli stadi?
Secondo me sono i salti ad essere importanti, al di là del successo e dell'insuccesso. La sensazione di affrontare qualcosa che ti impegna, che è veramente nuovo e che ti solidifica è inebriante, perché stai dicendo alle persone: vi sto offrendo un invito diverso, se volete venire, andiamo a fare una gita da un'altra parte, non vi porto sempre a vedere il solito pezzetto di panorama... Questo è importante veramente per continuare a lavorare, altrimenti questo mestiere si potrebbe farlo benissimo, se si è fortunati, per quindici anni, in cui uno ha l'energia vera, creativa, e poi con molta dignità ci si dovrebbe ritirare. Altrimenti si rischia di diventare una macchietta, una vignetta di se stessi, nel tentativo di non voler assomigliare tutta la vita a quello che si era trent'anni prima, con usi inverosimili di qualunque cosa, anche di pancere...

I grandi spazi degli stadi richiederanno un grande impegno...
E' vero e in questa occasione io avrei preferito avere uno spazio non così grande, proprio perché so che è veramente impegnativo specialmente per chi viene a partecipare, non tanto per me. Chi fa il concerto sta su un palco contornato da musicisti, è chi viene a vederlo che deve essere messo in condizioni di farlo al meglio. Mi ricordo ancora, nel '98, il concerto allo stadio Olimpico, decisi di farlo al centro, perché se l'avessi fatto da una parte, l'ultimo spettatore sarebbe stato quasi a 300 metri e per vedermi avrebbe dovuto usare praticamente il satellite. Comunque lo stadio è l'unico ambiente recintato in grado di accogliere tanta gente, per quanto questi stadi italiani siano orribili, perché sono gabbie con steccati e fili spinati.

I tuoi concerti sono stati annunciati come spettacolari, cosa stai preparando?
Lo stadio è grande e non puoi pensare di fare uno spettacolo piccolo, tutto deve essere estremamente sottolineato, esagerato, non può essere meno che grande. Nel grande, poi, devi trovare un motivo spettacolare, dando per buono che la musica che fai è la tua musica, che i musicisti sono bravi, per il resto devi pensare agli occhi, all'emozione complessiva. Io ho fatto parecchio in questo senso, sono uno di quelli che in Italia si è dato più da fare dal punto di vista dello spettacolo. Stavolta, però, l'impegno non è tanto quello di fare ancora di più. L'altro giorno, un amico al quale esprimevo alcuni miei dubbi mi ha detto: "Guarda che se Bubka dovesse tutte le volte saltare mettendo l'asticella più su a quest'ora dovrebbe saltare un chilometro e mezzo in alto. Per cui ti dovrebbe andar bene anche se salti sempre la stessa quota, ma ti dovresti anche abituare a saltare due o tre centimetri in meno".

In cosa consisterà la spettacolarizzazione del concerto?
La verità è che non posso dirlo, perché per la prima volta nella mia storia, il concerto non è definito in partenza, e questa è la cosa che più mi sta entusiasmando del tour. Sono definite le parti musicali, ma non è definita tutta la spettacolarizzazione. Mi spiego meglio: una ottantina di persone saranno sempre le stesse in ogni concerto, ma molti degli altri partecipanti e molti dei figuranti - cioè coloro che stanno tra pubblico e protagonista - sono trovati nella località, quindi c'è un incontro con la gente del posto che entra a far parte del concerto. Lo spettacolo si completerà via via. Ci sono cose che abbiamo preventivato, ma io spero nelle meraviglie, nelle cose che possano leccare gli occhi, per cui io stesso vado incontro in ogni concerto a qualcosa di nuovo e di artistico.

Come sceglierai i partecipanti e i figuranti occasionali?
E' un lavoro che non sto ancora facendo in prima persona, perché mi sto attardando sul disco, ma lo stanno facendo Luca Tommassini e Pepi Morgia, con l'aiuto di alcuni assistenti. Si stanno muovendo più che altro nei canali di professionisti o semiprofessionisti, ma anche di persone che a livello amatoriale fanno delle performance, delle prestazioni, dal circense fino all'acrobatico, allo sportivo. Tra l'altro anche dal punto di vista scenografico c'è una ricerca particolare svolta attraverso le accademie delle belle arti e di arti figurative.

Oltre alla tua band, ci saranno anche altri musicisti con te sul palco?
Ci sarà un'orchestra con le varie sezioni: di archi, di legni e di percussioni, oltre appunto alla classica band pop rock. Inizialmente anche l'orchestra doveva essere scelta in ogni località, però si è temuto di non riuscire ogni volta a concertare, perché se coreograficamente puoi interpretare, la musica non è un'opinione e certe cose non puoi suonarle in tonalità diverse. Così porteremo in giro un'orchestra fissa di quarantadue elementi.

Quanto durerà lo spettacolo?
Circa tre ore. Capisco che non è poco, però mi sembra ci sia gente che aspetta una cosa del genere da mesi. Vedo questo concerto un po' come quest'ultimo album, nel senso che io vorrei raccontare il più possibile e chiaramente quello che ho fatto finora, quindi serve un po' di tempo, perché faccio questo mestiere da parecchio.

Uno spettacolo così lascia immaginare un grande dispendio economico. Cosa ti ha spinto ad investire così tanto?
C'è innanzitutto un discorso personale e individuale. Se tutto quello che si ricava da questo mestiere fortunato e di privilegio c'è chi sceglie di metterlo da parte o di investirlo in altri settori, non so, in culture di kiwi per esempio, io sono probabilmente tra quelli meno ricchi, proprio perché nel tempo c'è sempre stata questa riconversione all'interno del mio stesso mestiere. Non so da cosa provenga questa scelta, forse perché ho avuto il successo quando meno me lo aspettavo, sento di aver ricevuto come un grande regalo, e così cerco tutta la vita di meritarmelo. Poi c'è un altro aspetto, che è il vero successo del mio mestiere, non certo quello dei privilegi, ma quello di natura sentimentale: io ho avuto l'affetto di persone alle quali non ho mai dato nulla sul piano individuale, personale. Nei momenti di dubbio e di crisi, perché comunque in qualsiasi lavoro ci sono dei giorni drammatici in cui sembra che il mondo stia scoppiando intorno a te, mi vado a rileggere per esempio una lettera, alla quale non rispondo mai per motivi di imbarazzo e di pudore, che mi commuove e mi fa capire che qualcuno mi ha dato quello che veramente è più grande di qualsiasi somma: il suo tempo e il suo affetto. E penso che questo io lo debba rimettere tutte le volte in gioco.

(Paola De Simone)

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