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Con 'Sailing to Philadelphia' è tornato sulla scena, dopo una lunga pausa. Mister 'Dire Straits' si racconta...

Se è stato primo in classifica un motivo c’è, ed è molto semplice: quel suono, quella chitarra, quella voce. Non si può resistere, neanche 20 anni dopo, e gli stessi che mandarono in classifica “Making Movies” sparano oggi al numero uno “Sailing to Philadelphia”, forse scoprendo solo in un secondo momento che quel suono che amano nel disco è presente ben poco. “Sailing to Philadelphia” è un album molto intimista e cantautorale. Ma, alla fine, non potrà non piacere a chi ha amato la lunga e dorata stagione dei Dire Straits, che in Italia confermano un seguito quasi calcistico. Il passaggio a Roma di Mark Knopfler, avvenuto qualche settimana fa, era servito a farsi raccontare da lui un po’ di cose a proposito del nuovo album, dei progetti e soprattutto della sua sua pigrizia, che ha raggiunto – per ammissione dello stesso Knopfler – uno status leggendario. Gentile e affabile, con uno spiccato senso dell’umorismo tutto inglese, Knopfler inizia confessando che a scuola veniva spesso ripreso per il suo vizio di rifare il suono della chitarra con la bocca. Da qui arriva la prima domanda e, di seguito, il resto dell'intervista...

Fai ancora il suono metallico della chitarra con la gola?
A volte quando mi sveglio la mattina e ho alcune idee in mente le canticchio: sfortunatamente finisco per dimenticarmele tutte quando smetto di radermi. In questo modo riesco con un discreto successo a dimenticare le canzoni che mi vengono in mente: di solito comunque canticchio delle ritmiche, non necessariamente gradevoli. Insomma, ora come allora... E’ abbastanza triste, ma spesso ci si rende conto che la propria vita è soltanto una fase prolungata della propria adolescenza.

Anche questo album lo è?
Sì. Io non ho ancora imparato a realizzare un album come si deve! Inizio scrivendo due o tre pezzi, poi me ne vado a casa. A quel punto quasi certamente passerà qualcuno a propormi di fare un giro in moto, e in quel caso non mi tiro certo indietro. Poi magari mi metto a lavorare su una colonna sonora – perché? non saprei, forse perché amo distrarmi -, poi scrivo altre due o tre canzoni, torno a casa, poi mi propongono un altra colonna sonora. Passano 18 mesi e mi ritrovo con troppe canzoni in mano, e allora penso che magari sarebbe il caso di pubblicare un doppio, ma quella non è una cosa che mi piace. Allora inizio a scegliere le canzoni, e intanto faccio un’altra colonna sonora! E’ ridicolo...e inoltre non c’è nessuno che mi dia una mano. sono certo che se un autore professionista di colonne sonore vedesse il mio modo di lavorare si metterebbe le mani nei capelli! Ho sicuramente bisogno di mettere un po’ d’ordine nel mio metodo...

E’ per questo che sono trascorsi quattro anni dal tuo precedente lavoro di studio, “Golden heart”?
Assolutamente sì! Per il prossimo album ho intenzione di lavorare per davvero in modo serio, imparando a fare le cose come si deve: il mio problema è che imparo lentamente...

Eppure ci sono cose in cui sei decisamente prolifico, come ad esempio le jam sessions: se ne contano circa 80 cui hai partecipato per altrettanti album...
Davvero?!?

Sì, davvero, sono documentate...
Be’, questa è una cosa che sorprende anzitutto me! Mi fa anche un po’ paura...

L’impressione che si ha ascoltando l’album è che il singolo “What it is” sia una sorta di specchietto per le allodole: ha un andamento movimentato, in classico stile Dire Straits, mentre il resto dell’album è molto più cantautorale...
Be’, di sicuro l’impressione che deve avere avuto la mia casa discografica nel trovarsi di fronte a “What it is” è stata quella di ascoltare qualcosa di molto simile a quanto già fatto nel corso della mia carriera, per via del riff suonato dalla Fender Stratocaster...ragion per cui mi hanno chiesto di poterla utilizzare come primo singolo...

Quali sono invece i temi portati dell’album?
Devo dire che il disco è nato semplicemente come una raccolta di canzoni, anche se alla fine del lavoro mi sono accorto che c’erano state delle tematiche di riferimento da cui ero attratto. Uno dei temi che mi ha sempre affascinato e che compare anche qui è la tenacia dei singoli individui, della gente comune. Io sono affascinato dal modo in cui le persone perseguono degli obiettivi e agiscono per raggiungerli. Questo ci riporta a una vecchia canzone dei Dire Straits, “Telegraph road”...un’altra cosa che mi sta molto a cuore è la storia, il suo essere un processo vivo, in continua evoluzione, e questo si può vedere sia a livello temporale che a livello spaziale. Nei luoghi troviamo l’evoluzione continua della storia, che però continua ad avvenire nello stesso posto, in un alternarsi di cambiamento e staticità. In una città come Roma un cosa del genere si vede benissimo, ma anche ad Edimburgo – città che menziono in “What it is” – puoi vivere fisicamente questa dimensione di cambiamento e staticità. E’ una città che vedo popolata di fantasmi, e ho scritto quella canzone in un vecchio albergo vicino alla dogana, e ho scoperto in seguito che lì c’era anche la vecchia dogana, di età medievale. Un’altro tema importante è l’idea della frontiera, come dimostrano canzoni come “Prairie wedding”, dove troviamo delle persone impegnate a costruire la civiltà in un posto di frontiera. Nella canzone si parla dei matrimoni organizzati per posta, per le particolari condizioni socio-economiche: c’era bisogno di donne, anche nel Far West, e siccome non c’erano i matrimoni venivano organizzati per posta. In “Sailing to Philadelphia” parlo di questa città in cui io sono solito fare scalo quando viaggio in aereo negli Stati Uniti. Stavo leggendo il libro “Mason & Dixon” di Thomas Pynchon, e che è la storia di due esploratori britannici mandati dal governo ad esplorare la zona, e mi sono reso conto di come il tempo sia passato con grande velocità, visto che soltanto il secolo scorso quella era una terra da esplorare e adesso uno dei più importanti nodi del traffico aereo degli Stati Uniti. Anche in “Speedway at Nazareth” si parla di questo rapporto tra antichità e modernità: è una canzone scritta 10 anni fa, ambientata in un futuro che adesso è diventato presente, e racconta della caccia al Sacro Graal in una città come Nazareth, che è sinonimo di storia dell’umanità e che nel brano diventa il simbolo di questo rapporto tra ciò che passa e ciò che resta. Anche Roma è così; i tempi cambiano ma la gente rimane la stessa.

Sei uno dei pochi acculturati del mondo del rock...(Knopfler ride un po’ imbarazzato e un po’ divertito... e volevo sapere se la cultura influenza il tuo modo di scrivere...
Credo che l’ispirazione vada catturata da qualsiasi luogo essa provenga, tanto dai libri che dal resto. Le canzoni sono come le persone, non ce n’è mai una uguale all’altra, e questo dipende anche dalla ispirazione, che è diversa per ognuna di loro. Per quello che riguarda me, posso dirti di ricevere ottime idee dai libri che ho letto e dai film che ho visto, ma anche dall’aver bevuto qualche birra di troppo...oppure da un giro in motocicletta. Le canzoni nascono dalle passioni che ho, in definitiva, e le mie passioni sono quelle. Ad esempio, continuo ad avere un rapporto quasi ossessivo con la chitarra, specialmente con la Fender Stratocaster rossa. Non so quante volte l’ho suonata, ma ancora adesso quando me la trovo davanti mi emoziono. Adesso ho comperato una MV Agusta, la moto che era di Giacomo Agostini, e le giro intorno felice come un bambino. Ma queste cose mi danno idee esattamente come il leggere dei buoni libri...

Nelle note biografiche allegate al disco vieni descritto come “il cantante e chitarrista dei Dire Straits”: questo significa che il gruppo è ancora insieme?
Ci siamo riuniti due volte, ultimamente, in occasione del concerto in onore di Nelson Mandela, al Wembley Stadium, e poi, un paio di anni fa, quando John (Ilsley, il bassista del gruppo, ndr) si è sposato con la ragazza con cui stava da una vita, e abbiamo suonato per il suo matrimonio. Inutile dire che il pubblico delle due occasioni era leggermente diverso...(ride), ma in ogni caso è stato divertente. Se c’è una buona ragione per suonare ancora insieme e divertirsi, be’, perché no?

Come mai nell’album ci sono due brani di 10 anni fa?
Perché sono molto lento nella realizzazione. “One more matinee” ad esempio risale ai tempi in cui facevo ancora il giornalista, ed ero andato ad assistere ad un matinee di “Cenerentola”: ad un certo punto sono rimasto chiuso nel camerino delle sorellastre, e lì è nata quella canzone, che ho concluso soltanto di recente. sono terribilmente lento. “Rudiger”, una canzone che viene dall’album precedente, l’ho scritta nel 1980, più o meno nel periodo in cui è morto John Lennon, e da allora non ho cambiato una parola: soltanto, la musica è arrivata nel 1995, da sola, e tutto quello che ho dovuto fare è stato metterla insieme al testo.

Hai un diverso modo di lavorare quando ti occupi di colonne sonore?
Certo, visto che in quel campo ci sono delle scadenze ben precise, per cui non si può essere troppo pigri. Scrivere colonne sonore è un modo per tenere in esercizio i muscoli.

Ci puoi dire qualcosa sulle collaborazioni con Van Morrison e James Taylor presenti sul tuo disco?
Be’, per quanto riguarda Van Morrison posso dire che la sua musica e la sua voce fanno parte della mia vita da quando sono un bambino. L’avevo conosciuto all’inizio degli anni ’80, quando avevamo lavorato insieme in occasione del suo album “Beautiful vision”. Cantare insieme su questo disco è stato come realizzare un sogno. Mentre scrivevo il brano “The last laugh” mi sono reso conto che la voce che immaginavo in quella canzone era proprio la sua. Per quanto riguarda invece James Taylor, è successo che lui mi aveva chiesto di produrre il suo album. Da parte mia ho pensato a lui per “Sailing to Philadelphia”, canzone che ha due protagonisti e di conseguenza due voci. James poteva fare Mason molto bene, con un tono di voce particolare, e il risultato è ottimo, a mio parere.

Ci saranno dei concerti per questo disco?
Credo proprio di sì. In realtà, quello è il vero motivo per cui ho fatto questo album, visto che non credo di vendere milioni di copie. Spero di fare un bel tour, con gente contenta e bei concerti, così come è stato in occasione del tour di “Golden heart”. Amo suonare dal vivo e credo che suonerò in Italia nell’estate...

In molti ricordano i tuoi straordinari assoli alla chitarra, eppure in questo disco ce n’è solo un paio: perché?
Dipende dalla struttura delle canzoni. Per le canzoni presenti su questo album non mi sembrava il caso di inserire troppi assoli, semplicemente non mi venivano.

Che progetti hai per il futuro?
Ho inciso qualche brano con Emmylou Harris, che non abbiamo utilizzato per questo lavoro. Probabilmente ne registreremo altri e potremmo fare tutto un disco suo, ma per il momento stiamo a vedere...


(Luca Bernini)

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