“Swag II” è il disco della riabilitazione di Justin Bieber

No, il viaggio di Justin Bieber non è ancora finito. Ed è lui stesso a ribadirlo. Lo fa in “Speed demon”, la canzone che apre il suo nuovo album “Swag II”: «And I go speed racing, we ain’t finished, we ain’t finished just yet», «E corro veloce, non abbiamo finito, non abbiamo ancora finito», canta, in un puro self-empowerment. L’avevamo lasciato, due mesi fa, alle prese con il racconto delle sue crisi e dei suoi drammi, tra gospel e lodi a Cristo. “Swag”, uscito lo scorso luglio, suonava come un allarmante grido d’aiuto, quello di una popstar smarrita, sia artisticamente che umanamente, che sembrava incapace di riprendere il controllo di quella vita che lo stesso cantautore canadese in tempi non sospetti aveva definito come «un film che tutti stanno guardando», al cui epilogo assisteva con un senso di impotenza. Ma quella era solamente una faccia della luna, quella nascosta: a superare quella narrazione, o meglio, a completarla, ci pensano ora le canzoni di “Swag II”. Che è la faccia della luna che riflette la luce del sole. Nel nuovo album Justin Bieber mette via l’autocommiserazione che caratterizzava i pezzi di “Swag” e si lancia in una serie di self-empowerment solari, gioiosi, proprio come quella “Speed demon” che di “Swag II” rappresenta non a caso i titoli di testa. È un pezzo in cui l’ex enfant prodige del pop cresciuto troppo in fretta canta di perseveranza e fiducia in sé stessi e in cui l’immaginario delle corse automobilistiche rappresentano una spinta a superare la negatività e ad andare avanti.
Un tour nel 2026, a distanza di quattro anni dall'ultimo?
“Swag II” contiene ventitré pezzi che fanno da contraltare ai ventuno che componevano la tracklist di “Swag”: tra pop, r&b, indie-rock e ballatone le atmosfere sono più solari e spensierate rispetto a quelle del primo volume del dittico. “Swag” ha rappresentato al tempo stesso la fine di un nuovo ciclo nella carriera di Justin Bieber e l’inizio di un altro, in un loop costante di ascesa, caduta e redenzione: era il disco della redenzione, in cui Bieber metteva in musica l’ultimo periodo della sua vita, tra scandali, gossip e quella difficoltà a vivere costantemente sotto le luci dei riflettori che caratterizza da sempre la sua carriera. “Swag II” è il disco dell’ascesa, l’ennesima, e non a caso a pochi giorni di distanza dall’uscita del secondo volume del dittico è arrivata la notizia che la popstar canadese sarà tra gli headliner dell’edizione 2026 del Coachella, il festival che ogni primavera nel deserto di Indio, in California, inaugura la stagione dei grandi raduni musicali estivi negli Usa, tra gli eventi mediatici più seguiti e commentati d’oltreoceano. Chissà che non sia l’antipasto dell’annuncio di un nuovo tour mondiale, a distanza di quattro anni dall’ultimo, il “Justice World Tour”, chiuso prima del previsto nel 2022 a causa di una paresi facciale che colpì Bieber.
"Tutto ciò che esce dalla sua bocca è pop"
In “Swag” Justin Bieber si guardava dentro e provava a raccontare i suoi disagi in un flusso di musica in cui le tracce, 21 in tutto, pari a 54 minuti 20 secondo di musica, si susseguivano senza soluzione di continuità, componendo un calderone di suoni che teneva dentro di tutto, dal pop all’r&b, dal rap alla trap, passando per il lo-fi e il gospel. In “Swag II” Justin fa ordine. Intanto, non si guarda più dentro, ma intorno: parla non solo da popstar, ma anche da marito e padre, raccontando l’importanza dei rapporti e cosa significhi crescere. E lo fa con canzoni-canzoni, dall’appeal fortemente pop, caratterizzate da una maggiore coesione stilistica rispetto a quelle di “Swag”: ci ha lavorato insieme a nomi di punta del panorama r&b, indie e alt-pop contemporaneo come Dijon, Carter Lang, Eddie Benjamin, Dylan Wiggins, Daniel Chetrit. C’è anche Mk.Gee, vero nome Michael Gordon, 27enne chitarrista, produttore e cantante che l’autorevole e prestigioso New York Times lo scorso anno ha soprannominato «an unlikely guitar God», «un improbabile Dio della chitarra», che in “Swag” aveva contributo a “Daisies” e che qui produce (e co-firma) “Love song”. Peccato che siano gli unici pezzi frutto della loro collaborazione, perché sono entrambi tra i più riusciti dei rispettivi dischi e la combo tra il pop di Bieber e l’attitudine do-it-yourself di Mk.Gee funziona: «Sta sperimentando. Tutto ciò che esce dalla sua bocca è musica pop», si era lasciato sfuggire il chitarrista e produttore negli scorsi mesi, quando era trapelata la notizia della sua collaborazione con la voce di “Baby”. È proprio così: tutto ciò che esce dalla bocca di Bieber è musica pop e “Swag II” lo conferma.
La maturità
“Swag II” è un disco pieno di buoni propositi. C’è una canzone nello specifico che rappresenta il cuore del disco ed è “Better man” (sembra quasi un passaggio obbligato scrivere una canzone in cui si racconta di essere un “uomo migliore” nella carriera di una popstar in cerca di un riscatto anzitutto personale, poi anche artistico: da Robbie Williams a Paolo Nutini, il pop-rock è pieno di pezzi sul tema intitolati proprio così). Nel brano, Justin celebra l’amore per Hailey Baldwin, sua moglie, nonché madre del piccolo Jack Blues, nato un anno fa, come forza trasformativa. Nel testo, Bieber canta di come stare con lei faccia emergere la migliore versione di sé stesso e dice: «Ti prometto solo tenerezza». L’enfant prodige del pop è diventato grande. Stavolta per davvero.