
Il Tom Tom Club riapre dopo 8 anni. Che avete fatto, di bello, in questo periodo?
CHRIS - Abbiamo prodotto alcuni gruppi. Il primo disco solista di Shirley Manson, quello che ha fatto dire a Butch Vig: ‘Ehi, ora formo i Garbage con questa ragazza...’ Poi Ofra Haza, i Los Fabulosos Cadillacs... Nel ’96 abbiamo fatto l’album degli Heads con Jerry Harrison, insieme a Debbie Harry, Andy Partridge e ad altri cantanti. Tra l’altro abbiamo nel cassetto un altro disco degli Heads, stavolta con un solo cantante, l’ex vocalist dei Londonbeat. Ma ci hanno sconsigliato di uscire con una cosa troppo avant-garde in questo periodo.
Hmm, cosa significa – in questo periodo - avant-garde?
CHRIS - Moderno, sperimentale. Non Philip Glass, perché sto sempre parlando di rock. Chi fa questo tipo di musica oggi? Mi metti in crisi… Al momento non è molto incoraggiante muoversi in questa direzione, perché chiunque vede che facendo dance e hip-hop si hanno più possibilità di sfondare.
L’idea del Tom Tom Club comunque è sempre stata di proporre musica da ballo, anche se “The good, the bad and the funky” non somiglia ai dischi dance di oggi.
TINA – Inizialmente doveva essere una compilation retrospettiva, con qualche brano nuovo. Poi abbiamo avuto problemi legali con l’etichetta. Nel frattempo, ci siamo ritrovati a collaborare con musicisti fantastici, ma privi di contratto. Così ci siamo ritrovati a riaprire il “Club” anche per favorire Mystic Bowie, Charles Pettigrew, Kid Ginseng… Lo spirito del disco non è diverso da quello del debutto dei Tom Tom Club. Musica ballabile, ma anche piacevole da ascoltare. Non sempre la dance attuale lo è.
Quando due grandi appassionati di musica come voi scelgono un brano per una “cover”, la scelta non è mai casuale. Come mai “Love to love you baby”?
TINA – Sembrerà strano, visto che è un pezzo famoso per il suo erotismo, ma è una canzone che usavo come ninna-nanna per i miei bambini! Ci è sempre piaciuto, ne registrammo anche una versione con Debbie Harry, che poi non abbiamo mai utilizzato. Viene da un’epoca in cui i punk dicevano di odiare la disco-music, ma in realtà a noi la buona “disco” piaceva. Si trattava di un brano che abbatteva alcune frontiere, soprattutto in Usa. Un italiano, Giorgio Moroder, e una donna di colore, Donna Summer, che incidevano un pezzo dalla esplicita carica sessuale…
Voi siete una sezione ritmica “storica”. Cosa trovate di interessante in giro da questo punto di vista?
TINA – Il fatto che non si usi più il funky drum beat. Forse era anche ora.
CHRIS – Credo di essere uno dei pochi batteristi che difendono l’uso del computer. E’ che noi facciamo jam con la base.
TINA – Cosa che in realtà non limita la creatività musicale. Ti risparmia un po’ di fatica, e ti dà più tempo e spazio per improvvisare.
Nel vostro disco c’è un brano, “Who feelin’ it”, che contiene un elenco di musicisti cui rendete omaggio, dai Wu-Tang Clan al vostro vecchio idolo, James Brown. Ho notato che, tranne i Beastie Boys, sono tutti di colore. Nonostante tutto, il ritmo non si addice ancora ai bianchi?
TINA – Un’altra cosa che avresti potuto notare è che non ci sono donne, in quell’elenco. Il che sta a indicare che io sono in realtà un grande omaccione nero... Il fatto che Dio abbia scelto che io esternamente fossi una donna, piccola e biondina, è marginale.
CHRIS – Non è che non mi piaccia la dance fatta da bianchi… Mi piace questo Mirwais, che ha fatto il disco con Madonna. Ricorda parecchio i Kraftwerk.
TINA – “Who feelin’it” è un pezzo inciso nel gennaio ’98, è l’ideale continuazione di “Genius of love”, che era sul debutto dei Tom Tom Club. E’ un pezzo in cui si immagina di essere nel paradiso della musica, e ci sono tutti…
CHRIS – In quel momento i Wu-Tang Clan non erano famosi per le loro pendenze penali. Ma rimango convinto che se tiri via il circo di atteggiamenti che fa parte dell’hip-hop, spesso ti rimane della grande musica; nel loro caso, non si può negare che il produttore abbia fatto un grande lavoro. Trovo che Jim Jarmusch abbia utilizzato in modo splendido questo tipo di musica per il film “Ghost dog”.
TINA – Per fortuna sta crescendo l’influenza di gente che ha capito che per fare hip-hop non è necessaria un’immagine da “gangsta”. I Fugees ad esempio riescono a farne a meno.
Okay, ora tenetevi pronti al domandone. Il rock è finito?
CHRIS – Viene spesso la tentazione di dirlo… Lo si pensava anche prima che venissero fuori i Nirvana. Quindi ora forse sta semplicemente ricaricando le batterie in attesa che qualche altro giovanotto salti fuori e lo porti avanti. Certo non basta aggiornare gli atteggiamenti dei Rolling Stones nel 1969: bisogna anche fare la musica che facevano loro, e questo non tutti lo hanno capito.
T.W – Troppa gente fa puro intrattenimento. Marilyn Manson è un prodotto hollywoodiano. Poi c’è MTV, che alterna tette e culi alla pubblicità di scarpe e pantaloni. Ovviamente, la musica che mandano deve essere funzionale agli spot pubblicitari. Chi correrebbe a comprare una Pepsi dopo aver visto un video che lo mette a disagio? E che non dicano che hanno coraggio, perché mandano un pezzo solo dopo che vedono che in radio funziona… L’industria musicale è davvero un ambiente noioso e molto prudente, più di quanto sembri. E più di tanti altri ragiona in termini di denaro. Abbiamo pronto un disco degli Heads, ma ci ripetono tutti che per musica del genere manca il “formato”. Non saprebbero come catalogarla, a che radio proporla. E sono stati loro a lavorare per porre barriere tra i generi, per fare in modo che la gente si abituasse a ricevere solo musica che non va oltre.
Quando si parla dei vostri inizi si cita sempre un periodo e un ambiente, la New York anni ’70. C’è ancora qualcosa di simile in giro?
TINA – A metà anni ’70 c’erano il CBGB’s, c’era Andy Warhol, c’erano cose che ti facevano pensare: questo è il posto dove essere; e molta gente ne veniva attratta. Se uno sentiva di aver qualcosa da dire, veniva a New York. E scopriva cosa gli mancava. Mi ricordo quando gli XTC vennero per la prima volta. Erano pietrificati di fronte all’America. Ma anche i Ramones, che non erano mai usciti da Long Island, erano esterrefatti da Manhattan. Ora abbiamo casa nel Connecticut… New York è stata resa asettica da Rudolph Giuliani. Non le ha dato sicurezza, le ha tolto la vitalità. Noi abbiamo avuto la fortuna di essere cresciuti in un bozzolo artistico molto ricco.
CHRIS - Ma ci vogliono persone attorno alle quali un movimento possa ruotare, gente che incentivi le forme di espressione. Una persona così, ad esempio, era Fran Tomasi, che fu il primo a portare il rock in Italia, e volle a tutti i costi noi e i Police.
TINA – L’ultimo posto che ha rappresentato un forte polo di attrazione è stato Seattle, ma lì secondo me hanno voluto a tutti i costi creare una “scena” quando in realtà c’era una sola band. Ora non so se Internet fornirà una comunità virtuale, se farà da luogo di aggregazione in modo da sostituire il ruolo di poli d’attrazione come sono stati New York, Detroit, Londra, San Francisco… Ma non credo: per imparare qualcosa c’è sempre bisogno della presenza fisica, e di essere a contatto. Non credo che gli studenti a scuola imparino tanto dagli insegnanti, quando dal fatto di esser tutti assieme in un posto.
Altro domandone… So che non è un argomento facile, ma perché i Talking Heads sono finiti?
TINA – Perché una certa persona ci ha fatto del male. Senza che noi gli facessimo niente. E sai perché? Per soldi.
Beh, ma stiamo parlando di David Byrne: pensavo che qualche lira l’avesse messa da parte.
TINA – Un vero avido non ne ha mai abbastanza. Sai, non voglio diventare come certi vecchi musicisti che passano la vita ad accusare qualcun altro. Ma David ha un cervello del tutto particolare… Non è una persona normale. Penso che sia una specie di autistico altamente funzionante. Con loro stai sempre attento a non trattarli male, e del resto ti accorgi che fanno cose buone. Ma spesso avevi l’impressione che fosse completamente scollegato. Invece forse ci prendeva in giro. Si è preso il merito di un sacco di cose fatte da noi. Ogni tanto leggevamo nelle interviste: ‘Ah, io ho composto questo e quello perché…’ Ed era roba nostra, solo che lui alle nostre spalle era corso alla casa discografica a far cancellare le nostre firme dai brani, il giorno in cui stampavano le etichette dei dischi.
Ma se è così, perché non glielo avete impedito?
TINA - Sembra facile a dirsi. Ma come fai a prevedere che una persona ti accoltelli alle spalle? E poi quando succedono certe cose, la tua reazione è di incredulità, non puoi reagire. Se pensi che stia esagerando puoi chiedere a tutte le persone in cui ha lasciato cicatrici, come Brian Eno e Jonathan Demme. Brian Eno è noto a tutti come persona di grande intelligenza, no? E’ rimasto anche lui scottato ai tempi di “My life in the bush of the ghosts”. Ma stiamo parlando di una persona che ha fatto causa alla sua ragazza… Per noi quello che contava era la nostra band, e non facevamo musica per fare soldi. I primi anni ci pareva di aver realizzato il sogno di essere un gruppo di persone che dimostravano come insieme si possa fare arte. Poi un giorno leggiamo sul giornale che il nostro gruppo è finito. Che diritto aveva di farlo?
CHRIS – Tutti i ragazzi che mettono su un gruppo pensano: non può succedere a noi. Pensavamo di essere diversi dalle altre band. In realtà purtroppo non era così. Guarda un po’, anche noi abbiamo visto ripetersi il solito vecchio ritornello: il cantante se ne va perché tutti capiscano chi è il genio. Tu fai il giornalista musicale: quante volte lo hai visto succedere?
D’accordo. Ma come sapete, tutti gli riconoscono grandi capacità. E forse anche voi, per rimanerci assieme degli anni…
TINA - Credo che sia un grandissimo chitarrista ritmico. E’ in grado di assorbire una tecnica e una combinazione di accordi in modo stupefacente. Penso sia una sorta di memoria fotografica. E ha fatto delle cose molto buone con i Morcheeba.
(A questo punto, Tina va a parlare con un giornalista tedesco, al telefono. Con Chris si comincia a parlare dei Morcheeba, e di gruppi dance, in particolare degli Underworld, e di come suonano dal vivo: risparmiamo al lettore la chiacchierata musicale).
Pensate di venire a suonare in Italia?
CHRIS – Abbiamo un’ottima live band, e forse verremo a primavera. Non te lo posso garantire. Sinceramente, un tour costa. E noi non ne guadagniamo niente – sai, nella musica si guadagna dai diritti d’autore e di pubblicazione. Ecco perché sono le cose che danno più problemi con le etichette.
(Tina torna dalla telefonata col collega tedesco, ed è molto nervosa).
T.W – Siete tutti uguali. Esce il disco dei Tom Tom Club, e voi fate solo domande su di lui. Volete sapere di lui perché era il genio…
No, non è vero. Mi spiace avertelo fatto pensare. Se vuoi un parere personale credo che le cose che ha fatto da solo siano molto deludenti rispetto ai Talking Heads, eccetto forse il suo primo disco solista, “Rei momo”. E ritengo anche che molti miei colleghi gli attribuiscano un credito illimitato proprio a causa dei Talking Heads. A me piacevano i Talking Heads, non David Byrne. Perciò sto cercando di capire da voi, che eravate metà del gruppo, perché il gruppo è finito. Mi sembra una curiosità legittima anche per chi legge, e ha conosciuto i Tom Tom Club grazie ai Talking Heads.
TINA (solo blandamente rinfrancata) - Ok, mi spiace di essermi lasciata andare… Ma rimani ferito da una persona solo se le vuoi bene. E noi abbiamo voluto bene a lui e alla nostra band.
C.F – Purtroppo stiamo parlando di una persona che nella nostra vita è una specie di incubo ricorrente.
Ma evidentemente tra voi c’era una certa alchimia. Succede, nei gruppi, da Lennon-McCartney in poi… Anche tra loro si ruppe qualcosa.
TINA – Beh, io Lennon l’ho conosciuto, a New York, lo vedevo ogni tanto. Sarò sincera: secondo me, era uno stronzo. Un brontolone che cercava sempre di deriderti, di dimostrarsi più intelligente di te. E non sorrideva mai.
Un’ultima domanda: i Tom Tom Club sono tornati dopo 8 anni. Mi colpisce questo intervallo, perché è lo stesso che ha fatto passare Peter Gabriel dal suo ultimo disco. Anche lui ha fatto altre cose, anche lui sembra stanco della logica discografica…
TINA – Solo per quanto riguarda lui, perché poi è attivissimo come discografico. Il che dà da pensare… Penso che come musicista Gabriel sia uno che copia con intelligenza e furbizia. C’è un rapporto strano tra gli artisti diventati discografici e le persone che mettono sotto contratto. In alcuni casi ho l’impressione che sia un modo per far molti soldi (e da discografico ne fai più che da artista) e vivere di luce riflessa. Comunque, ci tengo a precisare che non sto parlando di Gabriel, che è una buona persona e in effetti ha fatto conoscere molti artisti, come Youssou N’Dour, che forse senza di lui non avrebbero avuto l’opportunità di farsi notare…
… Chissà se Tina non stava parlando di Gabriel, ma sempre del diabolico Byrne, e della sua etichetta Luaka Bop. Non è detto, ma è sempre meglio non rimettere il dito sulla piaga: nel Tom Tom Club dopotutto l’atmosfera è sempre stata giocosa e rilassata. Anche se certe cicatrici a quanto pare bruciano sempre.
(Paolo Madeddu) |