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«POPMART LIVE FROM MEXICO CITY - U2» la recensione di Rockol

U2 - POPMART LIVE FROM MEXICO CITY - la recensione

Recensione del 17 gen 1999

Polygram Video, durata 2h e 7’ circa

La recensione

Se Henry Rollins aveva detto dello Zooropa Tour «più che un concerto, sembra l’invasione della Polonia», probabilmente rimarrebbe senza parole guardando i primi 10 minuti di questa videocassetta, un vero e proprio monumento al culto della personalità e forse anche un po’ all’apologia del fascismo. Proviamo a raccontarlo: Ok, il pubblico è lì, nello stadio di Mexico City, ‘caldo’, come si suol dire in questi casi, quando da sotto partono le casse che sparano il remix di ‘Pop muzik’: il martello prende gambe e stomaci, per cui ecco che i messicani iniziano a dimenarsi: "è la più grande discoteca del mondo", pensi commosso, ispirato all’idea che gli U2 abbiano comunque messo in piedi per il proprio pubblico uno spettacolo indimenticabile. Poi arrivano loro: fendendo il pubblico grazie a un percorso transennato che attraversa il prato dello stadio, Edge, Clayton Mullen e Bono si incamminano verso il palco come pugili che vanno sul ring, attorniati da telecamere, gorilla e flash incessanti: ‘cult of peronality’ al massimo, mentre il boato della folla non può che caricarli come tori alla corrida. La musica sale di volume mentre i tre musicisti arrivano agli strumenti; Bono Vox resta indietro, scimmiotta il Migliore, Mohammed Alì, con sulle spalle un accappatoio da pugile, finta, schiva, lascia partire ganci immaginari nell’aria, saltella al ritmo di una corda che non c’è. Poi parte "Mofo" e le prime parole che si sentono nell’aria sono "Looking for to save to save my soul". Ci risiamo: gli U2, l’anima, la tentazione, l’eterna partita fra il bene e il male. Vestiti come la versione di fine millennio dei Village People, gli U2 sembrano lontani anni luce dalla versione animista del gruppo che erano soliti essere, finendo per incarnare sempre di più metafore, contraddizioni e paranoie della modernità, e a volte senza lucidità necessaria a farli apparire in controllo di ciò che fanno. Per fortuna ci pensa la musica a sciogliere i nodi e così, quando Edge va al centro dello stadio per cantare da solo con la chitarra elettrica "Sunday bloody Sunday", capisci che il loro ‘tutto’ gli U2 se lo sono giocati lì, nel momento cruciale del concerto. E ce l’hanno fatta, perché da quel momento in poi, chi ti torna alla mente e agli occhi sono gli U2 e basta. "Bullet the blue sky" e "Please" sono commoventi, il pubblico torna ad essere spettatore e partecipe, non massa su cui esercitare la più raffinata forma di seduzione mediatica che sia possibile immaginare. I bis poi sono da antologia: "Hold me, thrill me...", "Mysterious ways", "One" e "Wake up dead man". Non avere estratto un album dal vivo da questo tour (come del resto dal precedente "Zooropa") è un autentico delitto: per fortuna che almeno lo si può guardare così. Ecco, di seguito, la scaletta completa del concerto:

"Pop muzik"
"Mofo"
"I will follow"
"Gone"
"Even better than the real thing"
"Last night on earth"
"Until the end of the world"
"New year’s day"
"Pride (in the name of love)"
"I still haven’t found what I’m looking for"
"All I want is you"
"Desire"
"Staring at the sun"
"Sunday bloody Sunday"
"Bullet the blue sky"
"Please"
"Where the streets have no name"

"Discotheque"
"If you wear that velvet dress"
"With or without you"
"Hold me, thrill me, kiss me, kill me"
"Mysterious ways"
"One"
"Wake up dead man"

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