Un raccolta ideale di canzoni collocate “fuori dal tempo”, in un mondo immaginario che vorrebbe riprodurre ancora e all’infinito le emozioni di certi ascolti fatti. Spesso ho trovato ispirazione immaginando che le mie canzoni fossero prese da un disco inedito dimenticato e riscoperto a posteriori.
Canzoni di un ipotetico disco dimenticato e riscoperto è un’immagine che mi piace molto. Un disco scritto in primavera, quando il sole inizia prendere nuovamente la ribalta e i pensieri di un autore, di un artista, non possono che tradursi in melodie delicate portate avanti a colpi di chitarra acustica.
Grand Drifter è il nome d’arte di Andrea Calvo.
Dopo aver partecipato a tanti progetti come musicista, vedi fare da tastierista e chitarrista agli Yo Yo Mundi nel tour italiano di “Resistenza”, Calvo si mette in proprio per dare vita ad un progetto che lo possa rappresentare per quello che è, un artista cioè che ama il pop (inglese?) e il folk alla stessa maniera; un amore destinato a generare un suono che rimanda ai Beatles più malinconici tanto quanto a Elliott Smith, tanto per capirci. Calvo quindi entra in studio a cavallo tra il 2017 e il 2018 e mette insieme dodici pezzi prodotti da Paolo Enrico Archetti Maestri, guarda caso degli Yo Yo Mundi, co-prodotti, registrati, editati e mixati tra Torino e Rivalta da Dario Mecca Aleina e masterizzati da Alessandro Ciola all’Imagina Production Studio sempre di Torino. Un disco che fa del dialogo la sua forza principale, dialogo interiore quando Calvo mette sul piatto le sue più intime introspezioni, più dichiarato quando l’interlocutore è uno dei tanti amici o colleghi coinvolti nella registrazione del disco stesso, vedi ovviamente lo stesso Maestri cui si aggiungono Eugenio Merico e Andrea Cavalieri sempre di casa Yo Yo Mundi, Michele Sarda (Neverwhere, New Adventures in Lo- fi), Cristian Soldi e Sara Bronzoni (Cri + Sara Fou), Diego Pangolino (Buona Audrey, Tomakin), e una sezione ritmica costituita da Roberto Ghiazza e Fabrizio Racchi dei Knot Toulouse.
“Lost spring songs” è un disco organico, compatto, sicuro; un lavoro in cui melodie e arrangiamenti viaggiano in costante equilibro per generare atmosfere folkeggianti sempre molto piacevoli e misurate. E' però anche un bel disco di pop indipendente impreziosito da suoni molto curati e da qualche insert più esplicitamente elettrico, giusto per dare quel tocco di ruvidità in più... che male non fa. Il più classico dei dischi d’esordio di chi però ha già una storia musicale molto solida sulle spalle, ma che aveva bisogno di far sentire la propria voce.
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