Jamiroquai: il ritorno di un vecchio amico che ti fa ballare
Tornano i Jamiroquai. Meno acid jazz degli esordi, più funk e dance anni 70, speziato con qualche synth electro in più. Poche novità, ma il divertimento è assicurato.
Sono passati già sette anni. “Rock Duck Star Night”: ™l'ultimo (deludente) disco dei Jamiroquai, risaliva infatti al 2010. Nel frattempo quel territorio musicale che mescola il soul, il funk e la disco, si è parecchio evoluto arricchendosi di produzioni che in definitiva seguono due principali filoni: da una parte quello più smaccatamente black a braccetto con l'r'n'b e l'hip-hop più groovy (D'Angelo, Drake, Ocean etc..), e dall'altra quello che flirta più con l'elettronica, dal synth pop all'EDM (dai Daft Punk a Calvin Harris).
Il nuovo lavoro di Jason Kay e i suoi musicisti era stato preannunciato come una decisiva svolta verso sonorità più electro e la title track uscita un paio di mesi fa come singolo era un ottimo biglietto da visita con le sue sporcature electro, rimandi anni '80 (citazione di "Eyes Without a Face" di Billy Idol) e hook che funzionano, subito però mitigato dal secondo singolo “Cloud 9” in cui si tornava al classico suono acid jazz degli inizi della band.
In definitiva, ascoltando per intero “Automator”, si scopre che solo nella prima parte prevalgono gli annunciati suoni electro - peraltro assai debitori di “Random Access Memories” dei Daft Punk, con le voci robotiche, la chitarrina funky nilerodgersiana e l'estetica disco – mentre la seconda parte è puro Jamiroquai style che riporta alla mente “A Funky Odissey” del 2001, disco di maggior successo grazie al suo tiro più dance.
“Shake it on” è un opener di livello tra disco anni 70 e synthpop, formula che poi ritroviamo anche in “Superfresh” e “Hot property”. Chitarrine stoppate, bassi corposi (insieme a Jason Kay, il bassista e il percussionista sono gli unici membri della formazione iniziale del 1993), clap hands, archi e parecchie tastiere vintage, sono gli ingredienti principali, oltre al riconoscibilissimo falsetto di Kay. In più ci sono un paio di singoli (“Something about you”, “Summer girl”) che sembrano già pronti per le feste in spiaggia o a bordo piscina.
Stendiamo un velo pietoso sulle liriche che si alternano tra riflessioni sulla schiavitù della tecnologia (già affrontata – e meglio – in “Virtual insanity”), ai soliti luoghi comuni su donne (“Hot property”), celebrità “(Night out in the Jungle”), ma anche sull'amore verso la figlia (“Carla”). Ma di certo non si ascoltano i Jamiroquai per i testi.
Automaton è, in definitiva, come ritrovare un vecchio amico, tirato particolarmente a lucido (la produzione è eccellente), che ti racconta sempre un po' le solite cose, ma in fondo ti fa divertire. E va bene così. Il sound innovativo cerchiamolo altrove.
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