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«PINK ELEPHANT - Arcade Fire» la recensione di Rockol

Gli Arcade Fire, Daniel Lanois e l’elefante (rosa) nella stanza

La band canadese riparte dal produttore per il primo album dopo un periodo controverso

Recensione del 08 mag 2025 a cura di Gianni Sibilla

Voto 7/10

La recensione

C’è un momento, nella traiettoria di ogni band, in cui bisogna scegliere che direzione prendere. Se continuare a fare le stesse cose o cambiare rotta, magari tentare una rinascita. Gli Arcade Fire hanno spesso scelto la seconda opzione, cambiando pelle e suono, certe volte riuscendoci, altre meno. Tre anni fa erano tornati a casa con “We”, il loro album più dritto, simile a quell’identità sonora che all’inizio degli anni zero li aveva portati a essere indicati come la next big thing del rock, i nuovi U2 – che aprivano i loro concerti con “Wake up”, la canzone che avrebbero voluto scrivere.

Poi il contesto, musicale e non solo, è cambiato profondamente. Così gli Arcade Fire, con “Pink Elephant”, si affidano a Daniel Lanois. Anche se uno volesse evitare paragoni con gli U2, ci pensano loro: Lanois è l’artefice, assieme a Brian Eno, del suono classico della band irlandese. È uno che non produce solo dischi: costruisce paesaggi sonori in cui gli artisti si muovono con i loro strumenti. E porta questo approccio anche agli Arcade Fire.

Ma il contesto in cui arriva “Pink Elephant” è complesso: è il primo disco degli Arcade Fire dopo le accuse di molestie sessuali fatte a Win Butler, che  che le ha sempre negate parlando di relazioni consensuali. Arrivate poco dopo la pubblicazione di “We", hanno avuto un impatto pesante sul tour e sulla reputazione della band. Un effetto che non è ancora finito: l’account social della Massey Hall (storica venue di Toronto) ha dovuto chiudere i commenti all’annuncio di un loro concerto. aAll’opposto i fan più fedeli si preoccupano su Reddit se questo album verrà giudicato a partire dalla lente di quelle accuse.

Il contesto c’è e non si può ignorare – e c’è ragione di supporre è che loro stessi lo usino come metafora nel titolo del disco. È l’elefante (rosa) nella stanza. Che, nel concept di questo disco è ciò a cui la tua mente non riesce a smettere di pensare: “And the way it all changed / Makes me wanna cry but / Take your mind off me”, canta Win Butler in “Pink Elephant”, una canzone che inizia con un riff di chitarra minimale alla Television e una voce spezzata alla Neil Young, in cui parla anche di “lacrime versate in cui non crediamo”.

Sovrainterpretazione? Possibile. Però rimangono le scelte musicali: fa una certa impressione mettere l’aggettivo “minimale” e “Arcade Fire” nella stessa frase, ma questa è la scelta sonora dell’album. Lanois sembra contenere il massimalismo della band che, per una volta, rinuncia alle scelte barocche e cerca una via più secca. Dopo il manifesto di “Pink Elephant”, ci sono momenti ancora più sussurrati, come “Ride or Die”. E pure il funk di “Pure Circle of Trust” è sussurrato, con un groove presente ma trattenuto, come se la band volesse evitare strade già battute. Anche il primo singolo “Year of the Snake” ha un approccio quasi rarefatto (soprattutto sulle chitarre, dove si sente la mano di Lanois), e le voci di Régine e Win si intrecciano cantando di “una stagione di pericolo, di stranieri, che suona strana, ma il cambiamento è probabilmente una buona cosa”.

Solo alla fine del disco gli Arcade Fire tornano alle origini: “Stuck in My Head”, preceduta da un breve strumentale, li riporta a un crescendo alla U2, che parte da un incrocio tra chitarra e basso, con Win Butler che ripete ossessivamente il titolo. Funziona: Lanois è un gigante, gli Arcade Fire hanno sempre idee musicali precise e interessanti, anche quando sono spiazzanti, e anche se non sono più il futuro del rock.

L’album è breve (42 minuti), minimale appunto ma a suo modo denso e complesso. “Pink Elephant” è meno rassicurante di “We”, meno art-pop di “Everything Now” e meno ambizioso di “Reflektor”, per rimanere alla produzione recente. Non è il disco che riporterà gli Arcade Fire alla rilevanza di un tempo, ma è quello che permette alla band di rimettersi in gioco in un nuovo contesto.

Tracklist

01. Open Your Heart or Die Trying (03:12)
02. Pink Elephant (04:44)
03. Year of the Snake (05:10)
04. Circle of Trust (06:05)
05. Alien Nation (03:24)
06. Beyond Salvation (01:20)
07. Ride or Die (04:08)
08. I Love Her Shadow (05:29)
09. She Cries Diamond Rain (01:21)
10. Stuck in my Head (07:23)
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