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«INDI - Gazzelle» la recensione di Rockol

Gazzelle non è mai stato “Indi”: la recensione del nuovo album

Il cantautore romano canta la sua maturità in 11 brani - niente duetti - dal sapore nostalgico.

Recensione del 24 gen 2025 a cura di Mattia Marzi

Voto 7/10

La recensione

Gazzelle come Savastano? Quasi. Era il 2016 quando il dissacrante cantante neomelodico sui generis pubblicò l’irresistibile “Una canzone indie”: il video era una parodia di quello di “Frosinone” di Calcutta (di cui riprendeva pure il look dimesso: «Adesso devo fare tutto il tipo indipendente / mi cresco un po’ di barba, m’aggia cagna ‘sti lent’») e il testo metteva in fila tutti i luoghi comuni del genere. “E mo ci devo mettere Bologna dentro al testo / sennò il mio pezzo indie non si capisce il senso”, cantava. La parodia diventò virale, mentre la moda di quello che subito fu etichettato come il “nuovo cantautorato italiano”, partito dal basso, grazie al passaparola sui social e sulle piattaforme, dilagava, conquistando classifiche, palasport, Circhi Massimi. Gazzelle, che nel 2017 con “Superbattito” fu probabilmente l’ultimo artista di quel circuito a salire sul treno prima che l’indie pop diventasse il nuovo pop nazionale, ha voluto provocatoriamente intitolare il suo nuovo album “Indi”. Senza la “e” finale. Un modo per giocare al tempo stesso con l’avverbio che ironizzare con la pronuncia del nome del genere.

Del resto della scena è sempre stato uno dei più allergici alle etichette e alle definizioni, oltre che alle mode: «Io mi sento un cantautore pop come potrebbe essere percepito Cremonini, ovvero un artista che ha fatto delle hit, ma anche tanto altro. Non voglio essere una popstar, ma neppure il cantante di nicchia che scrive in modo complicato. Sono un ibrido», ha ribadito a Rockol quando lo scorso anno ha debuttato in gara al Festival di Sanremo con “Tutto qui”. “Indi”, che arriva a otto anni dall’esordio con “Superbattito” e alla vigilia di due oggettive sfide come il concerto del 7 giugno al Circo Massimo della “sua” Roma e quello del 22 giugno allo Stadio San Siro di Milano, non è indie, non è pop, non è rock, non è cantautorato: è semplicemente un album di Gazzelle, che dello squadrone di artisti partiti dai locali della Capitale per cambiare la musica pop italiana non solo è tra i pochi superstiti - dove “superstiti” è un modo sintetico per indicare chi continua ad essere in un modo o nell’altro influente e ad avere un mercato reale - ma è anche uno dei pochissimi ad essere riuscito a costruire un’identità tutta sua, una forma di riconoscibilità nella scrittura. La formica che compare sulla copertina dell’album rappresenta proprio la metafora del solido percorso che Flavio Pardini, questo il vero nome del cantautore romano, è riuscito a costruirsi negli anni.

L’incipit è quasi sorrentiniano: «Io penso che noi siamo solo un momento dopo un altro momento», recita Gazzelle, mentre in sottofondo risuona un violino. «Mi sa che è meglio se torniamo a casa», dice. E subito partono le sonorità sintetiche e trasognanti di “Grattacieli meteoriti gli angeli”, che spostano le lancette del tempo indietro di otto anni. La ragazza alla quale si rivolge potrebbe idealmente essere la stessa di “Non sei tu”, ma più adulta, matura, come lui: «E non c’entra la noia, non c’entra spostarsi in un'altra città / e non c’entra la sfiga e non c’entra la rabbia né l’ umanità». In fin dei conti è la maturità il tema centrale del disco, il sentimento che ha ispirato le canzoni che lo compongono. A 35 anni Gazzelle fa i conti col tempo che passa e in “Indi” mette virtualmente in fila le tappe del suo percorso. Inciampando inevitabilmente anche nella trappola della nostalgia. Come su “Noi no”: «Il 2017 sai non ritornerà», canta, alludendo a una stagione che ha aggregato e identificato una generazione intera.

Tra ballatone esistenziali come “Stammi bene” («Io sto bene da quando l’odio che provo per me è diventato qualcosa di buono / è diventato parte di me») a altre più romantiche come “Tutto qui” (che è riuscita a non rimanere legata al Festival di un anno fa, prendendosi una vita tutta sua), passando per l’ironia de “Il mio amico si sposa” («Il mio amico si sposa / e forse dovrei crescere pur’io»), l’album si fa ascoltare volentieri. Nessun duetto: è una notizia oggi che i dischi sono pieni di feat che suonano come specchi per le allodole (va detto che lui non ne ha mai abusato, ma nel precedente “Dentro” ce n’erano tre, con thasup, Noyz Narcos e il “fratellino” Fulminacci). E pazienza che qualcosa - “Da capo a 12”, con quella chitarra alternative e quelle programmazioni, sembra “The adults are talking” degli Strokes; l’attacco di “Come il pane” ricorda troppo da vicino quello di “Se è vero che ci sei” di Biagio Antonacci: quello guardava il mare, lui guarda il cielo - suoni come già sentito. Con quella scrittura, semplice ma pregna di vita, Gazzelle riesce a fare in un modo o nell’altro sempre centro.

Tracklist

01. Piango anche io
02. Grattacieli meteoriti gli angeli
03. Noi no
04. Stammi bene
05. Come il pane
06. Da capo a 12
07. Foglie
08. Il mio amico si sposa
09. Tutto qui
10. Mezzo secondo
11. Non lo sapevo
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