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«BLEACHERS - Bleachers» la recensione di Rockol

Antonoff fa incontrare Springsteen e Taylor Swift. E funziona

La recensione dell'album dei Bleachers, la band del produttore delle star cresciuto a pane e Bruce.

Recensione del 08 mar 2024 a cura di Mattia Marzi

Voto 8/10

La recensione

“We were just kids”, canta Jack Antonoff in “I am right on time”, la prima canzone del nuovo album dei suoi Bleachers. Se non fosse per quella ritmica da hit di Taylor Swift sembrerebbe di ascoltare la voce di Bruce Springsteen in un suo disco degli Anni ’70. Non è un mistero: il Boss è da sempre l’eroe musicale del musicista, che proprio come Bruce è nato e cresciuto nel New Jersey operoso e operaio. C’era tanto di Springsteen nel precedente “Take the sadness out of Saturday night” (anzì, lì c’era Bruce in carne ed ossa: duettava con Antonoff in “Chinatown”). E il rocker torna inevitabilmente anche in questo nuovo album della band capitanata dal musicista che la Bbc ha definito come il “produttore che ha contribuito a ridefinire il pop” degli ultimi vent’anni, producendo i dischi di star come Taylor Swift, Lorde, Florence Welch, The 1975. Un omaggio a Springsteen “Bleachers” - il disco si intitola semplicemente così - lo è già dalla copertina: una foto in bianco e nero di Antonoff appoggiato alla sua Cadillac. Nelle quattordici canzoni incluse nell’album quella propensione a scrivere inni generazionali che il 39enne musicista statunitense ha ereditato dal suo idolo incontrano melodie ultrapop e atmosfere vagamente à la Bon Iver. In un modo o nell’altro Antonoff è riuscito a creare qualcosa di suo, totalmente riconoscibile.

L'assolo di sax di "Modern girl" e Bowie

“Modern girl”, con quell’assolo di sax, vale da sola il prezzo del biglietto: qui Springsteen incontra il David Bowie del 1975, quello che a Filadelfia scoprì il soul bianco e se ne innamorò perdutamente e quell’amore lo incise in quel gioiello di album che era - e resta - “Young Americans”. Non è un caso che Antonoff l’abbia scelto come singolo di lancio del disco: la canzone è l’emblema dell’album, in cui il suono della band si presenta in un technicolor luminoso e soul. “Il nostro ruolo di rockstar è anche questo: inserire in un singolo un suono come quello del sax che oggi, purtroppo, nel pop non si sente più. Ho pensato: fanculo. Ci apriremo anche i concerti. Spareremo a tutto volume dagli altoparlanti il sassofono di ‘Modern girl’, a rivendicare che i Bleachers sono diversi e meritano di essere ascoltati in quel modo. Quando faccio dischi, io penso solo a ciò che amo. Conta solo quello che succede nella mia testa e sono ossessionato dal trovare la versione più pura di quella cosa”, ha detto il musicista nella nostra intervista (la stessa nella quale ha rivelato di essere fan di Den Harrow, tutto vero). Quella dei Bleachers è musica perfetta per essere sparata a palla dallo stereo mentre si guida in autostrada o per essere ballata da brilli ai matrimoni. È musica che celebra la vita. E la sua bellezza.

L'indie rock degli esordi

David Bowie ad un certo punto viene citato più o meno esplicitamente. Succede nella terza traccia, “Jesus is dead”: “I’m not the man who sold the world”, canta Antonoff. È una risposta alle critiche dei puristi della scena indie rock degli Anni 2000 di cui il musicista del New Jersey è stato una delle eminenze grigie sin da quando dietro ai banchi delle aule della Solomon Schechter Day School di Bergen Country fondò la band degli Steel Train, che arrivò a firmare un contratto con l’etichetta cult californiana specializzata in indie rock e post-hardocre Drive-Thru Records, prima dell’incontro con Nate Ruess che portò alla nascita dei Fun e poi, dopo il successo della band di “We are young” e “Some nights”, all’incontro con Taylor Swift e dunque ai premi collezionati come produttore lavorando insieme a Lorde, St. Vincent, Florence and the Machine, Lana Del Rey, arrivando sul serio a ridefinire con il suo tocco il pop degli ultimi due decenni.

Un disco che suona come una festa

Lana, con la sua voce sempre fuori dal tempo e dallo spazio, quasi metafisica, spunta nel flusso di synth-pop di “Alma mater”, ma qui e là nelle quattordici tracce del disco ci sono anche le voci di Annie Clark (è il vero nome di St. Vincent), di Clairo e di Florence Welch (accreditata come co-autrice di “Self respect”). In “Hey joe”, co-firmata insieme ad Aaron Dessner dei National, suona il piano Matt Healy dei 1975, in “Call me after midnight” c’è un intervento parlato di Margareret Qualley, vista recentemente anche in “Povere creature” di Yorgos Lanthimos, che oltre ad essere una delle attrici di nuova generazione più lanciate negli Usa è anche moglie di Antonoff. Manca solo Taylor Swift, forse troppo impegnata a scrivere il settordicesimo album degli ultimi due anni. “Volevo che l’album suonasse tipo: ‘Ecco a voi il mio mondo’. In studio era sempre una festa tra amici”, dice Antonoff. In un modo o nell’altro, quello spirito è entrato nel disco: suona davvero come una festa. E vorresti potesse non finire mai.

Tracklist

01. I Am Right On Time (03:31)
02. Modern Girl (03:43)
03. Jesus Is Dead (03:09)
04. Me Before You (03:23)
05. Alma Mater (03:30)
06. Tiny Moves (03:48)
07. Isimo (03:23)
08. Woke Up Today (02:31)
09. Self Respect (04:14)
10. Hey Joe (01:54)
11. Call Me After Midnight (03:15)
12. We're Gonna Know Each Other Forever (03:02)
13. Ordinary Heaven (05:12)
14. The Waiter (03:24)
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