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«REQUIEM - Korn» la recensione di Rockol

“Requiem”: i Korn rinascono dal dolore

Dopo l’oscuro e profondo “The Nothing”, Davis e soci tornano con un nuovo disco: un progetto nato in pandemia che non manca degli elementi che hanno consacrato i Korn come i veterani del nu-metal, ma che introduce anche un’inedita e luminosa vulnerabilità

Recensione del 10 feb 2022 a cura di Elena Palmieri

Voto 8/10

La recensione

Avevamo lasciato i Korn più di due anni fa con “The Nothing”, un album oscuro e profondo anche per i loro standard, ma tra i migliori lavori della band da diverso tempo, che vedeva Jonathan Davis in balia del proprio tormento per alcuni avvenimenti dolorosi. A causa della pandemia, però, il disco non ha ricevuto il supporto meritato e originariamente previsto, e la formazione di Bakersfield si è vista costretta a stare lontana dai palchi per più di un anno. Tuttavia, l’impossibilità di suonare dal vivo ha offerto ai Korn l’occasione di lavorare su nuova musica e in circostanze diverse rispetto al passato. Senza fretta e pressioni, Davis e soci hanno infatti avuto la possibilità di sperimentare, registrare su nastro analogico e spingersi verso processi che hanno portato alla luce una nuova consistenza e dimensione sonora nella loro musica. Il risultato, raggiunto sotto la supervisione del produttore Chris Collier, è “Requiem”: un progetto che - come il precedente “The Nothing” - non manca degli elementi che hanno consacrato i Korn come i veterani del nu-metal, ma che introduce anche un’inedita e luminosa vulnerabilità.

Come rinascere dal dolore

Con “The Nothing” i Korn avevano scoperto una rinnovata potenza nella sofferenza, a cui si abbandonavano con impulsività e rabbia. La scomparsa della madre e della ex moglie di Jonathan Davis facevano da sfondo alla genesi del disco che, in risposta, suonava come un’esplosione catartica in cui il frontman della band, su una musica che aveva dell’apocalittico, dava sfogo senza filtri (e con qualche singhiozzo) ai propri tormenti. Come evoluzione di quell’impetuosità e in reazione all’oscurità di quell’album, arriva ora “Requiem” e i Korn riassumono il controllo delle proprie emozioni a testimonianza della loro rinascita attraverso il dolore. La quattordicesima fatica di studio di Davis e soci trasporta così l’ascoltatore in un viaggio emotivo e sonoro fatto - un po’ a sorpresa - anche di speranza, vitalità e luce. Non a caso, per aprire la strada al nuovo album e suggerire il loro processo di guarigione alla sofferenza, i Korn hanno scelto il singolo “Start the healing”: un brano a primo ascolto atipico, ma familiare allo stesso tempo. “I should've withstood / I shouldn't bow down / I couldn't get through / What could I do?” (“Avrei dovuto resistere / Non mi sarei dovuto piegare / Non sono riuscito ad andare avanti / Cosa avrei dovuto fare?”), canta con lucidità e carattere Jonathan Davis nel ritornello del brano, sostenuto dall’incisività dei giri di chitarra di Munky e Head, prima di passare al growl e affermare: “I can take it all away, the feelings / Break apart the pain and start the healing” (Posso portarli via tutti, i sentimenti / Fare a pezzi il dolore e intraprendere la guarigione”).

La nuova e luminosa vulnerabilità dei Korn

Rabbia in procinto di esplodere e cupa malinconia, comunque, non mancano in “Requiem”: i Korn, per la gioia del pubblico, non abbandonano il loro impeto nu metal. Nelle nove tracce del disco, per una durata complessiva di soli 32 minuti, il gruppo rimane fedele alla densità dei suoni classici, e la performance vocale di Jonathan Davis mantiene intatte intensità e brutalità grazie alla sua capacità di alternare linee pulite e growl. Qui, però, al posto di abbandonarsi all’impulsività e alla disperazione, Davis e compagni ritrovano equilibrio e razionalità, calibrando impatto sonoro e omogeneità stilistica. A dei riff di chitarra incisivi e mirati, in cui si inserisce una sezione ritmica metallica, è infatti affidato il compito di dare il via all’album: “Forgotten” è un’apertura di impatto, nonostante la costruzione calibrata, e funziona.

La novità in “Requiem”, a dispetto del titolo funesto, è sentire la band suonare con precisione e metodo, riempire di aria e luce l’ambiente sonoro, per esplorare la propria vulnerabilità e trovare una via di fuga dall’oscurità attraverso controllo e coerenza. Come una meditazione rabbiosa sul dolore, più che come l’impulsivo lamento di “The Nothing”, “Requiem” attraversa e sviscera le emozioni che si scatenano in Davis e soci. Nella riuscita “Lost in the grandeur”, per esempio, l’equilibrio tra le violente e distorte scariche di chitarra e gli urgenti colpi di batteria di Ray Luzier, dall’impronta industrial, portano la formazione statunitense a prendere consapevolezza che “il dolore è stimolante” (“The pain is so stimulating”) e a chiedere aiuto per trovare la propria strada (“Help mе find my way”, attacca il ritornello della quarta traccia). Razionalità e giudizio guidano anche il sound quadrato della successiva “Disconnect” che, con il basso di Fieldy più prepotente che in altri pezzi e con il fascino macabro dei riff, racchiude ogni elemento di questa nuova narrazione dei Korn più concreta e più a fuoco.

Prese di coscienza e confessioni

Ritmiche pungenti e martellanti, drammaticità e carattere si insinuano nei momenti giusti per non far perdere aderenza alla band e con “Hopeless and beaten” introducono l’ascoltatore alle tre tracce finali di “Requiem”. Dalle prese di coscienza del dolore (“Outside I'm looking for an answer / Cause inside is gone”, canta Davis nei primi versi di “Penance to sorrow”) alla confessione della penultima traccia del disco ("All I want is things to turn around / As I waste away / In this hell I made / I sit and contemplate my actions”, recita il ritornello di “My confession”), si arriva quindi alla fine con “Worst is on its way”. Su una distorsione di archi rotta da riff deflagranti e sovrastata dal giusto apporto dei synth Jonathan Davis e compagni firmano la loro ultima dichiarazione: “I feel it coursing through the inside / And I can't get away” (“Lo sento scorrere dentro / E non posso scappare”), recita il ritornello. Il frontman della band conosce da vicino l’oscurità e sa di dover continuare a guardarsi le spalle perché la sofferenza può tornare, e “Worst is on its way” è come un avvertimento e un messaggio che si rivelano piano piano. Come lo stesso “Requiem”, che richiede un ascolto libero da aspettative e pregiudizi, ma alla fine testimonia un altro ritorno in forma eccellente dei Korn e, pur non uguagliando la potenza di “The Nothing”, arriva come un piacevole nuovo capitolo della loro discografia.

Tracklist

01. Forgotten (03:17)
02. Let The Dark Do The Rest (03:39)
03. Start The Healing (03:28)
04. Lost In The Grandeur (03:50)
05. Disconnect (03:26)
06. Hopeless And Beaten (03:59)
07. Penance To Sorrow (03:20)
08. My Confession (03:34)
09. Worst Is On Its Way (04:03)
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