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Sparks, la band preferita dalla vostra band preferita

I fratelli Mael si esibiranno a Milano l'8 luglio per presentare il nuovo album di inediti "MAD!"
Sparks, la band preferita dalla vostra band preferita

Una Zoomata così non mi capiterà mai più. A pochi giorni dall’uscita di “MAD!” (Transgressive Records), 28° album dal 1971 a oggi degli Sparks dei fratelli Russell (voce) e Ron Mael (tastiere), mi collego via Zoom alle 18 spaccate, che a Los Angeles sono le 10 mattutine. L’appuntamento è con Russell, eppure è Ron ad apparirmi. Miracolo. Non si accorge di essere visto, se la sta ridendo con chissà chi sotto i proverbiali baffetti da sparviero e per il sottoscritto, che delle Scintille è fan sostanzialmente da una vita, è come vincere il terno al lotto d’intervistare entrambi. Invece Ron sparisce nel giro di un nanosecondo (ma la prova video ce l’ho e me la tengo ben stretta) ed ecco Russell, sorridente, in primo piano.

 

Mi sono spesso domandato, caro Russell, come diavolo abbiano fatto 2 californiani come voi a tramutarsi in mitteleuropei e a interpretare canzoni come “Amateur Hour”, “Here In Heaven” e “Thank God It’s Not Christmas” convincendomi di essere a Parigi, a Vienna, nella Repubblica di Weimar… Pura casualità? Intenzione ben precisa?

Probabilmente si è trattato di un caso. Fin dagli inizi della nostra carriera, Ron ed io ci siamo sempre sentiti più affini a ciò che proponeva l’Inghilterra che a quello che stava succedendo in California. Desideravamo in un certo senso essere una band britannica, ma direi che abbiamo fallito per il semplice motivo di non essere mai riusciti a emulare quel genere di gruppi. In compenso, abbiamo acquisito una nostra solida personalità. Per fortuna – o per sfortuna – è andata così. Dal punto di vista estetico, siamo quello che siamo più per casualità che per calcolo.

Quali erano all’epoca le vostre band preferite?

Anzitutto Move, Who e Kinks. Poi i Led Zeppelin, che abbiamo visto in concerto agli inizi della loro carriera; e i T. Rex di Marc Bolan, conosciuti quando eravamo a Londra in piena esplosione glam rock a registrare l’Lp “Kimono My House”.

 

Per quanto riguarda i testi delle vostre canzoni, oltre agli evidenti rimandi alla storia del cinema a quali fonti letterarie vi siete ispirati?

Gran parte delle nostre influenze provengono dai film più che dai libri, che comunque vedono Ron assai più lettore di me. Siamo entrambi grandi appassionati di cinema. Quando frequentavamo la University of California di Los Angeles, andavamo a vedere solo pellicole straniere, la maggior parte italiane, dirette da maestri del calibro di Federico Fellini e Vittorio De Sica. Poi, ovviamente, c’è stata la Nouvelle Vague francese di François Truffaut e di Jean-Luc Godard; il cinema svedese, al quale nel 2009 abbiamo dedicato il musical radiofonico “The Seduction Of Ingmar Bergman”; quello diretto da Yasujirō Ozu, storico esponente del realismo giapponese. La nostra identità artistica e culturale si è formata anche grazie ai film.

 

È pazzo il genere umano? È pazzo il mondo? Sono pazzi gli Sparks? Perchè “MAD!”, con l’aggiunta del punto esclamativo? C'è forse un riferimento al MAD Magazine americano degli Anni ‘60 e ‘70 con Alfred E. Neuman, l’iconico personaggio?

Quella rivista satirica ci piaceva moltissimo, al punto da averla collezionata, ma il titolo del nostro nuovo disco riflette piuttosto l’idea che il mondo, la società e la politica siano pazzi. La parola “mad”, che sta anche a significare “arrabbiato”, si adatta all’impatto complessivo dell’album, allo spirito del tempo, a quello che ci sta succedendo ed è totalmente fuori controllo. Il fatto poi che gli Sparks siano stati spesso definiti fuori di testa, ben si adatta ai testi delle nuove canzoni.

 

A questo proposito, penso che in “MAD!” la vostra creatività superi perfino se stessa. Mi riferisco ai testi di “JanSport Backpack” e di “Hit Me, Baby” che mi ricorda “You hit me with a flower”, la strofa di “Vicious” dall’Lp “Transformer” di Lou Reed.

“JanSport Backpack” parla di una relazione, ma lo fa da una prospettiva diversa: lei sta lasciando lui e questo si trasforma nella metafora, nel simbolo della sua partenza: lui la vede sempre da dietro, con lo zainetto sportivo sulla schiena. È l’immagine, credo efficace, di una storia d’amore che sta andando in frantumi. “Hit Me, Baby”, lontana da ogni riferimento sadomaso, commenta invece di quanto sia terribile il mondo in generale. L’esortazione “colpiscimi, svegliami, non riesco a credere a quello che sta succedendo” è sintomatica di questa nostra realtà che ha sempre più le sembianze di un incubo collettivo.

Con i nuovi pezzi ribadite quanto sia speciale e inimitabile la vostra musica.

Ci abbiamo lavorato davvero tanto e credimi, non era semplice con 27 album alle spalle mantenere una certa freschezza compositiva. Siamo riusciti a preservare il nostro carattere facendo in modo che sia ancora esaltante per noi e, ce lo auguriamo, non solo per chi ci segue da anni ma anche per chi ci ascolterà per la prima volta. “MAD!” racchiude tutto quello che sono gli Sparks.

 

Con il suo ritmo reiterato da synthpop e l’utilizzo creativo della chitarra elettrica, penso che “Do Things My Own Way” sia il brano ideale per entrare in empatìa con MAD!

È l’ideale “ouverture”, una dichiarazione d’intenti: non solo per questo disco, ma per gli Sparks in generale. Ribadisce che abbiamo sempre fatto le cose a modo nostro e con la nostra sensibilità.

“JanSport Backpack” mi ha impressionato con il suo ritmo in levare e le tue evoluzioni vocali che ricordano i Beach Boys, peraltro già citati in “Over The Summer”, da “Introducing Sparks” del 1977.

Amiamo tutto quello che hanno fatto e chissà?, se le cose fossero andate diversamente per loro e per Brian Wilson magari avrebbero suonato come questo brano, mostrando un’attitudine davvero moderna. “JanSport Backpack” non ha la struttura tipica della canzone, non ha un ritornello ma è qualcosa di unico nel suo genere.

Con “Running Up A Tab At The Hotel For The Fab” avete invece concepito un piccolo gioiello di rock e di melodramma sinfonico.

Dal punto di vista sonoro ma anche lirico, è una canzone che pensiamo sia a suo modo speciale. Ascoltando la musica pop che c’è attualmente in giro, non è semplice collegarla con esattezza a uno stile.

 

Sparksiano, forse?

Direi proprio di sì, ma non volevo sembrare arrogante!

 

Le infinite possibilità di una sinfonia sono anche racchiuse nei virtuosismi di “I-405 Rules”...

È una miscela insolita di elementi: ha un impatto quasi orchestrale, ma c’è anche il drumming. In più, a livello testuale è un’ode a Los Angeles. L’I-405 è un'autostrada. Noi non abbiamo il Colosseo di Roma, o la Torre di Pisa, o il Duomo di Milano… Quello che abbiamo è una freeway che attraversa la zona ovest di Los Angeles. Un corso d’acqua metaforico, accanto al quale siamo cresciuti. Non abbiamo un bel fiume ma un’iconica autostrada, questo sì.

 

Poi ci sono le melodie, di cui siete da sempre maestri. L'orecchiabile, fischiettante “My Devotion”; la soffice, vaporosa “In Daylight”; la coinvolgente “Drowned In A Sea Of Tears”; “Lord Have Mercy”, che mi fa riaffiorare alla mente i Beatles…

Contrastano con i pezzi più aggressivi di cui abbiamo parlato: “I-405 Rules”, Do Things My Own Way” e Hit Me, Baby”. Rappresentano l’altra faccia, dolce ed emozionale, degli Sparks. Possiamo fare cose melodiche ma anche elettroniche, aggressive, chitarristicamente potenti.

Ci sono gruppi o solisti che ritenete siano vostri eredi spirituali?

Gli scozzesi Franz Ferdinand, i newyorkesi MGMT (contrazione di The Management, ndr) di Benjamin Goldwasser e Andrew VanWyngarden, la cantautrice St. Vincent. Percepiamo echi della nostra sensibilità in certe cose che compongono. Ci inorgoglisce tutto questo, ma sentiamo di essere ancora noi stessi in gioco, non solo un punto di riferimento.

 

L’8 luglio suonerete a Milano, al Teatro Arcimboldi. Perché finora non vi eravate mai esibiti in Italia?

In realtà l’abbiamo fatto nel 2015 a Genova, a Catania e a Treviso in occasione del tour con i Franz Ferdinand nel progetto FFS, mai però come Sparks. Quindi questo concerto sarà davvero speciale per noi. Un sogno che finalmente si realizza.

Avete previsto qualche sorpresa in scaletta? Magari canzoni che avete raramente o mai eseguito dal vivo?
Certo, poiché sappiamo bene che i nostri fan vogliono essere sorpresi, pretendono da noi l’inaspettato. Abbiamo quindi scelto alcuni brani mai eseguiti prima, anche da album meno conosciuti. E poi tutti quei pezzi che sappiamo di dover fare: quelli irrinunciabili, per chi ci segue da anni.  

A che punto è il progetto “X-Crucior”?

È in corso d’opera, con il regista John Woo a dirigerlo. Dopo “Annette” del 2021 per la regia di Leos Carax, sarà il nostro nuovo evento di cinema e di musica. Qualcosa di particolare, ma solo il fatto che John Woo e gli Sparks siano insieme in un musical… non potremmo chiedere di meglio.

 

Di cosa avete più timore?

Di ripeterci fino alla noia. Di perdere quell’intensità o quella… nessun gioco di parole, intendiamoci: scintilla. Mai vorremmo diventare una band nostalgica.

 

E la vostra soddisfazione più grande?

Che dopo più di 50 anni ci sia chi è ancora lì, ad ascoltare i Mael Brothers e a prenderli a cuore. Significa tutto, per noi.

 

Milanese fin dalla nascita, appassionato di glam rock fin dall’adolescenza, Stefano Bianchi ha lavorato dal 1984 al 1997 come redattore al mensile "Tutto Musica & Spettacolo". Dal 2007 dirige la rivista online CoolMag ed è vicepresidente dell’Associazione Culturale Ponti x l’Arte.

Foto dell’articolo: MUNACHI OSEGBU

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