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Britney l’ha rifatto: 25 anni di pop, tute di latex e leggenda

La storia del secondo, iconico disco della popstar. Tra pop, r&b e la cover dei Rolling Stones.
Britney l’ha rifatto: 25 anni di pop, tute di latex e leggenda
Credits: Mark Seliger

Stesa su un letto con lenzuola color fucsia e la cornetta del telefono a un orecchio, abbracciata a un Teletubbie, i pupazzoni ideati da Anne Wood e Andrew Davenport, fenomeno per bambini di fine Anni ’90. Il pigiamino sbottonato, che rivela un reggiseno nero e un paio di culotte. Chili di lip gloss sulle labbra, l’eye liner marcatissimo intorno agli occhi. Nell’aprile del 1999 Britney Spears appariva così, immortalata da quel visionario di David LaChapelle, sulla copertina dell’edizione statunitense di Rolling Stone. «Britney Spears. Inside the heart, mind & bedroom of a teen dream», «Britney Spears. Dentro il cuore, la testa e il letto di un sogno teen», recitava il titolo. La cantante non aveva ancora compiuto 18 anni, ma già da diversi mesi era una reginetta del pop. “…Baby one more time”, uscita nel settembre del 1998, ha catapultato l’adolescente ex stellina Disney in testa alle classifiche mondiali: i discografici della Jive Records, parte del gruppo Rca, l'hanno messa sotto contratto perché desiderosi di sfamare il potere d’acquisto degli adolescenti americani, la cui popolazione ha raggiunto una tale rilevanza da costringere l’industria culturale a starli a sentire. L’omonimo album d’esordio, “…Baby one more time”, sarà il disco pop più pop venduto del 1999. «Sembra esserci un numero finito di possibili strade per Spears. Potrebbe trovare lavoro nei musical, come ha fatto Debbie Gibson, oppure denunciare il pop e reincarnarsi in una Alanis Morissette assetata di vendetta», scriveva Steven Daly, mandato dalla rivista a intervistare la superstar. Ma nel maggio del 2000 Britney Spears torna con un nuovo album, dodici pezzi messi insieme per lei da produttori destinati a diventare i re mida del pop mondiale dei successivi vent’anni, da Max Martin a Rami Yacoub, passando per Darkchild. E quando i fan portano a casa il disco, lo inseriscono nei walkman e schiacciano su “play”, si ritrovano nelle orecchie una Britney Spears ancora più audace, coraggiosa, pop: «Mmm, yeah, I Think I did it again», canta.

La ristampa per i venticinque anni e l'impatto

“Oops!… I did it again” - che il 16 maggio sarà ripubblicato in digitale e doppio vinile deluxe per i venticinque anni trascorsi dalla sua uscita: si può preordinare qui, sul sito di Sony Music - diventerà uno dei “sophomore record”, così come nel mondo angloamericano vengono chiamati i dischi della difficile prova della consacrazione, più iconici del pop. Non solo: il titolo, una provocazione per dire che sì, Britney «l’ha fatto di nuovo», entrerà nei modi di dire comuni. «Quando ho registrato il primo album, avevo appena compiuto sedici anni. Voglio dire, quando guardo la copertina dell'album, mi viene da dire “Oh, mio dio”. Questo album sarà completamente diverso. Ho finito di registrare in Svezia le prime sei tracce due mesi fa, e il materiale è assolutamente più funky. E di sicuro è più maturo perché sono cresciuta anche come persona», diceva l’ex stellina del Mickey Mouse Club alla vigilia dell’uscita. A 18 anni sembrava mostrare una maturità fuori dal comune per la sua età. Rivendicava con determinazione le sue scelte: «È abbastanza difficile raggiungere i dieci milioni (il numero di copie vendute con “…Baby one more time”, ndr). Ma dopo aver ascoltato il nuovo materiale e averlo registrato mi sento molto fiduciosa». Per la cronaca: le cifre di “Oops!… I did it again” supereranno ogni previsione. Il disco debutta al numero uno della Billboard 200, vendendo oltre 1,3 milioni di copie solo nella prima settimana e solo negli Stati Uniti (un record per un’artista donna che resterà imbattuto per più di quindici anni: a infrangerlo ci penserà Adele con “25”). Alla fine, supererà di 400 mila unità il traguardo dei 10 milioni di copie vendute.

La nomination ai Grammy Awards

Al momento della sua uscita “Oops!… I did it again” fu uno degli album più attesi della cultura pop dei primi Anni Duemila. Con quel mix tra pop, dance, funk e r&b, gli elementi aggiunti dai produttori, su richiesta di Spears, rispetto all’esordio, il disco ottenne per qualità sonora e performance vocale il plauso della critica, tanto da ricevere una nomination come “Miglior album pop vocale” ai Grammy Awards del 2001. «Secondo me, questo è un disco migliore del primo. È più audace, ha più carattere. Sono più me stessa e penso che gli adolescenti si identificheranno ancora di più in me e in queste canzoni», spiega nelle interviste Spears, che un anno e mezzo prima si era battuta per girare il videoclip di “…Baby one more time” in un liceo, mentre i produttori volevano realizzare «una cosa animata stile Power Rangers»: «Ho detto: “Non va bene. Se volete che raggiunga i bambini di 4 anni, allora ok, ma se volete che piaccia a quelli della mia età…”», gli disse, prima di averla vinta. «Oops, you think I’m in love, that I’m sent from above / I’m not that innocent», «Pensi che io sia innamorata, che sia stata mandata dall’alto / beh, non sono così innocente», cantava Spears nella title track, mentre nel videoclip indossava una tuta di latex rossa. Nel 2023 Tate McRae, definita dalla critica la Britney Spears della Gen Z, si presenterà ai Juno Awards con una tuta simile, a testimonianza dell'impatto della voce di "Toxic" anche sul pop di nuova generazione

La cover di "Satisfaction": "Jagger? Non sapevo chi fosse"

Tra i passaggi clou del disco, la collaborazione con Shania Twain per “Don’t let me be the last to know”, «racconto straziante sulla solitudine di una stellina di Hollywood» di “Lucky” e una cover piuttosto eterodossa di “(I can’t get no) Satisfaction” dei Rolling Stones, che fece - e fa ancora - rabbrividire i puristi del rock. A proposito: Jagger scoprì dell’esistenza di quella cover grazie alla figlia, che acquistò il disco di Britney Spears. Trovò così interessante la produzione r&b di Rodney “Darkchild” Jerkins da telefonare al musicista e chiedergli di aiutarlo per alcuni pezzi dell’album solista che stava preparando in quel momento, “Goddess in the doorway”. Alla fine, però, non se la sentì di osare troppo e il materiale al quale lavorò con Darkchild rimase fuori dal disco. In compenso pochi mesi dopo l’uscita di “Oops!… I did it again” Jagger incontrò personalmente Britney. Avvenne agli Mtv Video Music Awards del 2001, quando i due furono intervistati insieme in occasione della cerimonia da Kurt Loder. «Se sono suo fan? Certo che sì. Ha rifatto anche una delle nostre canzoni», disse Jagger. Britney lo guardò perplessa. Solo a distanza di più di vent’anni la popstar avrebbe confessato: «Non avevo idea di chi fosse».

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Gli inediti riemersi dagli archivi

La ristampa di “Oops!… I did it again” conterrà, oltre ai dodici pezzi dell’edizione originale, anche dieci tracce conus tra cui brani rari e due remix inediti realizzati appositamente per questa uscita, “Stronger (Adamusic Remix)” e “Oops!… I did it again (Pessto Remix)”. «Grazie ai miei fan. Questo album è stato registrato in un momento entusiasmante della mia vita, e sono così grata ai miei incredibili fan per aver mantenuto vivo il suo ricordo», ha fatto sapere Britney (o chi per lei). Quel popolare pezzo di Rolling Stone uscito nel pieno della Britney-mania finiva così: «Spears è l’ultimo modello di un prodotto classico: la popstar senza nevrosi, che fa il suo dovere con il piglio di un’artista d’altri tempi e con il fascino di una testimonial». Purtroppo gli sviluppi della carriera e della vita privata della popstar smentiranno l’ottimismo della rivista.

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