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Cypress Hill: “Nel dissing tra Drake e Lamar ha vinto il secondo”

La band sarà protagonista di un concerto il 12 luglio al Rugby Sound Festival. L’intervista.
Cypress Hill: “Nel dissing tra Drake e Lamar ha vinto il secondo”

Un pezzo di storia dell’hip hop mondiale. Un 12 luglio ricco di sorprese al Rugby Sound Festival. La serata vedrà protagonisti i Cypress Hill, uno dei gruppi rap più rilevanti di ogni tempo e in apertura gli Assalti Frontali, oltre a Inoki. In occasione di questa data speciale all’Isola del Castello di Legnano, abbiamo intervistato Eric Bobo, percussionista dei Cypress Hill.

Qual è il vostro feeling con il pubblico italiano?
Abbiamo sempre avuto un'ottima accoglienza ogni volta che ci siamo esibiti in Italia, dai festival fino ai concerti normali. È sempre elettrizzante suonare in un Paese come l’Italia, non vediamo l’ora.

Conosci qualche rapper italiano?
Si riesce a conoscere per davvero quello che gira in un Paese quando si è lì. Io sono molto curioso di sapere a livello underground e non solo che cosa sta sfornando l’Italia e senz’altro farò domande per informarmi. Oggi l’hip hop è in tutto il mondo, mi è capitato, anche in America, di sentire parlare di rapper italiani, spagnoli e francesi perché ormai la scena è davvero mondiale. Poi il rap italiano ha anche, spesso, dei bei flussi di parole, quindi sono contento se riuscirò a scoprire qualche cosa di nuovo.

Due anni fa avete pubblicato “Black in black”. Oggi, lontano dai periodi di promozione, lo puoi analizzare con più distacco e lucidità. Che cosa rappresenta per voi?
È stata un'opportunità per provare a fare qualcosa di diverso, per impegnarci su un album che fosse coerente a livello musicale grazie al lavoro sulle produzioni di Black Milk, ma senza snaturarci. È stata una scommessa perché, senz’altro, la varietà permette di intraprendere più strade e possibilità. La combinazione creata, in molti non se l'aspettavano. Lavorare con un producer solo è una scommessa, e credo che l’abbiamo vinta.

È significativo che voi crediate ancora nel concetto di “album”.
In effetti questo approccio manca nella musica di oggi. Siamo in un’epoca guidata dai singoli. Le persone non ascoltano più i dischi completi come facevano prima. Io sono cresciuto ascoltando da cima a fondo gli album dei miei miti, assorbendo pezzo per pezzo il loro repertorio. Poi, sai, ci sono anche quelli bravi a fare le canzoni forti, istantanee, che poi vengono tutte raccolte in un progetto. Ma io credo che per fare un disco che abbia un’identità ci voglia davvero un lavoro più ampio, che non può essere solo scandito dai singoli. Anche perché, nel corso di una carriera, uno degli aspetti più belli è proprio capire quale album di un artista si preferisce, oltre alle differenze tra un progetto e l’altro. Se si lavora solo per singoli tutto questo crolla.

State lavorando su musica nuova?
Sì, ma è difficile mettere insieme tutto. Dobbiamo capire quale direzione prendere, stiamo facendo diversi live e non abbiamo ancora avuto il tempo di ragionare a fondo. Non so dire se arriverà un album o no. Un po’ di musica nuova c’è, ma è tutto ancora da definire.

“Black Sunday”, il secondo album dei Cypress Hill, ha compiuto da poco trent’anni. Tu entrasti nella band per il tour di quel disco, giusto?

Sì, esatto. È un album che resiste alla prova del tempo. Molti ragazzini oggi conoscono quei pezzi e li cantano parola per parola. Questo è pazzesco perché quando è uscito non erano neppure nati. È stato possibile, in molti casi, grazie ai genitori che li hanno portati a nostri concerti e hanno visto che tipo di show proponiamo. Facciamo live molto generazionali in cui ci sono davvero dei pezzi di storia del rap. Credo che sia difficile parlare dell'hip hop della West Coast senza menzionare i Cypress Hill e album come “Black Sunday”.

Un altro anniversario importante è quello di “Ill Communication” dei Beastie Boys, che compie trent’anni. Hai lavorato a quel capolavoro. Che cosa ricordi?
È stato molto divertente da realizzare perché andavamo tutti molto d’accordo. Le idee viaggiavano libere, lo abbiamo realizzato in sei mesi, il tempo più breve mai impiegato dai Beastie Boys per registrare un disco. Quando fai un album così, che ti fa sentire bene da cima a fondo, e in più diventa un grande successo da numero uno in classifica, che cosa si può volere di più? I Beastie Boys sono la grande Storia, hanno lasciato un’eredità unica. Io sono onorato di aver partecipato a quel disco.

Fu un disco che non si accontentava, che osava e stravolgeva. Oggi la musica è ancora così?
Là fuori c’è tanta musica che vale e osa, ma che magari non è popolare. Io credo che l’ascoltatore non debba accontentarsi, debba aprirsi e cercare cose nuove. Allo stesso tempo gli artisti dovrebbero cercare meno formule per far “funzionare i pezzi” e sperimentare di più. I Beastie Boys e i Cypress Hill, se non avessero seguito la propria strada, si sarebbero declassati. Seguire le tendenze può essere utile nel breve, ma non nel lungo periodo. Bisogna essere fedeli a se stessi, fare quello che davvero si sente. Poi c’è anche da dire che l’hip hop cambia di continuo, si rinnova, muta. E questo è bellissimo. Siamo davanti a una nuova era dove però sento che la radici non sono state dimenticate, anzi. Sento un ritorno a un certo sound anni ’90 però aggiornato, fresco. Per me quegli anni lì sono stati i migliori, copiarli non avrebbe senso, ma trarne ispirazione sì.

Che cosa pensi del dissing tra Drake e Kendrick Lamar? Chi ha vinto per te?
A confronto c’erano due stili, due mondi diversi. Però credo che ne sia uscito vincitore Kendrick. E a dirlo non sono io, ma la gente. Le sue diss track le senti in strada, nei club, sono finite in cima alle classifiche. Ok, ci può essere un grande dibattito su chi sia stato più giocoso e da battaglia, ma alla fine è la strada che decreta il vincitore.

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