Il gruppo bergamasco è alla sua quinta fatica (contando anche "Metropoli
selvaggia", autoprodotto nel 1994), e tra i vari episodi discografici della
carriera di Stena e compagni l'atmosfera di "La isla" si rivela forse la
più aderente alla Giamaica attuale. «Ci abbiamo messo meno esperimenti con
il drum'n'bass e la jungle, e suoni e volti più rappresentativi della
Giamaica di oggi. Così c'è qualche influenza pop e "dance-hall", ma su
tutto domina il reggae, con la collaborazione di Aston Barrett, il mitico
bassista e produttore di Bob Marley. Il risultato è una musica più semplice
- più easy, se vogliamo». L'album, prodotto da Madaski - («Per noi è come
un padre, ormai», sorridono), approfondisce quella che è l'idealizzazione
della "Isla": «Perché in effetti chi va laggiù scopre che i rasta, il sole,
la ganja e tutti gli altri luoghi comuni ci sono, ma sono una realtà a
parte. In effetti i giovani non sono dissimili da quelli di un ghetto
americano, e preferiscono ascoltare il genere dance-hall e l'hip-hop di
Busta Rhymes rispetto
alla tradizione reggae. Non è che il reggae stia morendo, ma appartiene
alla storia: da tempo non ci sono gruppi, ma solo cantanti; e sicuramente
Buju Banton e gli altri non sono eroi nazionali come Marley. Ma anche se la
Giamaica sta cambiando, noi restiamo "rastamanni"...» conclude il cantante.
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