MadMan: “Con il nuovo album volevo correre nel buio”

A sei anni dal suo ultimo disco solista, “Back home”, è tornato MadMan. In mezzo un mixtape uscito nel 2021 e soprattutto nel 2019 “Scatola nera” con Gemitaiz, un progetto di successo, l’apice della sua carriera a cui, però, è seguito un periodo di riflessione profonda e di riassetto umano e artistico. Per questo “Lonewolf”, in uscita il 31 maggio, è un ululato, un album liberatorio, curato nel dettaglio a livello musicale, a cui hanno contribuito amici e colleghi: thasup, Jake La Furia, Gemitaiz, Naska, Rik Rox & Mattaman. Il progetto verrà presentato in tour dal 30 ottobre. Il timbro e gli esercizi di stile di cui MadMan è capace sono il marchio di fabbrica che lo hanno reso un nome di livello nel panorama rap italiano e che, allo stesso tempo, gli hanno permesso di spingersi oltre i limiti, rimanendo fedele a una visione del rap, più da battaglia che da classifica. Ma c’è di più. Il titolo suggerisce un percorso di riscoperta, anche attraverso la solitudine, importante per riuscire a stare finalmente bene con se stessi, come un licantropo nel plenilunio che accetta la sua vera natura.
In che momento della tua carriera arriva questo disco?
Dopo una pausa personale, che avevo preso per me. Dovevo mettere a posto la mia vita privata che poi in qualche modo si lega a quella artistica. Io parto sempre da qualche cosa di autobiografico nei pezzi, poi ovviamente subentrano filtri e varie declinazioni. Questo disco arriva dopo il punto massimo della mia carriera, raggiunto nel 2019 (con il disco insieme a Gemitaiz, ndr), a cui poi è seguito un tour, rimandato per la pandemia, e durato fino al 2022. Il mixtape del 2021 è stato un modo per non mancare troppo, ma poi ho sentito la necessità di riordinare diversi aspetti a livello personale.
Il tempo, ormai, è un lusso.
Ne avevo proprio bisogno. Ho viaggiato tanto. Ho cercato di ritrovare un approccio genuino alla musica scevro dalle complicanze e dalle paranoie che genera il successo. Volevo ritornare a quel “senza nulla da perdere” che mi ha sempre contraddistinto.
Quali sono le differenze tra un album e un mixtape per te?
Con una metafora calcistica: il disco è la Champions League, ogni traccia è una finale, il mixtape sono il campionato e la Coppa Italia. Nel disco ti giochi tutto, devi esporti di più, anche a livello di contenuto. Poi è anche capitato che in mezzo alla lavorazione di un mixtape sentissi di dover andare più a fondo e di conseguenza scrivessi delle tracce più profonde, è difficile prevedere quale strada si prenderà.
“Utopia” con Gemitaiz è una traccia molto diversa dalle altre, fa quasi da contrasto.
È un brano che avevo fatto per il mixtape, ma era talmente figo che ho voluto tenerlo per l’album, solo che questo ha preso poi una strada molto diversa dal mood di quel brano. Per me è come se quel pezzo, che alla fine ho voluto comunque inserire, fosse una sorta di prequel. Si chiama “Utopia” perché tutti abbiamo un’idea di quello che vorremmo, ma poi quando lo otteniamo non è detto che sia quello che davvero ci immaginavamo. C’è un detto: “stai attento a quello che sogni perché potresti ottenerlo”. Ecco quel pezzo mi ricorda tutto ciò.
Non è comune sentire te e Gemitaiz rappare d’amore.
È un pezzo alla “Blue Sky”. È un colore diverso. Tempo fa ho letto un articolo in cui si diceva che io e lui, abbiamo fatto più di cento tracce insieme. Insomma, ogni tanto è giusto cambiare (sorride, ndr).
Che cosa hai cercato e trovato con questo progetto?
Avevo bisogno di correre nel buio. Ho scritto, scritto, scritto finché non ho trovato quello che volevo. Quando sono uscite tracce come “Plenilunio”, “Lonewolf” e “No Entiendo” ho capito che quella era la mia direzione. Ho martellato fino a ottenere la scultura. Mi sono preso del tempo, ho lavorato da solo in studio, proprio come agli inizi. E questo mi ha aiutato tantissimo.
Ti senti un po’ solo? Oggi tanti rapper si buttano nel pop, o almeno ci provano, tu no.
Statisticamente sì. Ma io sono fatto così: ho un animo nichilista. Mi piace più distruggere, non costruire. Ho fatto un disco senza studiare alcun singolo per le radio. Ci sono altri artisti che fanno questo discorso, penso a Nayt. Credo che ci voglia coraggio a fare la propria musica con originalità senza buttarsi nei suoni che oggi vanno per la maggiore.
“Demoni” e “Perdono/Dylan Dog", con cui chiudi l’album, sono più profonde.
L’ultima è la mia preferita. Per me è ai livelli di “Mickey Rourke”. Sì, è profonda, forse pesante, cazzi di chi arriva in fondo al disco. Sei arrivato fin lì? Ora ti becchi questa (ride, ndr).
Questo album è più curato, rispetto ad altri progetti recenti, dal punto di vista musicale.
Sì, tutta la fase creativa l’ho curata io, dall’inizio. Sono partito da beat americani o da ciò che mi piaceva. E da lì mi sono reso conto che alcune tracce potevo proporle a precisi produttori. In altri casi, sempre nei panni di direttore artistico, ho chiesto anche delle co-produzioni, coinvolto pianisti o musicisti per arricchire il tutto. Questo album l’ho curato dall’inizio alla fine, in ogni dettaglio. Facendo un po’ di autocritica, negli ultimi mixtape questa cura maniacale non c’è stata, ma forse è stato fisiologico essendo, appunto, mixtape.
Il feat con thasup in “Bruce Wayne”?
È un producer e un rapper geniale. Nonostante abbia passato un periodo difficile dal punto di vista della salute, c’è stato dentro fino alla fine. Ha creato un mondo, un genere, è unico.
Quello con Naska in “Gin Tonic”?
In Diego rivedo il me di dieci anni fa. Lui e Panetti mi ricordano proprio me e Gemitaiz agli inizi, in tanti aspetti (sorride, ndr).
“Lonewolf”, in definitiva, è un disco liberatorio?
Sì, non ho alcun rimpianto. Non ha influito alcuna politica di mercato, non ci sono singoli a tavolino. Sai, uno può anche pensarci mentre lavoro a un progetto, ma io a sto giro non l’ho proprio fatto. Volevo liberarmi di certe dinamiche e rimanere attuale, anche nel sound. Nell’industria va tutto velocissimo, trovare una propria formula è importante ed è giusto seguirla, ma allo stesso tempo evolversi. Ho un tatuaggio con scritto “Lonewolf” (è sulla gamba, ndr) da 6-7 anni. C’è un immaginario cinematografico forte che mi riporta a personaggi soli che nei film combattono, ma che allo stesso tempo sono introspettivi. Da “Blade Runner” fino a “Fight Club”, mi rivedo tantissimo in quelle pellicole.