Addio a Clem Sacco, aveva 91 anni

Ieri notte è morto all'età di 91 anni Clem Sacco, precursore del rock italiano. Nato al Cairo, in Egitto, da padre siciliano e madre piemontese, vi cresce con la coetanea Yolanda Gigliotti che qualche anno più tardi troverà la fama a Parigi con il nome d'arte Dalida.
Clemente andrà a Milano, studierà e si diplomerà in canto, come riporta nel suo articolo sull'Huffington Post Michele Bovi. Si presenta a una audizione a Mantova dove cercano un giovane baritono per la stagione lirica. Clem arriva secondo e decide di darsi alla musica leggera. È il 1955, dall'America giunge un nuovo ritmo chiamato rock and roll che farà breccia anche dalle nostre parti.
Tra i pionieri del genere c'è anche Clem Sacco. Cui faranno seguito nomi che diventeranno famosi come Baby Gate (Mina), Adriano Celentano, Giorgio Gaber. Sacco si scrive le canzoni ma incapperà nel veto della censura con brani come “Enea con il neo”, “Il deficiente”, “Spacca, rompi, spingi”, “Oh mama voglio l’uovo alla coque” e “Baciami la vena varicosa”, oltre ad oltraggiare il comune senso del pudore presentandosi al pubblico in mutande leopardate.
“All’indomani di quella esibizione, era il 1961 allo Smeraldo – raccontò Clem Sacco – andai negli uffici della mia casa discografica, la Durium, convinto di ricevere l’accoglienza estasiata del presidente Krikor Mintangian, perché a Milano non si parlava d’altro se non del mio uovo alla coque in mutande. Lei ci ha trascinati nella vergogna con quella schifezza di spettacolo! Mi urlò invece sulla faccia Mintangian invitandomi ad uscire e insieme diffidandomi dal ripresentarmi nuovamente al suo cospetto. Così all’embargo della Rai si aggiunse presto quello dei discografici e degli editori”.
Clem non si perde d’animo: nel 1961 è la voce solista dei Ribelli, il gruppo del Clan di Celentano: sostituisce Adriano partito per il servizio militare. “Con il consenso di Adriano sui manifesti compariva questa scritta: Il Clan Celentano presenta i Ribelli, canta Clem Sacco – ricorda il maestro Natale Massara, allora sassofonista dei Ribelli – Clem era l’unico sulla piazza che potesse rimpiazzare il Capo di cui riproponeva tutto il repertorio aggiungendo poi i propri pezzi che erano esilaranti ed esplosivi. La gente si divertiva un mondo: Clem era una forza della natura”.
Una volta portata a termine la leva Celentano torna e Sacco forma un nuovo gruppo, i Califfi, con alle chitarre Gino Santercole, Dino Pasquadibisceglie e Enrico Maria Papes, in seguito percussionista e vocione dei Giganti. Sacco viene scritturato la realizzazione di 5 filmati Cinebox, gli antenati del videoclip. La censura di radio, televisione e casa discografica spinsero Clem Sacco a creare una propria etichetta per incidere le sue canzoni.
“A Milano, di fronte al negozio delle Messaggerie Musicali, era perennemente parcheggiato il camper di Clem Sacco – racconta il direttore d’orchestra Vince Tempera – era il suo personale supermarket: vendeva i suoi dischi, le musicassette e mille altre cose, dai tagliaunghie alle carte da poker con le donnine nude. Io che avevo avuto occasione di suonare il piano nel suo gruppo e conoscevo bene quindi il talento dell’artista trovavo assurda e mortificante quella situazione. Eppure lui la viveva alla grande: sempre allegro, vitale, coraggioso. In una sua canzone c’è un verso che fa “papà, voglio un quarto di leone”. Ebbene, sicuramente il padre lo aveva accontentato. Incontrai Clem qualche anno fa: soltanto un paio di lenti e qualche ruga in più rispetto ad allora; nei modi, nella voce e nello spirito rimaneva il leone di mezzo secolo prima”.
Per tirare avanti si arrangiò facendo mille mestieri. “Un impresario mi disse: non c’è niente per te. – raccontò Sacco – A meno che… ma non oso nemmeno proportelo. È un lavoro che tutti rifiutano, anche quelli un po’… diversi… figuriamoci tu... Risposi che avrei accettato qualsiasi ingaggio. Mi disse che si trattava di un contratto per sei mesi come attrazione all’Alexander Bar, locale esclusivo per omosessuali. Non glielo feci ripetere due volte: accettai di corsa. Comprai una parruccona di capelli lunghi e cambiai nome: per sei mesi fui Clementina Gay, una sorta di orribile travestito che però cantava rock forsennato. Con moglie e due figli da mantenere accolsi l’Alexander Bar come un regalo del cielo”.
Dagli anni Ottanta viveva a Tenerife: lì ha cantato di tutto ovunque, rock, classici e folk nei ristoranti e nei night-club. Tornò a esibirsi in Italia nell’estate del 2006, invitato da Musicultura a Macerata. Tre gruppi giovani hanno inciso le sue canzoni: Gaby e i Batmacumba, i Serf e i Cabona Abusers.
Nel gennaio del 2007 condusse con Renzo Arbore il Dossier Storie dedicato ai 50 anni del rock italiano e fu premiato da Gene Gnocchi per la Grande Notte di Raidue come “l’artista più trasgressivo nella storia del rock italiano”. Tra il 2009 e il 2010 fu ingaggiato da Raiuno per due programmi: “I migliori anni” di Carlo Conti e "Ciak si canta” di Pupo in cui interpretò il video “Baciami la vena varicosa”. L’ultima sua esibizione italiana risale all’agosto del 2014, sul palco del Fonclea Riverside a Roma: una sfida tra rock e beat, Clem Sacco contro Mal dei Primitives, entrambi accompagnati da un gruppo di vecchie glorie del 45 giri. “Oggi molti rapper infarciscono le canzoni di insulti e ingiurie – dice Vince Tempera – il mercato accetta e anzi benedice ogni provocazione. Molta oscenità ma nessuna trasgressione. Clem fu il primo a sfidare il perbenismo. Ed era genuino: pagò la sua arte e la sua audacia con la disapprovazione dei moralisti e il veto dei codini. Senza neppure mai reclamare. Se n’è andato l’autentico protodemenziale del rock.”