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L'hip hop vero, suonato e sudato dei Roots

Un quarto di secolo fa il gruppo di Filadelfia pubblicava uno dei suoi migliori album
L'hip hop vero, suonato e sudato dei Roots

Un quarto di secolo fa, il 23 febbraio 1999, i Roots pubblicavano il loro quarto album, "Things fall apart". Un disco che riscosse parecchio successo e che contribuì ulteriormente a consolidare la fama della posse statunitense all'interno del movimento hip hop. Un gruppo che fa della qualità e dell'impegno la propria pietra angolare. Festeggiamo l'anniversario dell'uscita di "Things fall apart" ripubblicando la nostra recensione di quel bel disco.

Tornano i Roots, torna l'hip hop quello vero, suonato e sudato agli angoli delle strade di Philadelphia, dove il gruppo si è esibito per molti anni prima di ottenere un vero contratto discografico. A qualche anno di distanza dal grande exploit discografico e commerciale di "Do You Want More?!!??", la fortuna del gruppo è declinata leggermente, ma forse ancora di più è cambiata la scena.

I neri tornano ad essere la minoranza di una musica che all'inizio era nata per loro e se è vero che anni fa ad un concerto dei RUN DMC c'erano solo neri e poliziotti, adesso gran parte di questo movimento musicale è ad uso e consumo di ragazzini bianchi che sono dei b-boys wannabies. Peccato, perché l'integrità dei Roots non si discute, come mette in mostra egregiamente questo album, che ci ripropone lo stile magico di un rapper come Black Thought accanto ad una musica che coniuga abilmente soul, jazz e funk nelle maglie capienti e ipnotiche del migliore hip hop.

Per andare in classifica tutto il bello di questo disco potrebbe però non bastare e allora ecco il gruppo correre ai ripari tirando fuori un singoletto come "You got me" cantato insieme a 'princess' Erykah Badu, come dire la voce giusta al momento giusto. Se il precedente album, unanimemente considerato il loro migliore, non aveva riscosso fortune commerciali degne di nota, assai meglio promette di fare "Things Fall Apart", pervaso com'è di grande musica e di grandi testi.

Chissà perché negli States alla fine rimangano indietro proprio i migliori, i più intelligenti osservatori del potere, come Roots e Michael Franti: fatto sta che con questo album i primi tentano di dare un colpo di reni alla propria postura lievemente curva per rimettersi in piedi. Gli auguri affinché ce la facciano sono sinceri, come sempre nei confronti di quanti - con onestà e passione - fanno del proprio meglio per far vivere l'hip hop e non tradirne i significati originari.

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