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Laurie Anderson: “L’intelligenza artificiale è senza cuore”

Il ricordo di Lou Reed, il Tai Chi, lo spettacolo “Let X = X” in Italia, i computer: l’intervista
Laurie Anderson: “L’intelligenza artificiale è senza cuore”

“Non faccio musica o arte per esprimermi, non mi interessa che mi conosciate”, mi dice Laurie Anderson, alla fine di una lunga chiacchierata su Zoom, dalla sua casa di New York. Eppure l’artista è una delle persone più calde, coinvolgenti, stimolanti che può capitare di incontrare. Per dire: sullo sfondo si vedono le spade con cui Lou Reed, suo marito morto quasi 10 anni fa, praticava il Tai Chi e - ad un certo punto, dopo avermi fatto conoscere il suo cane - prende il computer e mi porta fino a vederle, e a vedere un poster dell’arte marziale che praticavano assieme.
Laurie Anderson è anche una delle artiste più inconsuete: 40 anni fa si ritrovò in testa alle classifiche con una delle hit più strane di sempre, “O superman”, un racconto apocalittico di 8 minuti su una base che ripeteva ossessivamente la sua voce campionata: in Italia ce lo ricordiamo perché venne usato come base di un terribile spot contro l’Aids, quello delle persone contagiate che diventavano cerchiate di viola come degli appestati. La canzone era contenuta in “Big science”, album che sarà al centro del suo nuovo spettacolo “Let X = X” , in arrivo per una data unica a Ravenna il 7 giugno. Nel frattempo è uscito il libro “The art of the straight line”, dedicato al rapporto tra Lou Reed e le arti marziali, da lei curato: la nostra lunga chiacchierata parte da lì, dalla gioia del ricordo, per arrivare all’intelligenza artificiale, che sta usando per rielaborare la sua musica ma che, spiega, è senza cuore come tutta la matematica che usiamo per capire il mondo.

È appena uscito “The art of the straight line”, libro che hai curato e che racconta tuo marito Lou Reed attraverso la sua grande passione per l’arte marziale del Tai Chi. Una pratica che gli ha salvato la vita?
Si, come la musica: ci sono dei parallelismi tra queste due pratiche che proviamo a raccontare. Così come le sue pratiche meditative, molto più avanzate di quanto sapessimo: un libro che racconta Lou, ma anche qualcosa che può cambiare la vita delle persone e renderla migliore. 

Ne emerge un’immagine molto diversa di quella della rockstar scontrosa spesso raccontata dalla stampa. Un uomo intransigente, sì, ma appassionato e compassionevole: era così?
Lou era uno che voleva sempre il meglio. Poteva commentare la tua postura o le tue scarpe. Poteva dirti, dal nulla: ma come stai con le spalle? Ma davvero indossi quella roba? Oppure: quella chitarra che usi è una merda, se vuoi davvero essere un musicista. Era un modo per dire agli altri che potevano migliorare.

Era famoso per le sue risposte dure alle domande dei giornalisti. Il motivo era quindi sempre questa intransigenza?
Si, odiava i gossip e le domande banali. Era come se dicesse: ma davvero vuoi chiedermi queste cose stupide, o vuoi parlare di cose interessanti? I media non erano abituati alla sua onestà, erano abituati solo alle convenzioni delle pubbliche relazioni, agli stereotipi. Lou conosceva bene questi meccanismi economici e di branding: scopriva il gioco dei giornalisti e molti rimanevano scioccati perché conoscevano solo un modo di relazionarsi con gli artisti, pensavano solo “Non gli sono piaciuto”.

Avete scovato negli archivi una canzone inedita sul Tai Chi, “Open invitation”, ma Lou ha scritto e pubblicato musica strumentale per meditazione e la pratica delle arti marziali.
Il CD “Hudson river meditation” verrà ripubblicato in autunno, con un saggio e un poster che non siamo riusciti a mettere nel libro, in cui è illustrata la sua “forma” del Tai Chi. È una sequenza codificata di movimenti che ha studiato con il suo maestro, Master Ren, per quando era in tour o per chi vive in posti piccoli, perché richiede poco spazio per essere eseguita. Pubblicheremo anche la musica che ha inciso per i DVD di Tai Chi di Master Ren.

C'è altro materiale inedito?

C’è ancora molto materiale nascosto negli archivi. È pazzesco: è mancato da 10 anni e ancora scopro cose di lui che non sapevo o non sapevo di avere, note in giro per la casa, qualcosa lasciato su un biglietto in un libro. Vivo in una sorta di archivio vivente…

È doloroso per te rivisitare queste cose di Lou?
No, è stata gioia pura, per me e per gli altri curatori del libro. Avremmo voluto che questo lavoro non finisse mai, abbiamo scoperto cose che non sapevamo e ci ha ispirato. Avrei voluto poterlo promuovere di più. 

Il Tai Chi ha che fare con movimenti circolari e a spirale, più che con movimenti dritti e lineari. Cosa significa il titolo “The art of the straight line”?
Era un titolo voluto da Lou, e abbiamo passato molto tempo a cercare di capirlo. Nell’arte e nella vita non c’è mai davvero una linea dritta per arrivare da qualche parte, a meno che tu non abbia una meta precisa. Poi magari ti perdi e giri in tondo. Ma Lou era uno che cercava sempre di rendere le cose migliori e di farlo in maniera diretta: per cui abbiamo mantenuto il titolo.

Passando a “Let X = X”, il tuo spettacolo che arriverà in Italia, ci sarà anche un ricordo di Lou, in scaletta?

Rileggeremo paio di canzoni di Lou, tra cui l’ultima del suo ultimo disco, “Junior dad”: ho sempre pensato fosse coraggioso lasciare questo mondo con una canzone di rabbia, non dicendo “eh, sono un nonno, ho avuto una bella vita, addio a tutti”, ma piuttosto “Sono davvero incazzato perché sono diventato come mio padre”.

Il titolo dello spettacolo è quello di una canzone di “Big science”, il tuo album di maggiore successo. Come è nato?
Non è uno spettacolo che celebra i 40 anni di quel disco, ma  celebra Hal Willner, un grande amico mio e di Lou, ed è scomparso per il Covid. L’anno scorso stavo lavorando per partecipare ad un suo tributo, ho incontrato lì i SexMob lavorando ad una cover di un brano di Lou, “Gassed and stoked”. Mi sono resa conto che mi stavo divertendo moltissimo con loro. Ma quella sera andai a casa, non mi sentii bene, e scoprii di avere il Covid, quindi la performance saltò. 

Da lì è nata l’idea di lavorare con i SexMob ad uno spettacolo?
Si, perdere quel tributo fu una cosa triste: ricordare Hal era una sorta di pietra miliare per me. Mi ha sempre colpito che sembrasse avere tutto il tempo nel mondo: incontrava qualcuno per strada, si metteva a parlare e lo invitava ad ascoltare musica a casa sua, come se non avesse altro da fare. Questo spettacolo è quasi un tributo a lui e all’idea del suonare assieme. Io sono spesso una solitaria, lavoro da sola in studio, ma ho pensato che fosse meraviglioso fare qualcosa di sociale e imprevedibile.

Cosa c’è in "Let X = X"?
Canzoni da “Big Science”, canzoni successive, ma trattate in una maniera quasi irriconoscibile. La scaletta è in lavorazione, al momento ancora troppo lunga: 22 canzoni, più una decina di  parti di che sono le più divertenti per me perché mi riportano nel territorio dell’improvvisazione dopo spettacoli molto calibrati. È un bel modo di fare musica: ai SexMob piace fare versioni strane, non faremo cose simili al disco, non sarebbe neanche possibile perché non ho più gli strumenti con cui ho suonato quei brani.

In “Big science” c’era “O superman”, una delle hit più improbabili di sempre, una suite elettronica recitata di 8 minuti che arrivò al numero 2 in Inghilterra.
Racconta una lunga storia apocalittica: è una canzone ancora avanti anche rispetto ai tempi attuali, una cosa che non ha ripetuto nessuno. Sono felice di avere raggiunto le barricate del pop: per un attimo quelle sirene mi hanno sedotto, anche se sapevo benissimo che era tutto ridicolo, che sarebbe finito in fretta e che era meglio che non mi ci abituassi. Quel successo mi ha permesso di fare altra musica, ed eccoci qua, dopo 40 anni.

In un’intervista recente hai raccontato che stai lavorando con l’intelligenza artificiale, che stai usando per rielaborare la tua musica. C’è chi teme che possa arrivare a sostituirsi agli artisti. Cosa ne pensi?
Quanti anni sono passati da quando ci dicevano che i robot avrebbero sostituito le persone? È un discorso da comunicati stampa, ci vorranno secoli prima che l'intelligenza artificiale riesca a mettere assieme qualcosa di veramente interessante. È come un libro da colorare: l’intelligenza artificiale avora con formule matematiche e algoritmi ed è senza cuore. Ma c’è un muro matematico contro cui ogni intelligenza si scontra: lo racconta bene Benjamin Labatut, nel suo libro Quando abbiamo smesso di capire il mondo: viviamo in un mondo troppo complesso per essere compreso anche dalle leggi della fisica e dalla matematica, figuriamoci per essere replicato in maniera interessante da un'intelligenza artificiale.

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