Il mondo rap alla conquista degli stadi

“Il calcio è l'ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l'unica rimastaci”: è una frase storica e come sempre a tratti, in modo naturale, provocatoria di Pasolini. Una cosa è certa: il tifo legato al calcio (ormai lo sport in sé è pura industria senza freni) è in modo intrinseco “popolare”, spesso slegato dai concetti di vittoria e sconfitta che governano la nostra società e questo motivo romantico è forse l’unico aspetto per cui vale davvero la pena seguirne ancora le vicissitudini. In curva o in gradinata si può trovare un ventaglio di classi sociali, età e diversi stili di vita che difficilmente si manifestano altrove, tutti elementi che, più di altri, riflettono l’eterogeneità della società.
Ecco, se una canzone arriva lì, in mezzo a quel caos colorato di umanità e viene cantata dal cuore, come in antichità un canto di guerra, oggi come un coro di supporto per la propria squadra, non solo significa che è entrata realmente dentro la cultura popolare, ma che può ambire all’immortalità, al non essere dimenticata perché sarà ri-cantata ogni qual volta quegli undici con addosso quella maglia dai colori sacri scenderanno in campo. Quello che è interessante notare è come le canzoni, i cori di una curva e i pezzi trasmessi nel pre partita, cambino anche in relazione, giustamente, ai tempi che viviamo.
Vedere la curva del Milan intonare a squarciagola “Cenere”, con un Lazza visibilmente commosso a bordo campo, e la Gradinata Nord del Genoa fare la stessa cosa con “Guasto d’amore” di Bresh, diventato un vero e proprio coro dei tifosi genoani (cliccando qui potete leggere tutta la storia del brano), è un termometro del cambiamento. Non poteva essere altrimenti: questi artisti simbolo del contemporaneo, spesso anche loro legati alle dinamiche dello stadio, ne diventano la colonna sonora. Spotify ha comunicato che il secondo brano più streammato degli ultimi dieci anni è “Mi fai impazzire” di Blanco e Sfera Ebbasta: non importa quale squadra si tifi, se si è andati allo stadio negli ultimi due anni, almeno una volta nel pre-partita l’avrete sentita. Oltre che cantata. E di altri esempi come questo se ne potrebbero fare a decine.
Va anche detto che il legame fra rap/urban e sport, in questo caso parliamo di calcio, per certi versi è quasi naturale ruotando intorno ambedue a parole chiave come “icona” (tantissimi rapper citano calciatori nelle proprie canzoni), “appartenenza” e inevitabilmente anche “soldi”, con diverse squadre blasonate che vogliono i rapper come volto per le proprie campagne di marketing. C’è anche tanta verità e sentimento: beccare Emis Killa (Milan), Willie Peyote (Torino) o Clementino (Napoli) in mezzo ai tifosi caldi, non in tribuna seduti a sorseggiare un bianco, fa bene al cuore. Ci sono casi curiosi come calciatori che sono anche rapper, vedi Leao, attaccante del Milan, che si diletta a sparare barre come tiri verso la porta.
Insomma, c’è sempre più urban allo stadio, ci sono sempre più artisti rap/urban che fanno da sfondo sonoro alle partite mentre i giocatori si riscaldano, o addirittura proprio le canzoni di questi cantanti vengono adattate a coro dai tifosi. È lo stesso identico fenomeno, a livelli alti, avvenuto per tante e diverse generazioni. “Lettera da Amsterdam”, scritta dal compianto Vittorio De Scalzi insieme al fratello Aldo e a Federico Sirianni, da oltre trent’anni è divenuto l’inno naturale dei tifosi della Sampdoria. E va ammesso, al di là delle fedi: è un grandissimo pezzo cantautorale, non un motivetto, fatto proprio da persone di tutte le età. Un altro esempio celebre: "Grazie Roma" di Antonello Venditti.
Non è finita. Le melodie di “Mexico e nuvole” di Enzo Jannacci, “Azzurro” di Adriano Celentano, “L'estate sta finendo” dei Righeira, “Il mio canto libero” di Lucio Battisti, “Sarà perché ti amo” dei Ricchi e Poveri, brani storici come “Bella ciao” o “Avanti ragazzi di Buda”, sono state interiorizzate dalle curve e trasformate in cori che ogni domenica fanno tremare gli stadi. E questa mutazione genetica sta succedendo anche per le canzoni urban degli ultimi anni: “Cara Italia” di Ghali o “Senza pagare” di J-AX & Fedez vengono modificate nel testo e riecheggiano fra i gradoni. Certo, la musicalità e la semplicità martellante del sound aiuta.
Questo, in definitiva, per dire che quando un mondo musicale sfonda negli stadi non può essere liquidato a “moda passeggera” o a fenomeno del momento, soprattutto se gli esempi si moltiplicano. L’urban e il rap, a più livelli, si stanno inserendo sempre di più nel tessuto sociale e culturale del Paese: sì, è vero, in questo caso è l'anima più tendente al pop e al fenomeno “tormentone”, d’altronde l’universo sonoro dello stadio richiede questo, ma è pur sempre una dinamica dell’oggi affascinante e significativa.