Cosmo: “C’è un motivo se hanno amato Battisti anche all’estero”

L’energia di Cosmo non si ferma. Dopo un’estate di palchi infuocati e folle in festa, l’artista è all’estero per una serie di date importanti e il 15 ottobre è atteso a Miami per esibirsi in occasione dell’Hit Week.
Come arrivi, fisicamente e mentalmente, a questi appuntamenti all’estero?
"Il tour italiano appena concluso è stato bellissimo. Credo di aver raggiunto, insieme a tutta la band, il massimo livello della forma. Era da anni che lo ricercavo: il live, in questo momento, è davvero al punto più alto. Sento un ritmo, una vibrazione speciale sul palco. Abbiamo la mente rilassata perché siamo rodati come non mai".
Quest’estate, assistendo a un tuo live, si aveva la sensazione che non volessi più scendere dal palco. Ti ho sentito dire: “Bisognerebbe andare avanti finché non cede il corpo, solo allora si può spegnere la musica”.
"Dopo un lungo stop i live sono stati una liberazione. Si è creata un’energia magica con il pubblico e il tempo, in effetti, non sembrava bastare mai. All’estero portiamo un set da un’ora e mezza, ma in Italia ci sono state date in cui siamo andati ben oltre. A Bologna abbiamo suonato per 2 ore e 20. Anche quando facevamo le prove lavoravamo su un live di oltre 2 ore. La voglia di suonare era ed è tantissima".
Hit Week a Miami rappresenta un’opportunità?
"Sì, è un modo sensato e utile di promuovere la musica all’estero. È un ottimo punto di partenza, ma tutti, dai management alle etichette, si devono impegnare perché queste occasioni capitino più spesso. Gli eventi di questo tipo vanno moltiplicati, servono appoggi e un lavoro costante. Solo così si aumenta la considerazione che possono avere all’estero per la nostra musica".
Hai già avuto modo di suonare fuori dall’Italia. Quali sono le differenze?
"Nel campo dell’elettronica, un tempo, ti avrei detto: il calore del pubblico. All’estero sono più abituati a certi generi e li vivono in modo più intenso. Anche per la trap o per il grime è così: se partecipi a un live all’estero legato a questi mondi, vedrai un pubblico molto più agitato che in Italia. Però, dopo il tour italiano che ho appena fatto, voglio sfatare questo mito: ho visto un pubblico italiano calorosissimo e particolarmente fisico. A sto giro non ho notato alcuna differenza con l’estero".
È quello che ti eri prefissato scrivendo “La terza estate dell'amore”?
"Sì, chiuso nell’isolamento più acuto della pandemia volevo creare una musica che speravo portasse al degenero, al delirio. Sognavo i live che poi sono riuscito a realizzare".
Qual è la percezione della nostra musica fuori dai confini?
"Credo che all’estero, nel mare di musica che gira, ciò che davvero può bucare è la personalità. Quello che a volte rovina la musica italiana è la tendenza allo scimmiottamento di ciò che funziona a livello internazionale. Una sorta di omologazione allo standard. Per me è giusto essere aggiornati, conoscere nuovi stili e lasciarsi ispirare, ma il tutto va poi filtrato secondo una propria visione personale in cui è possibile riconoscere un “tocco italiano”. Ed è quel tipo di personalità musicale che all’estero può essere riconosciuta e apprezzata".
Un esempio?
"Battisti. Era italiano e anche internazionale, era una terza via. La sua italianità si sentiva, era forte. C’è un motivo se infatti l’hanno amato anche all’estero. Ti faccio un esempio anche di un’artista che mi piace meno: Laura Pausini. Anche a lei quel tipo di personalità, fuori dall’Italia, viene riconosciuta".
L’esportazione è un altro campo da gioco?
"La nostra ultima grande esportazione è stata l’italo-disco degli anni ’90. Ecco, quella è la dimostrazione di come inserirsi in un grande filone, quello dell’elettronica e della disco mondiale, senza però scimmiottare, ma con uno stile proprio".
Anche tu hai un sound internazionale e un marchio italiano, soprattutto nei testi.
"A un mio concerto può venire chiunque: la musica arriva lo stesso anche se non si capisce il testo perché magari non si è italiani. Quello è sempre stato il mio obiettivo: costruire una fan base “porta a porta”, con i live. È sul palco che c’è la verità. Solo quello, alla fine di tutto, conta davvero".
Altri nomi significativi?
"I Nu Genea. Loro paradossalmente hanno avuto successo prima all’estero che in Italia. Vedi, anche nella loro musica c’è una forte personalità italiana e ci ricolleghiamo al discorso di prima: hanno un sound senza confini, ma allo stesso tempo rievocano la Napoli anni ’70. Quel marchio è importante".
Il fenomeno Maneskin come lo analizzi?
"Come una vittoria alla lotteria. Rappresentano un discorso molto diverso da quanto detto prima. Sono amati a livello mondiale perché sono riusciti a inserirsi nella grande onda del rock. Fanno un genere che con il nostro Paese, però, non c’entra quasi nulla. Loro non sono amati perché italiani, non è la personalità musicale italiana a distinguerli, ma sono le canzoni. Hanno brani che spaccano in quel genere musicale e quindi hanno avuto successo, ma è davvero una rarità".
Come si esporta la musica all’estero?
"Ad alti livelli non ti so rispondere. A livello underground credo molto nel fare circuito, nello scambio e nelle relazioni fra le scene dei vari Paesi. Internet, sicuramente, è una grande occasione, ha facilitato molto la diffusione della musica e la possibilità di mettersi in contatto".