Ben Harper riparte dal basso (e dal soul): l'intervista

Sulla parete c'è una collezione di skateboard, su uno scaffale foto di famiglia: è una parte della "linea di sangue" che ha inserito nel nuovo album: incontriamo Ben Harper su Zoom, dalla sua casa di Los Angeles, cuffietta arancione in testa anche se è estate, sguardo intenso, poche parole ma sempre misurate. Una conversazione con il cantautore è molto di più di un'occasione per promuovere qualcosa, che sia "Bloodline maintenance" o le date italiane (domani, 11 agosto, l'ultima, a Brescia, con gli Innocent Criminals). Diventa un modo di riflettere sul senso del fare musica.
Harper ha portato la sua band in formazione necessariamente rinnovata: la morte di Juan Nelson, storico bassista, ha cambiato tutto. Tanto che il nuovo album è stato scritto a partire dal suo strumento, in completa solitudine: una meditazione su amore, rabbia, sulla musica soul e sulla condizione di chi vive in America, oggi.
Partiamo dalla questione più ovvia, il titolo: cos’è “la manutenzione della linea di sangue"?
Per la prima volta un titolo di un mio album non parla di me, ma degli individui, di una comunità: è un’espressione difficile da tradurre, che lavora su diversi livelli e che ogni giorno può voler dire una cosa diversa.
Sei in tour con gli Innocent Criminals, ma questo album è stato inciso in solitaria, coretto?
Ho già fatto un disco come questo, “Both sides of the gun”, dove ho suonato la maggior parte degli strumenti: è stato un ritorno a quel tipo di approccio. Sono cresciuto in un negozio di strumenti: la regola che mi diede mio nonno è che dovevo essere in grado di vendere qualsiasi cosa e per farlo dovevo essere in grado di suonare almeno due canzoni su tutto quello che c’era. Nel negozio c’erano un migliaio di strumenti...
Il fatto è che quando ho un’idea precisa, devo suonarla e inciderla io: spesso n le mie soluzioni hanno un approccio poco ortodosso, difficilmente traducibile per altri musicisti.
Gli ultimi anni sono della tua musica sono stati segnati dalla perdita di Juan Nelson, il bassista degli Innocent Criminals.
Questo è il primo disco che ho scritto principalmente partendo dall basso: èra un amico carissimo, uno di quelli con cui non ha il tempo di dire una frase che l’altro la finisce. Avrebbe voluto che continuassimo, è l’eredità che ci ha lasciato. Sarà per sempre un nostro fratello anche se la musica non sarà mai più la stessa. Stiamo trovando un altro terreno, ma anche questa esplorazione sarà parte della sua eredità. Il modo in cui ha influenzato questo disco è facendoci guardare al futuro.
È il tuo primo album di canzoni originali in sei anni: hai fatto due album con Charlie Musselwhite e uno strumentale, nel frattempo.
È stato eccitante tornare a fare musica da solo. Non fraintendetemi, potrei passare il resto della mia vita a suonare con Charlie, è un eroe ed una figura paterna. Ma è stato bello tornare a scrivere canzoni, a raccontare quello che avevo in testa, trovando nuovi modi espressivi. Ho pensato fosse il momento di tornare alle mie origini, ma guardando avanti, non soltanto dietro le spalle. Non ho mai pensato alla musica come una ruota che gira e ti riporta a dov’eri, ma non ho mai avuto paura di rimanere legato alle tradizioni, né di essere futurista.
Quanto “Winter is for lovers”, il tuo disco disco strumentale, ha influenzato la scrittura di questo album?
La cosa che mi è piaciuta di quel disco è che racconta le fondamenta del mio suono e di ciò che sono: chi mi conosce lo capisce subito. L’altra cosa è che quel disco è stato una sorta di reboot, il che rende questo disco il primo di un nuovo capitolo. oggi è difficile far sì che la gente ti ascolti con orecchie fresche, dopo così tanto tempo. Penso che abbia ripulito il campo, sicuramente ha aiutato me a ricominciare.
Potremmo definire questa musica “soul”?
Credo che il modo più onesto per definire questo album è “Modern soul”, ma radicato nella tradizione.
Cos’è per te oggi il soul, quindi?
È una domanda necessaria: è un termine ampio, ognuno ha una sua definizione, credo. È la stessa cosa dell’r ’n’ b’? Spesso se ne parla come se fossero ancora collegati, ma non sono così sicuro, ha preso una nuova direzione in questi ultimi tempi. Per me il soul è un’energia emotiva, qualcosa che va direttamente alla fonte di un’emozione.
La musica soul è prima emozione, poi produzione.
Il disco ha un arco narrativo: parte dalla rabbia, poi si muove verso l’amore e la meditazione.
Si, è così: è un disco in cui la sequenza delle canzoni è importante quanto le canzoni stesse. lL rabbia è la soglia di entrata di quello che voglio raccontare.
Si sente prima la mia voce da sola, senza strumenti: permette di riconoscermi, per far risuonare la mia musica in maniera più forte dopo. Queste canzoni sono state scritte per stare assieme, ma è stato fondamentale trovare il modo di iniziare la conversazione, dopo sei anni.
La rabbia è il racconto della storia afromericana, dalla schiavitù al movimento Black Lives Matters.
È un movimento la cui importanza è difficile da sottostimare: ha cercato non solo di protestare, ma anche di costruire dei ponti culturali in America. Ma credo che sia importante riconoscere: ecco perché inizio cantando “we need to talk about it”. Non possiamo andare come se fosse business as usual?
Cosa può fare la musica in questo contesto?
Non credo che il punto sia la musica, quanto la coscienza collettiva, la consapevolezza. La musica è una parte di tutti questo, lo spero visto il tempo che passiamo a farla e ad ascoltarla…