Glen Hansard all'Alcatraz di Milano - il report del concerto

“Don’t give up on me!”, urla Glen Hansard. E poi lo urla ancora. E ancora. Poi si versa una bottiglia di San Pellegrino in testa, e scuote l’acqua dalla testa, soddisfatto. E’ finale di “This gift” e sembra il finale dell’ennesimo, grande concerto del cantante di “Once”. Solo che non è ancora finita. Non è mai finita, quando c'è di mezzo Glen Hansard.
Da quando è uscito quel film, da quando nel 2007 ha vinto l’Oscar per “Falling slowly”, sono stati 8 anni incredibili, per Hansard. Dopo una lunga gavetta, si è finalmente conquistato un pubblico - che ieri, 14 novembre - ha riempito l’Alcatraz. E quel pubblico non ha nessuna intenzione di lasciarlo andare o di abbandonarlo, come in quell’urlo. La data di domani, a Bologna, è esaurita da tempo.
“La strada ti insegna tutto”, ci racconta Glen prima dei concerto, nel camerino, dove l’abbiamo incontrato per registrare una session acustica Live@Rockol, che pubblicheremo nei prossimi giorni. “Ti insegna che per farti ascoltare devi amare quello che fai, devi crederci, e i soldi che la gente ti lascia sono solo una conseguenza dell’attenzione che ti danno, e che ti devi guadagnare. Ti insegna a cantare, a usare le dinamiche della chitarra e della voce, ti insegna a coinvolgere il pubblico”. Glen Hansard si è formato sulla strada, come busker, e si vede anche stasera - dopo “This gift” dice “Ancora una”. E attacca un classico irlandese, “The Auld triangle” - “una canzone di Dublino”, dice presentandola. “C’è qualcuno di Dublino?”. Tutti in coro rispondono di sì, anche se siamo a Milano. E lui, sorridente: “Avete ragione, siamo tutti di Dublino, stasera”. E poi coinvolge nelle strofe i supporter Lost Brothers e la sua band di 8 elementi, nonché roadie, tecnici e il tour manager (che sfoggia una voce da vero irlandese). E ovviamente il pubblico.
Il concerto, nella prima parte, è centrato sull’ultimo “Didn’t he ramble” - “Un disco senza canzoni d’amore, scritto pensando alla mia famiglia, ai miei amici, e pensando a che relazioni ho oggi - fatto di melodie che si possono cantare anche senza accompagnamento”, ci aveva spiegato nel pomeriggio. La band invece rende quelle melodie ricche, con fiati, archi, un piano a coda, e la chitarra del fido Rob Bochnick (con lui da sempre nei Frames). Alla seconda canzone, “Winning streak”, coinvolge già il pubblico. Alla quarta, “When your mind’s made up”, piazza uno di quei crescendi intensi per cui è amato, e nella foga spacca una corda della sua chitarra. Ve la ricordate? Quella con il buco sulla cassa, fatto a forza di percussioni e sessioni in strada come busker. Un roadie prontamente gliene porge un’altra, uguale, con lo stesso buco, le stessa vernice mancante. La chitarra scassata di Glen è stata clonata, riprodotta - ma non ha voluto rinunciare a quei segni del tempo, gli stessi che ha in faccia - i capelli sono meno rossi e un po’ più bianchi. Come a dire - anche se oggi mi posso permettere chitarre più belle, voglio sempre quelle da strada.
Chiacchiera, scherza, racconta storie come sempre - affiancando all’intensità di “Leave” e “What happens when the heart just stops” l’ironia di citare i Kraftwerk sull’attacco di “Talking with wolves”. Il momento più bello della prima parte è sicuramente “Lowly deserter”, quello in cui viene fuori tutto “celtlic soul” della suo repertorio recente, grazie anche ai fiati - la canzone sfocia in un assolo di trombone che fa molto “Seeger session”. Il cerchio springsteeniano si completa con una “Drive all night” non in scaletta, richiesta dal pubblico e sempre commovente. “Di chi è questa?”, Sento dire, in fondo alla sala. Prima che qualcuno urli “Bruuuuuce!” - ma ormai quella canzone è tanto di Hansard quanto del boss.
Nei bis il concerto ricomincia con Glen che scende tra il pubblico con la chitarra, e sale su una delle balaustre che portano al bar dell’Alcatraz - lì, voce e chitarra, canta “Say it to me now”, senza amplificazione, con la platea prima silenziosa in adorazione, poi in coro sul ritornello. Il resto è festa: “Falling slowly” viene cantata a due voci con una ragazza disabile (il cui viso felice è commovente), tornano sul palco i Lost Brothers, che improvvisano una sbilenca “Bella ciao”, e una più sensata “Corinne, Corinna” (tradizionale folk dal repertorio del primo Dylan), con Glen al basso. Poi la festa nella festa del finale con "This gift" e "The auld triangle" .
Nei concerti di Glen Hansard c’è tutto: la tensione, l’emozione, l’intrattenimento, il coinvolgimento, il cantare a squarciagola e l’ascoltare in silenzio. Si vede che Hansard arriva dalla strada soprattutto perché sa prendere per mano il suo pubblico, con apparente naturalezza ma con grande esperienza, e portarlo dove vuole, alternando i vari stati d’animo. Alla fine del concerto, è uno solo: la felicità. Come si diceva di quell’altro - sì, il boss - il mondo degli appassionati di musica si divide tra quelli che amano Glen Hansard e quelli che non l’hanno mai visto dal vivo.
(Gianni Sibilla)
SETLIST
Grace Beneath the Pines
Winning Streak
My Little Ruin
Philander
When Your Mind's Made Up
Bird of Sorrow
Leave
What Happens When the Heart Just Stops
Come Away to the Water
Talking With the Wolves
McCormack's Wall
Lowly Deserter
Way Back In The Way Back When
High Hope
Didn't He Ramble
Her Mercy
Drive all night
Bis
Say It to Me Now
Gold
Falling Slowly
Bella Ciao (The lost Brothers)
Corinne, Corinna (The lost Brothers)
This Gift
The Auld Triangle