
Se sulla copertina del cd d’esordio appaiono come delle statue di cera, non altrettanto si può dire degli Ark quando li si incontra di persona. Simpatici e per nulla “ingessati” o “incerati”, anzi molto sciolti, i cinque svedesi -che ieri sera, 3 maggio, si sono esibiti al Gasoline- rispondono volentieri alle domande. “Abbiamo scelto volutamente questa immagine plasticosa, un po’ finta – spiega il cantante Ola Salo -, in risposta a quella scena musicale degli anni ’90 che ha portato con sé molta superficialità e pochi contenuti. Nel nuovo millennio noi lanciamo un messaggio che non è quello di cercare di affermare a tutti i costi la nostra credibilità e la nostra autenticità, ma piuttosto essere portatori di un’onesta e chiara artificialità. Non dobbiamo necessariamente dimostrare di essere autentici o credibili: in fondo il disco non è altro che un pezzo di plastica! Se lo ascolti, però, dentro troverai un messaggio di altro genere. Non vediamo nulla di male nel voler unire un discorso di puro intrattenimento con un contenuto vero: probabilmente è più facile raggiungere la gente in questo modo. Ognuno, divertendosi, magari recepisce meglio il messaggio che gli vuoi dare, anche senza concentrarsi esclusivamente sullo stesso”.
E come l’immagine di copertina, anche l’ascolto di “We are the Ark”, album d’esordio di questa formazione, mostra elementi da glam rock anni ’70, soprattutto vicini a David Bowie e ai Queen, mescolati con un’espressività vocale e delle strutture compositive tipiche da musical o da rock opera. Questo perché Ola ha effettivamente lavorato per molti anni su questo mezzo di espressione artistica, come ci racconta lui stesso: “Sicuramente siamo influenzati dal musical, che abbiamo ascoltato molto. Anche perché io vi ho lavorato per molti anni. Così cerchiamo di fare in modo che ogni nostra canzone sia un piccolo musical a sé stante, perché ci piace fare riferimento alla teatralità della nostra proposta e alla spettacolarità dei nostri concerti. Io ho lavorato in un paio di musical svedesi, uno dei quali scritto da due componenti degli Abba”. Il bassista Leari, invece, è stato in tour due anni fa con i Cardigans, gruppo peraltro molto diverso dagli Ark. Ma l’attenzione del quintetto è ora rivolta verso la ricerca di un riscontro continentale verso il loro esordio discografico, che in patria ha già ottenuto ottimi risultati piazzando entrambi i singoli al n. 1 della hit parade: “Siamo contentissimi del successo ottenuto in patria – afferma il chitarrista Martin Axen -, ma speriamo che anche altrove la gente abbia possibilità di conoscerci e di ascoltare la nostra musica. Speriamo di ottenere, se non lo stesso, un adeguato successo anche in Italia. La nostra non è comunque una musica tipicamente svedese e il nostro messaggio può quindi tranquillamente essere portato anche al di fuori del nostro paese”.
E come l’immagine di copertina, anche l’ascolto di “We are the Ark”, album d’esordio di questa formazione, mostra elementi da glam rock anni ’70, soprattutto vicini a David Bowie e ai Queen, mescolati con un’espressività vocale e delle strutture compositive tipiche da musical o da rock opera. Questo perché Ola ha effettivamente lavorato per molti anni su questo mezzo di espressione artistica, come ci racconta lui stesso: “Sicuramente siamo influenzati dal musical, che abbiamo ascoltato molto. Anche perché io vi ho lavorato per molti anni. Così cerchiamo di fare in modo che ogni nostra canzone sia un piccolo musical a sé stante, perché ci piace fare riferimento alla teatralità della nostra proposta e alla spettacolarità dei nostri concerti. Io ho lavorato in un paio di musical svedesi, uno dei quali scritto da due componenti degli Abba”. Il bassista Leari, invece, è stato in tour due anni fa con i Cardigans, gruppo peraltro molto diverso dagli Ark. Ma l’attenzione del quintetto è ora rivolta verso la ricerca di un riscontro continentale verso il loro esordio discografico, che in patria ha già ottenuto ottimi risultati piazzando entrambi i singoli al n. 1 della hit parade: “Siamo contentissimi del successo ottenuto in patria – afferma il chitarrista Martin Axen -, ma speriamo che anche altrove la gente abbia possibilità di conoscerci e di ascoltare la nostra musica. Speriamo di ottenere, se non lo stesso, un adeguato successo anche in Italia. La nostra non è comunque una musica tipicamente svedese e il nostro messaggio può quindi tranquillamente essere portato anche al di fuori del nostro paese”.
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