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Il vino, i francesi e gli alieni. Tutto ciò che c’è da sapere su ‘Life on other planets’, il nuovo disco…..

E il Brit pop è lontano lontano, anni luce, risplendente di un flebile, morente barlume. La terra allora era popolata da strane entità conosciute per le loro avventurose incursioni sonore e i nomi immaginifici, teatrali e dal sapore psichedelico. C’erano gli Suede e gli Stone Roses, i Cast e i Charlatans, i Reef e i Kula Shaker. A quel tempo, tre ragazzi dai capelli scompigliati e dalla smorfia immediata, alle facili strafottenze glamour del rock ‘n’ roll preferirono magliette buffe, pose più vicine al grottesco che al cool, titoli provocatori come “In it for the money” e testi sovversivo-autobiografici: “Caught by the fuzz” è una canzone che ancora oggi viene ricordata per l’originale trama, in cui viene narrato un incontro ravvicinato del terzo tipo con alcuni sbirri piuttosto alterati e relativo pernottamento in gattabuia. Erano giorni di sole e di gite in BMX per i Supergrass, spensierati pomeriggi di adolescenti con i Beatles e i Rolling Stones in testa e il sogno che in futuro avrebbero potuto scoprire il segreto della vita su altri pianeti. La sfida del loro nuovo album “Life on other planets”? Mickey Quinn e Rob Coombes ci hanno detto che è molto semplice: divertire e divertirsi. Prima che la terra venga invasa dagli alieni…

Mojo ha dedicato a “Life on other planets” la recensione del mese. Ne sarete orgogliosi, immagino.
Mickey: Sì, sì, siamo molto contenti… l’ho letta proprio qualche giorno fa.
Rob: Io invece non lo sapevo. Voglio assolutamente capire di cosa si tratta. Per caso l’hai qui con te? (indica l’enorme mole di appunti posati sul tavolo, n.d.r.).

Eccola qui (porgo a Rob una fotocopia della recensione che osserva attentamente, n.d.r.). Il fatto di essere finiti su una rivista come Mojo, che in gran parte si occupa di musica del passato, vi fa piacere?
M: Non so… insomma, non saprei dire se è proprio una buona cosa… . E’ difficile capirlo quando una recensione è strutturata in paragrafi, a seconda delle influenze o referenze di un gruppo relativamente giovane come il nostro…. Tutti parlano del passato e di ciò che sentono in un disco, e ovviamente la stessa cosa è valsa per “Life on other planets”. Non credo sia molto positivo. Ma io amo molto il mio lavoro, mi piace ciò che faccio. E credo sinceramente sia uno degli impieghi migliori sulla terra, anzi, in Inghilterra (risate, n.d.r.). Molte recensioni sono scritte bene, non lo nego, ma il fatto di parlare delle canzoni solo in termini si somiglianze e influenze non è molto bello, non ci fa certo piacere. Sembra piuttosto superficiale, come se si parlasse solo dell’esterno di una casa e non si entrasse nel merito di ciò che è l’arredamento e il gusto degli interni… ma è provato quanto io sia critico… .

E’ pur vero però che la maggior parte dei nuovi gruppi, se non tutti, sono fortemente legati al passato, molto spesso a generi o musicisti specifici che è davvero impossibile non nominarne le influenze. Certo, il problema è quando si arriva a definire un gruppo derivativo, ma non sembra il vostro caso…
M: No, questo è vero, hai ragione. Mi sentirei davvero male se dovessero chiamarci “derivativi”. Comunque capisco quello che dici, la difficoltà del tuo mestiere… le cose che si leggono in certe recensioni sono spesso molto belle, ci rendono orgogliosi… personalmente sono così attaccato ai dischi dei Supergrass che è difficile lasciarli alla mercé di critiche. Comunque la recensione che mi è piaciuta di più è stata quella di Q di “In it for the money”. Era davvero molto accurata.

Avete composto il disco in Francia. Come vi siete trovati in un paese straniero?
M: E’ stato fantastico. Siamo stati in Francia quattro settimane, durante le quali abbiamo scritto oltre cento canzoni. Da quelle ne abbiamo tirate fuori un paio veramente buone. Ci siamo divertiti molto, che altro posso dire!
R: Abbiamo fatto anche una gita più a sud, fino a Nizza. E’ strano ma ci sentivamo un po’ tutti francesi, c’era un “feeling francese” persino nel nostro approccio alla musica.

In effetti ho sentito dire che il vino e il cibo hanno avuto un’ottima influenza sulla composizione di “Life on other planets”. Tra l’altro mi pare di ricordare che in una canzone parlate della magnifica vista che vedevate dal vostro studio…
M: Sì, sì, è così. Il pezzo si intitola “Evening of the day” e racconta proprio di quello. Eravamo tutti a guardare il mare. Stavamo in una grande villa arroccata sulle colline, circondata da montagne e dal mare. Devo ammettere che ci ha molto ispirati. E il vino ha fatto il resto… .

E’ strano perché si dice che tra gli inglesi e i francesi ci sia tutt’oggi un’antica rivalità…
R: Diciamo che abbiamo tentato in tutti i modi di stabilire dei contatti, di costruire un ponte virtuale tra le due culture (risate, n.d.r.), ma è stato difficile riempire un distacco cresciuto per oltre cento anni… . Personalmente ho trovato i francesi che abitano nei piccoli paesi sulla costa molto gentili e socievoli. Il problema di certa inospitalità forse deriva dal fatto che molti inglesi che vengono in vacanza in Francia pensano di comportarsi come a casa loro. Ma se cerchi di essere rispettoso, magari provando a parlare la lingua del posto, la gente si comporta in modo molto più cordiale con te. Mi spiace solo che non possiamo parlare italiano, in questa intervista.
M: No, purtroppo l’italiano non lo sappiamo. Non ancora, per lo meno.

Adesso che sono passati tre anni dal vostro album precedente, “Supergrass”, come lo valutate? Ricordo che le recensioni non furono così eccelse. Voi stessi, in barba alla promozione, già allora non lo consideravate un capolavoro…
M: Non saprei… ricordo che mi piaceva molto meno dei nostri altri lavori, non ero pienamente soddisfatto di ciò che avevamo realizzato. Però è anche vero che non l’ho più ascoltato, almeno non di recente. Ciò che mi piaceva era il suono complessivo del disco. La produzione è molto “sonica”. Però devo ammettere che non è sicuramente il nostro disco migliore.
R: Io invece sono molto orgoglioso di quel disco. L’ho sentito circa sei mesi fa e credo che le canzoni siano piuttosto buone.
M: Sicuramente penso che certi suoni di quel disco siano migliori del nostro nuovo lavoro, o almeno l’atmosfera generale, come dicevo prima.

Se si ascoltano i vostri dischi uno dietro l’altro ci si rende conto che siete passati attraverso influenze puramente Brit pop, per poi passare ai Beatles, poi ai Rolling Stones e, oggi, al glam rock, al punk e a una sorta di progressive…
M: La connessione più ovvia per alcuni brani è quella con i T. Rex, specialmente la voce di Gaz… anche la chitarra slide… ma è anche vero che il disco risente di molte altre influenze, dal rock ‘n’ roll degli anni ’50, agli Stones… ci sono sicuramente molte più influenze rispetto al passato. “Life on other planets” è molto eclettico.
R: Sto leggendo ora la recensione di Mojo e sembra una sorta di quiz in cui il recensore cerca di indovinare da quali gruppi ogni brano è stato influenzato. E’ incredibile. Certo, è il modo più semplice per un giornalista per descrivere, per illustrare il contenuto di un disco. Però non credo sia molto onesto. Ma d’altronde sappiamo bene che a nessun gruppo piace essere ricordato per le influenze piuttosto che per la sua musica.

Mi pare non siate molto soddisfatti di ciò che i giornalisti scrivono di voi. C’è qualcosa in particolare che vorresti si dicesse a proposito del nuovo disco?
M: Oh, mio Dio, non so proprio! Non sono un bravo scrittore. Ecco perché faccio il musicista… . Sono sempre stato convinto che a una persona che legge una recensione interessi di più sapere qual è stato il processo di realizzazione di un disco piuttosto che leggere una lista di nomi.

Siete tornati a un produttore, per questo album, e ne avete scelto uno molto in gamba, Tony Hoffer (Beck, Air, n.d.r.).
M: Io sono un grande fan degli Air.
R: Penso che un po’ tutti ammiriamo gli Air…
M: Anche Beck ci piace, ma di certo non quanto gli Air… ma il suono di Beck è sicuramente molto interessante. Tony ha lavorato parecchio con loro, però non lo abbiamo scelto subito per quel motivo. All’inizio avevamo contattato altri tre produttori, che abbiamo incontrato, perché noi non abbiamo molta esperienza in fatto di produzione. Alla fine abbiamo semplicemente scelto il migliore. Il lavoro però non si è rivelato più semplice, anzi. Di certo non ci siamo seduti sugli allori, andando in giro a urlare “abbiamo a disposizione uno dei migliori produttori al mondo”… .

Credi che Tony Hoffer abbia catturato lo spirito della vostra musica?
M: Uhm… (ci pensa a lungo, n.d.r.). Sì e no al tempo stesso. Credo sicuramente che Tony abbia portato qualcosa di nuovo al suono dei Supergrass. Qualcosa che non abbiamo mai avuto prima. Forse perché ci siamo sempre autoprodotti. Ha catturato alcuni aspetti del gruppo, mentre altri magari li ha mancati… .

Ve lo domando perché ad esempio il brano “Prophet 15” sembra una canzone degli Air. Mi chiedevo quindi se vi sentiste in qualche modo snaturati…
M: E’ vero. Tornando indietro ad ascoltare i nostri vecchi dischi, comunque, ci sono anche altri brani ispirati agli Air, per esempio “Born again”… credo sia la canzone “più Air” che abbiamo mai composto. Allora ero proprio un fan.
R: Il demo della canzone, che non è molto distante dalla versione finale, venne scritto molto tempo fa, prima che ci mettessimo in contatto con Tony. Comunque credo che lui abbia avuto influenza su questo nuovo disco, ma non poi così tanta come si possa pensare. Lui era molto più interessato al suono dei singoli strumenti, al basso, alla batteria. E anche a noi piace focalizzarci su questo in ogni singolo brano. Ci piace scambiarci gli strumenti.

“Prophet 15” è dedicata a un famoso sintetizzatore degli anni ’70. Vi piacciono gli strumenti vintage?
M: Sì, è così. Quando eravamo in tour negli Stati Uniti due anni fa Gaz ha comprato un Prophet 15. Non facciamo concerti con strumentazione vecchia, però se ci capita di trovare qualcosa vintage che ci piace lo compriamo. E poi è anche vero che la maggior parte di quella roba era estremamente affascinante. Io, per esempio, amo molto gli Add N To (X), un gruppo che usa solo vecchi strumenti.

Di solito il vostro senso dell’umorismo vi porta ad avere dei testi particolarmente interessanti e divertenti. Anche in questo album mi pare vi siate sbizzarriti…
M: Devo dire che ci troviamo molto bene con ciò che scrive Gaz. Ci sono testi curiosi anche in questo album, per esempio “La song” e “Grace”… però è tutta opera di Gaz.

“Grace” è il nuovo singolo e in effetti il testo è curioso. Di cosa parla esattamente?
M: Oh, non possiamo dirtelo! No, scherzo…
R: Credo sia ispirata al caos che c’è in studio quando ti trovi insieme a lavorare, o almeno nel modo in cui noi lavoriamo. Per esempio capita che arrivino ospiti, famiglie intere di amici che in qualche modo ravvivano l’atmosfera. C’erano dei bambini che cominciavano a suonare gli strumenti e noi ci univamo alla jam session. “Grace” parla di questo, del divertirsi a suonare come dei bambini con dei bambini!

A proposito di bambini… l’immagine che per molto tempo vi siete trascinati dietro è proprio quella di ragazzini tremendi devoti al puro divertimento. Non siete stanchi di essere considerati poco seri?
M: Sì, la cosa ci infastidiva. Forse più un tempo che oggi. Quando però ascolti il nuovo album non puoi pensarci come bambini viziati. Questo ci fa piacere. Siamo riusciti a divertirci mantenendo il senso dell’umorismo senza risultare stupidi… .

L’acronimo di “Life on other planets” è “L.O.O.P.”. E’ una cosa voluta?
M: Ci eravamo accorti della cosa prima di dare al disco quel titolo, però è stato più che altro casuale.

Posso chiedervi come mai quando avete dato un titolo all’album stavate pensando alla vita su altri pianeti?
M: Perché Rob è laureato in astrofisica.
R: Già. Questa è una delle ragioni per cui abbiamo voluto un titolo “spaziale”. E poi perché non ci piacciono i cliché. Infatti eravamo proprio “su un altro pianeta” quando abbiamo composto il disco… (risate, n.d.r.). Inoltre Gaz mi ha regalato un telescopio mentre lavoravamo in Francia, e ho avuto modo di far vedere agli altri un po’ di cose, tra cui Giove.

Una curiosità. Credete negli alieni?
R: Oh, è molto difficile per me risponderti. Io credo agli alieni. Ma certamente non credo siano mai arrivati qui. Le distanze in gioco sono enormi…
M: Ma scusa, non è possibile che qualcuno sappia della nostra esistenza?
R: Potrebbe anche essere. Inviamo messaggi nello spazio dagli anni ’50, messaggi del tipo “siamo qui, venite a prenderci”. Però, anche se questi segnali sono stati captati, le dimensioni dell’universo rendono improbabile un incontro. Mi dispiace parecchio, ma siamo condannati a non vedere mai gli alieni.


(Valeria Rusconi)

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