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In occasione della presentazione di 'Stars', la loro prima raccolta, la band irlandese parla di passato, presente e futuro...

Per i Cranberries è tempo di autocelebrazione. Un decennio di carriera, cinque album, milioni di copie vendute ed una manciata di canzoni che fanno ormai parte della memoria collettiva del pop. Ecco quindi “Stars”, raccolta che racchiude 20 brani, due inediti, e un tour che parte ad ottobre. Il tutto a sigillare la chiusura di un periodo.
Cosa succederà in futuro? I quattro irlandesi, che Rockol ha incontrato a Milano, dicono di voler cambiare le carte in tavola, di voler sperimentare. Non si sbottonano neanche più di tanto sul loro futuro discografico: quando chiediamo loro che sarà del contratto con la Universal, che prevede ancora un album di studio, Dolores glissa, ride. Poi disegna un diavoletto ce lo mostra e, sorridendo, spiega: “perché fate i cattivi facendo le domande sbagliate”.


Dieci anni, cinque dischi. Guardandovi indietro, cosa vi è rimasto più impresso nella memoria? Quali sono stato i momenti più difficili e quelli più esaltanti, anche musicalmente?
Dolores O’Riordan: Dopo il successo dei primi due album, ai tempi di “To the faithful departed”, nel ’97, ci siamo trovati davvero sotto pressione. E’ dura cambiare ogni sera stanza d’albergo, vivere con le valigie sempre in mano. Sono morti i miei nonni e io mi trovavo in Australia, non ricordo neanche più dove. Mi sono rivolta ad un psicologo, che mi ha consigliato di staccare per un po’: i due anni di pausa che ci siamo presi sono stati davvero salutari.
Feargal Lawler: Dal punto di vista musicale, è facile ricordare come più esaltanti le cose temporalmente più vicine, dire che i dischi a cui siamo più legati sono gli ultimi. Però non dobbiamo dimenticare il periodo del nostro secondo disco, il successo legato a “Zombie”…
Dolores O’ Riordan: Dal punto di vista delle relazioni interne, invece, la vita di una band è come un matrimonio e i nostri dieci anni assieme non hanno fatto eccezione: se non ci si lascia un po’ di spazio, si finisce con l’ammattire e con il mandarsi al diavolo. Questo errore per fortuna non l’abbiamo fatto: ognuno di noi è libero di avere i propri spazi, le proprie pause, perché questo è il nostro modo di gestire il lavoro, quello che ci permette di essere più freschi sul palco, di godersi di più i tour e la musica che facciamo. Certo, abbiamo avuto alti e bassi, ma siamo ancora qua, tutti seduti attorno ad un tavolo a raccontare le nostre storie.

Questa raccolta è un modo per fare il punto sul gruppo. Ma soprattutto sembra chiudere un periodo. Cosa succederà ora?
Feargal: Certo, la concomitanza del decennale del nostro esordio è stato uno dei motivi che ci ha spinti a pubblicare “Stars”, ad autocelebrarci un po’. Ma è anche vero che in questo momento abbiamo la netta sensazione che nel futuro ci spingeremo un po’ più in là. Questo disco è un album di fotografie, di ricordi; ma in futuro sperimenteremo di più, andando oltre a ciò per cui la gente ci conosce.

In cosa consisterà questa sperimentazione? Possiamo aspettarci qualcosa di radicalmente diverso da quello che abbiamo ascoltato finora?
Feargal: Il suono dei Cranberries, dopo dieci anni e cinque dischi, è ben definito e cristallizzato. E’ facile farsi prendere dalla paura e rimanere vincolati ad una formula consolidata. Sicuramente nel futuro ci lasceremo più libertà nella composizione e nei suoni, senza imporci di essere fedeli al nostro passato. E’ l’unico modo per trovare nuovi stimoli.
Questo è un processo appena iniziato, per cui non sappiamo dove ci porterà, né sappiamo dire ora che suono avremo il prossimo disco.

Tornando alla raccolta, spicca l’inedito “New New York”, in cui parlate del nuovo skyline della città e citate una data, il 30 maggio. Com’è nata questa canzone?
Dolores: La prima volta che siamo stati a New York dopo i tragici fatti dello scorso anno era giugno. Qualche giorno prima, il 30 maggio appunto, i pompieri avevano definitivamente sgomberato l’area dove prima c'erano le torri, dichiarando che ormai era impossibile trovare ancora dei resti umani. In quel momento Ground Zero è diventata davvero tale.
Noi eravamo a New York per suonare e, dopo il concerto, ci siamo fermati a parlare un po’ con dei ragazzi per capire com’era cambiata la città. Ovviamente tutto è diverso: la gente, l’atmosfera… Così ho scritto il testo della canzone, su una base musicale già composta dai ragazzi.

Questa raccolta è uno degli ultimi passi previsti dal vostro attuale contratto con la Universal. Quando vi avevamo intervistato in occasione della vostra partecipazione al Festival di Sanremo avevate espresso alcune perplessità sulla continuazione di questo rapporto in futuro. Come stanno le cose, oggi?
Dolores: Dipende tutto da come si comportano nei prossimi dodici mesi… (ride) Sai, è buffo, perché quello con la tua etichetta è simile ad ogni altro rapporto. E’ basato sullo scambio reciproco, ci sono due parti che devono dare e avere. E in mezzo ci sono un sacco di personalità forti, come in tutto il music business. Ci sono stati periodi duri nei rapporti con la Universal ed altri migliori. E ci sono persone con cui lavoriamo benissimo ed altre con cui proprio non ci troviamo. E bisogna sottolineare che negli ultimi anni un sacco di cose e persone sono cambiate nelle case discografiche.

In questi anni l’Italia è uno dei paesi che vi ha adottato con maggiore entusiasmo, regalandovi un grande successo…
Dolores: Credo che sia soprattutto una questione di attitudine: italiani e irlandesi hanno una mentalità simile, sono paesi simili. Forse per questo piacciamo tanto agli italiani. Di sicuro l’Italia piace a noi. Feargal ha persino comprato una casa in Toscana.

A ottobre partirà un nuovo tour. Che formula adotterete per lo show?
Noel Hogan: Partiremo da Parigi, arriveremo in Italia a metà novembre, il 16 saremo a Milano. Sarà ovviamente legato a questa raccolta, nel senso che la scaletta dei concerti sarà basato sui nostri successi.
Dolores: La nostra fortuna è di avere un suono molto semplice e di essere affiatati come musicisti. Sul palco non abbiamo bisogni di grandi aggeggi, magari per riprodurre campionamenti o cose simili. Se un giorno faremo musica dance, ci toccherà pensarla in maniera diversa. Ma al momento siamo un gruppo che fa musica e basta, senza troppi effetti visivi o cose del genere. Non ne abbiamo bisogno: vedere un gruppo che suona è divertente, guardare qualcuno che manipola dei suoni o gira delle manopole è noioso, per questo hanno bisogno di uno show spettacolare. Noi, alla fine facciamo del rock ‘n’ roll.

Quando finirà il tour, e quando pensate di pubblicare l’ultimo disco del contratto con la Universal?
Feargal: il disco uscirà ad un certo punto del 2003. Ma dipende dal tour: attualmente è programmato fino alla fine dell’anno, ma se andrà bene, potremo prolungarlo fino alla primavera o all’estate del 2003. Se invece ci stufiamo prima, potremo andare in studio all’inizio del 2003, e a quel punto il disco uscirà prima.

Un’ultima domanda: Dolores, hai mai pensato ad una carriera solista?
Dolores: Non riesco ad immaginarmi di lavorare completamente da sola, anche se non si può mai sapere, non mi precludo la possibilità sperimentare qualcosa di simile in futuro. Per il momento penso a questo disco e a questo tour. Comunque, dopo avere pubblicato cinque dischi con i Cranberries, basati su un suono di chitarra, basso e batteria, ognuno di noi abbia voglia di provare cose diverse, ma per il momento l’unica certezza è quello che ho costruito questi anni con questa band.

(Gianni Sibilla)

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