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Il cantautore genovese, De André e la stupidità...

«Che fosse un bel disco, potevo anche crederlo, ma che vendesse pure...». Ivano Fossati commenta così, con malcelata soddisfazione, l’andamento commerciale del suo ultimo album “La disciplina della terra”, disco che ha sancito definitivamente il fortunato rapporto con un pubblico di appassionati che non ha mancato di spedirlo in classifica pochi giorni dopo l’uscita dell’album. Un pubblico che si amplia di continuo, a giudicare anche dalla fortunata tournée che gira in questi giorni l’Italia, e che vede proprio le canzoni del suo nuovo album al centro dello spettacolo. Per il resto l’Ivano Fossati che incontra Rockol non è dissimile da quello incontrato diverse volte nel corso di questi anni: misurato, nemico giurato dell’imbecillità, propenso a ricordare il passato almeno quanto lo è a progettare il futuro nelle sue mille possibilità.

Sin dal titolo, “La disciplina della terra” è una canzone che fa venire in mente una sorta di richiamo all’ordine naturale delle cose, quasi un campanello d’allarme contro un’umanità che sembra sempre più propensa a forzare ritmi e tempi millenari...è un’impressione corretta?
L’impressione è corretta. Ci sono delle regole talmente grandi e trasparenti, non scritte, che noi non siamo neanche più capaci di vederle, e quindi ci opponiamo, cerchiamo di modificarle, di adattarle a nostro piacimento, e questa è una cosa che non ci riuscirà tanto facilmente. E poi c’è un’altra cosa cui avevo pensato, e che è una sorta di controdisciplina; nella canzone parlo dell’andare contro la disciplina inutile delle convenzioni, delle regole inutili. Noi siamo sovraccaricati di regole che vengono dalla convivenza, dal mondo del lavoro, dall’intelletto, dello scambio delle idee, delle opinioni, delle informazioni, ma una gran massa di queste regole in realtà sono soltanto sovrastrutture. E allora lì c’è anche un invito a scardinare ciò che non è strettamente necessario, ad essere e ritornare un po’ più selvatici.

Tu ci stai riuscendo, con il passare degli anni?
Io ci riesco sempre meglio, sì...non ci sono riuscito pienamente, a vivere come un orso, però mi ci impegno fortemente...è una cosa che semplifica i rapporti con la gente e di conseguenza semplifica i rapporti con te stesso. Più chiaro sei con te e più leggibile risulti agli altri, e meno tempo sprechi in convenzioni e convenzionalità inutili e quindi salvi questo tempo per cose più importanti, che riguardano te stesso, la tua serenità, la tua tranquillità, l’aria che respiri, insomma ciò che è davvero importante..

In un’intervista hai detto una cosa che mi ha colpito molto: immaginandoti in un futuro senza fare dischi dicevi, “tornerò a studiare il pianoforte”... mi sembra un concetto molto bello, che sottintende un altro tipo di disciplina...
E’ una possibilità della vita, che ognuno di noi ha davanti. Molti non le vogliono vedere le possibilità di cambiare strada, mentre io le prendo in considerazione...ricordo di aver anche detto, in quell’intervista, che fino a quando mi sarà possibile fare la mia musica in totale libertà e con i mezzi che sono necessari, la farò, ma il giorno in cui dovesse venire meno questa possibilità mi dedicherò a studiare, che è una cosa che mi sta altrettanto a cuore dell’idea di fare la musica.

Mi parli di “Invisibile”? Mi sembra una canzone che ti sta molto a cuore...
“Invisibile” è una canzone sull’incapacità di vedere le cose, e diventare progressivamente ciechi davanti a ciò che invece è fondamentale. Ci sono persone che vedono perfettamente i particolari e sono cieche alla sostanza, purtroppo sono in aumento... ad esempio la specializzazione forsennata ha creato individui che sanno fare perfettamente una cosa: ho conosciuto molte persone che di un tema sanno tutto e che sono dei semideficienti su qualsiasi altro argomento! Io ho una grande paura di persone così, perché incarnano la progressiva incapacità di non vedere il nucleo delle cose, che è una cosa che va tenuta sempre a fuoco, altrimenti ti sintonizzi sulla periferia dei pensieri, dei sentimenti,. delle cose.

Non è – quindi - una canzone sul tuo voler essere invisibile...
E’ anche questo, è anche un omaggio a tutte le persone che non amano mettersi sotto i riflettori, è tutte queste cose insieme... il concetto di invisibilità è talmente ampio e profondo che non sarei stato sicuramente capace io di esplorarlo tutto, è talmente aperto che si può scrivere e dire e pensare molto. E’ un tema affascinante, perché è come se contenesse molte piccole finestre, è un tema che non si presta molto alla banalità per fortuna, ma deve essere affrontato con la dovuta accuratezza e profondità.

”Treno di ferro” torna a parlare del tema della guerra, che ti sta molto a cuore... Sì, per forza, perché siamo circondati continuamente da guerre, viviamo in un fazzoletto di terra – l’Europa – dove si vive con relativa tranquillità ma siamo circondati continuamente da sommovimenti, da guerre di ogni tipo; di etnia, di religione... quindi come non vederla? Mi stupisco – anzi - di chi non ne parla...

L’anno scorso avevi suonato a Sanremo, provocando polemiche ‘strumentali’ per la frase estratta da una lettera di San Paolo e passata in sovrimpressione durante la canzone “Mio fratello che guardi il mondo”: che valutazioni dai di quanto successo quest’anno a Sanremo con Jubilee 2000?

Da un lato come condannare le cose quando alla base c’è un intendimento che è sicuramente positivo? Quindi come condannare il concetto relativo alla cancellazione del debito dei paesi del terzo mondo? Sono banalità universali, come quando uno dice “sono contro la guerra e la violenza”: come condannare? Ci sono però tutta una serie di sfumature che rendono le cose molto più complesse... se mi potessi fidare della politica e della diplomazia preferirei affidare a loro a queste cose, purtroppo però siamo abituati a veder trionfare interessi politici ed economici, per cui ormai ci siamo abituati a trasferire le problematiche sulle spalle dei cantanti, leggendoli però in una veste semplificata e molto meno faticosa. E cose del genere non possono essere ridotte a una trattazione da palcoscenico di Sanremo.

Tra questo e il tuo precedente album di studio c’è stato il lavoro con Fabrizio de André, album uscito nome del solo Fabrizio nonostante si sia trattato a tutti gli effetti di un album a quattro mani: cosa ricordi di quel lavoro e cosa proponi di quell’album nei tuoi concerti?
Io ho un ricordo bello perché la fase di scrittura insieme a Fabrizio fu un periodo bello e divertente, poi il disco diventò a tutti gli effetti un album di Fabrizio: ho già detto che tutto sommato mi fa piacere, perché la sorte ha voluto che quello fosse il suo ultimo disco, allora credo che sia stato anche meglio che sia uscito tutto firmato da lui, che abbia parlato a suo nome... dal vivo faccio “Anime salve” e “Ho visto Nina volare”, che è una canzone cui sono molto legato perché mi ricorda gli inizi del lavoro con Fabrizio, i nostri viaggi al sud dell’Italia in cui cercavamo le storie da raccontare. Volevamo storie che diventassero il disco... mi ricordo il periodo di quei viaggi, in mezzo alla gente del sud a sentire racconti e storie, un momento divertente, dove siamo stati bene e abbiamo imparato molto dalle cose che abbiamo ascoltato.

Cosa ti capita di ascoltare invece facendo il tuo lavoro?
Le stesse cose che può ascoltare un avvocato, che è una categoria che ne sa di inimmaginabili. Comunque tutti sappiamo storie incredibili, alcune sono talmente incredibili che sarebbe impossibile farne una canzone. Forse sono cose più adatte ai commediografi...

Con chi vorresti lavorare ancora a quattro mani?
Lo farei volentieri, non ho nessun tipo di preclusione, ma non lo farei con uno che fa il mio stesso lavoro, credo che sia più interessante con qualcuno che vede le cose da un’angolazione diversa. Che so, uno scrittore, un architetto, un regista....

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