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Il maestro del p funk racconta pubblico e privato: 'un bel disco in onore di mio figlio...'

Qualche anno fa faceva parte di una band di indie rock insieme a quelli che poi sono diventati gli Air. poi ognuno ha preso la sua strada. JB e Nicolas (gli Air) hanno pensato un pop intergalattico astratto, che potesse suonare “giusto” per le nuove generazioni. Alex invece, dopo un periodi di ricerca in territori tra il trip hop, l’house e l’acid jazz è approdato al funk, a quel funk astrale che oggi rappresenta con cura e dovizia di particolari in “You my baby and I”, il suo disco d’esordio di cui ci ha parlato in occasione del suo DJ set ai Magazzini Generali di Milano.

So che hai dedicato questo disco a tuo figlio. Il titolo stesso dovrebbe essere una dedica diretta al tuo piccolo nucleo familiare, vero?
“Sì, ho scelto di titolare il disco in questo modo anche per citare uno dei brani più riusciti di hip hop, “Me myself and I” di De La Soul. Ma la ragione di questo titolo è dovuta soprattutto alla nascita di mio figlio. Ha undici mesi. Praticamente quando è nato io ho iniziato ad entrare in studio di registrazione per la realizzazione di questo disco. E’ stato quindi un periodo strano. Da una parte il concepimento di questo album d’esordio, dall’altra questa nuova, grossa responsabilità, questo nuovo ruolo di padre. Sono stati due elementi che si sono accavallati e, probabilmente hanno in qualche modo influito anche sulla realizzazione di “You my baby and I”.

In che modo hanno influito sui brani del disco?
“Non so spiegare. Non sicuramente sulla musica in sé, quanto sulla sua realizzazione. Quando diventi padre improvvisamente cresci. Non sei più lì a guardare te stesso e basta. E poi vedi molto più chiaramente quali sono le scelte, le cose importanti da portare avanti. Credo che tutto questo mi abbia aiutato a fare di “You my baby and I” un disco migliore”.

Quindi rispetto ai tuoi lavori precedenti sei cresciuto, hai sviluppato il tuo discorso musicale….
“Sicuramente. Ma già dall’inizio, quando registrai ad esempio “Gopher EP”, sapevo già che quello non era il mio punto d’arrivo. Quel disco, così come le altre produzioni che sono venute dopo sono stati soltanto una sorta di preparativi. Piccoli passi di una persona che stava cercando il proprio stile. E’ per questo che ho aspettato così tanto prima di incidere un album. Con la musica elettronica l’errore in cui si può incappare è proprio quello di voler incidere subito un disco. Il problema è tutti sono capaci di usare le macchine. Ma tra usarle e fargli fare quello che vuoi tu, creando uno stile ben definito, beh, c’è una bella differenza. Io ho cercato di aspettare proprio per non incappare in questo sbaglio e creare qualcosa di anonimo, di meccanico”.

Pensi di essere riuscito in questo scopo? Credi di essere pienamente conscio di quello che puoi fare con le macchine?
“Non è nemmeno tanto quello il problema. Certo, rispetto a qualche anno fa le macchine le conosco meglio e quindi riesco a farle fare quello che voglio. Ma se mi guardo indietro e guardo a “You my baby and I” capisco di aver raggiunto un suono in cui c’è uno spessore musicale e culturale che molti dischi di oggi non hanno”.

Quando parli di spessore culturale penso che tu stia chiaramente riferendoti alla matrice funk del disco…
“Hai perfettamente ragione. Il mio disco è strettamente legato al funk. Nel funk puoi trovare elementi di blues, di jazz, di rock e pop. E’ per questo che mi piace: è eclettico, è un melting pot in cui ci sono molte matrici sonore diverse. Io assorbo tutto questo attraverso il funk e cerco di inventarmi il mio funk elettronico usando le armi che oggi ci può dare la tecnologia”.

Il risultato è una specie di p funk per il futuro, funk pensato per qualche nuova galassia….
“Oh, dovevo farti scrivere il comunicato stampa. Hai azzeccato in pieno quello che volevo fare con “You my baby and I”.

Questa tua propensione al funk è confermata non solo dallo stile chiaramente funkadelico di certi pezzi ma anche dalla presenza di un ex componente dei mitici Parliament: Clip Payne. Come sei entrato in contatto con lui?
“All’inizio degli anni 90 lui era venuto a Parigi a trovare un amico di Nicolas. Andammo con lui in studio a registrare qualcosa. Rimasi impressionato dalla sua personalità. Un anno e mezzo fa, quando iniziai a raccogliere le idee per registrare “You my baby and I” gli mandai un demo di “Time” (il primo pezzo dell’album, n.d.r.). Ci tenemmo in contatto e alla fine lui mi rispedì il nastro con in più la sua voce. E fu meraviglioso perché aveva registrato proprio quello che mi sarei aspettato da lui. Aveva capito al volo ciò che volevo senza che gli chiedessi nulla. Così l’ho chiamato a Parigi per registrare insieme “Time”. Quando è arrivato mi ha consigliato di chiamare un altro suo amico, Gary Cooper (anche lui del giro Parliament, n.d.r.). Con questo nuovo arrivo abbiamo scritto, nel giro di pochi giorni, altri due brani, “Party people” e “Quiet storm”, ovvero i miei due brani preferiti dell’album”.

Il mio pezzo preferito invece è “Consolidated”. Credo che sia il più “diretto”. Perfetto per la pista da ballo.
“Sì, può essere, anche se non sono molto interessato a fare musica da ballare. Poche volte faccio il DJ. A Parigi mi piace partecipare alle serate “one off”. Tra qualche settimana per esempio faremo un party su un barcone, sulla Senna. Lì mi piace suonare perché è una situazione diversa da quella tradizionale del club. Ma per un musicista passare tanto tempo nei club credo sia controproducente. Alla fine passi le notti nei club, ti svegli tardi alla mattina e le idee vengono a mancare. E’ un modo di vivere assolutamente malsano. Non ci riuscirei a fare il DJ resident in un club. E poi sai una cosa: cedo che sia proprio per questa ragione che a Parigi, al momento, si stia producendo così tanta buona musica da ballare. Perché i produttori di musica dance di Parigi non sono quasi mai DJ incalliti ma piuttosto gnete che lavora tanto sulle proprie idee”.

“You my baby and I” quindi è più un disco da ascolto che non musica per ballare?
“Assolutamente. Fare musica elettronica non sempre vuol dire fare musica dance, anche se devo ammettere che per il prossimo album ho già in mente qualcosa di più mosso, che possa far ballare la gente”.

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