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Parigi? No, grazie, meglio Londra. Là la gente è troppo stronza...

Minimalismo, easy listening , pop, lounge music, un particolare amore per tutto ciò che suona analogico (soprattutto le tastiere). Tim Gane e Laetitia Sadier, in arte Stereolab, sono sempre stati associati a questa serie di concetti. I dischi precedenti, soprattutto “Dots & loops”, mettevano in scena un suono minimalista, gravitante attorno a una cultura “alta” che curiosamente entrava in rotta di collisione con un concetto pop e di basso profilo come lo space age pop. Questa volta, con “Cobra & phases group play voltage in the milky night”, pur non abbandonando questi due elementi, sembrano volersi discostare da essi e assumere un suono più vario e, in definitiva, più accessibile. Abbiamo parlato di questa svolta con Tim.

Minimalismo è sempre stata una delle parole chiave per capire la musica di Stereolab. O perlomeno lo era, fino a “Dots & Loops”, il vostro disco precedente. Mi sembra invece che in questo nuovo album le cose siano cambiate, che il minimalismo sia sì importante ma non prevalente nell’economia dei pezzi….
“Sicuramente c’è questo stacco tra “Dots & loops” e “Cobra & phases….”. Ciò che crea questo cambiamento è anzitutto la parte ritmica. In passato collezionavo partiture ritmiche. Le accatastavo una sull’altra. Non c’era tanto una vera e propria progressione nel pezzo quanto un susseguirsi di ritmi diversi che creavano variazioni minimali. Partendo da questo scheletro ritmico creavamo delle “canzoni”, dei brani attorno a cui poi sviluppare delle melodie. Quindi il punto di partenza era la cadenza metronomica dei ritmi più che le melodie. Un punto di partenza attraverso cui poi valutavo quali accordi potessero essere assimilabili alle ritmiche e stavo ad osservare, quasi da estraneo al processo compositivo, dove potesse andare a finire la musica, che evoluzione potessero avere la voce di Laetitia piuttosto che non le linee di basso o le partiture per la chitarra. Questa volta invece il lavoro è stato molto più spontaneo. I ritmi sono importanti ma si sono formati insieme a tutto il resto. Questa volta non mi sono basato su una serie di ritmiche precostituite. Ho lasciato che il pezzo si evolvesse con maggiore dinamicità”.

Credo che questa dinamicità venga a galla perfettamente in “Cobra & phases…”, un disco che a tratti fa pensare al funk…
“Questa osservazione riporta ancora alla natura primaria dei ritmi. Se in passato tendevo a campionare ritmi jazz o brasiliani, questa volta mi sono servito anche di ritmiche funk”.

Un altro elemento che allontana Stereolab e “Cobra & phases” dal minimalismo degli album precedenti è garantito dagli arrangiamenti per archi e per fiati che avete usato in quest’ultimo lavoro….
“Ciò che abbiamo cercato di fare in questo disco è stato accumulare elementi diversi che potessero dare spessore al pezzo in termini di emozioni e allo stesso potessero garantire un effetto sorpresa costante. Anche il modo in cui abbiamo usato gli archi e i fiati vuole arrivare a questo risultato. Gli interventi di archi e fiati infatti non sono predominanti all’interno del pezzo. Entrano ed escono in modo discontinuo in modo che creino una continua evoluzione. E poi questa volta, forse ancora più che nei dischi precedenti, abbiamo cercato di usare questi elementi creando delle contraddizioni, cercando di creare un andamento schizofrenico all’interno dei brani”.

Che ruolo ha avuto Jim O’Rourke (uno degli artisti chiave della scena post rock di Chicago) in questa “svolta” degli Stereolab? Quanto è stato importante il suo lavoro in veste di produttore?
“E’ stato molto importante. Per esempio, nella scrittura dei testi mi ha insegnato ad essere molto più diretto che in passato. Di conseguenza questa volta il cantato di Laetitia è meno “esoterico”, è più diretto e quindi dà un senso di immediatezza che mai abbiamo avuto in passato. In un certo senso Jim ci ha avvicinato al pop”.

Anche John Mc Entire (altro guru della scena di Chicago) ha preso parte alla produzione di “Cobra & phases”….
“Sì, ed anche con lui è stato molto interessante lavorare, soprattutto perché lui è uno entusiasta di quello che fa. Ama la musica alla follia e quando si era in studio e si trovava un suono piuttosto che una melodia lui urlava come un pazzo, come se fosse allo stadio e la sua squadra avesse segnato il gol più importante del campionato. E’ bello lavorare con una persona così. Ma al di là della sua attitudine positiva verso le cose, anche John ci ha aiutato ad essere più diretti. Lui è sempre pronto a sperimentare sui suoni e a cercare melodie inusuali, ma ha sempre ben presente il fatto che si debba rimanere spontanei. Per lui è più importante seguire il flusso della musica e cogliere via via i dettagli piuttosto che concentrarsi all’infinito su un singolo suono”.

A Parigi, la città di Laetitia, c’è un gran fermento, soprattutto per quanto riguarda la musica elettronica. Avete mai pensato di trasferirvi là, di “mollare” Londra?
“Londra è troppo grande per riuscire a fuggire da qui. Forse un giorno me ne andrò. A Parigi comunque non potrei vivere. La gente è troppo stronza. Se la tira. E poi credo che sia molto difficile fare musica là. No, credo che il nostro futuro sarà legato ancora per un bel pezzo a Londra”.

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