Ultrasound sembrano la versione rock di quella generazione di “vinyl junkies”, di DJ assetati di dischi che pensano musica come ad un’accumulazione di suoni diversi. Il loro primo disco, “Everything picture”, ne è la prova concreta. Un patchwork a base di rock’n’roll dunque? Una furba sintesi di tutto ciò che è stato il rock fino ad ora? Niente di tutto questo, perché Ultrasound hanno dalla loro un’onestà di intenti che gli fa usare il linguaggio del rock’n’roll come canale attraverso cui convogliare le loro emozioni, il vero punto di forza, l’elemento vincente di un disco teso, emozionante, sincero, dall’inizio alla fine. Ne abbiamo parlato con Richard Green, il chitarrista della band nonché ideatore, insieme a Tiny, di questa sorprendente band inglese.Da dove parte l’avventura Ultrasound?
“Ci siamo incontrati in un college, a Newcastle. E’ lì che siamo nati. E’ da lì che veniamo tutti quanti. Ai tempi del college però non c’era nessun tipo di legame tra di noi. Non ci frequentavamo. L’unica cosa che avevamo in comune era il fatto di essere appassionati di musica e di suonare tutti in diversi gruppi. Così, bene o male, ci si conosceva già di vista, perché di fatto il giro era quello delle band del college, ma è stato soltanto quattro anni fa circa che Ultrasound ha iniziato a prendere forma. Io e Tiny abbiamo iniziato a frequentarci un po’ di più. C’è stato un buon feeling fin dall’inizio. Abbiamo scritto qualche canzone insieme e le cose hanno iniziato a svilupparsi. Poi sono arrivati Matt (Jones, tastierista, programmatore), Vanessa (Best, bassista) e Andy (Pears, batterista). Tutti avevamo un’idea comune in testa: andarcene da Newcastle. Andare a vivere a Londra per vivere di musica. L’idea comune era quella di vivere di musica, di formare una band”.
Una band strana, che ha dato vita a un disco, penso, tra i più eclettici degli ultimi anni. Un disco in cui c’è di tutto. Dal rock, al pop, al glam e chissà cos’altro….
“Sì, “Everything picture” è un album che rispecchia pienamente ciò che siamo. Una band i cui elementi sono stati esposti a qualsiasi tipo di suono, a qualsiasi genere musicale”.
Potresti farci un esempio?
“Oh, credo sia impossibile. Ho ascoltato così tanti dischi nella mia vita, così tanti album che mi hanno segnato che non basterebbe tutta la notte per compilare una lista. Se Tiny, Matt, Vanessa o Andy fossero qui al mio posto, ti risponderebbero allo stesso modo”.
Okay, ma ti ricordi, ad esempio, qual è stato il primo disco che sei andato a comprare in un negozio di dischi?
“Electric avenue” di Eddy Grant”. Era un singolo”.
Oh, quindi sei partito dal reggae. Nulla a che fare con il rock di Ultrasound…
“Già. Anche se questo è stato solo l’inizio. Potrei citarti gruppi come My Bloody Valentine, Sonic Youth, Jesus & The Mary Chain, tutte band che hanno a che fare con il concetto di musica “rumorosa” che piace a noi. Ma questo sarebbe limitante. Direi piuttosto che negli anni ho ascoltato soprattutto un sacco di rock’n’roll. E’ questo il nostro punto di partenza ed è anche dove vogliamo arrivare, senza per questo suonare “retrò”. Rock’n’roll infatti è un genere a cui si guarda con un po’ di sospetto in questi ultimi anni. Ma a noi non interessa. Noi non neghiamo le nostre influenze. Anzi. Siamo consapevoli che la musica di Ultrasound avrà innegabili echi di ciò che abbiamo ascoltato nella nostra vita passata, ma questo non vuol dire che non si possa essere originali.
Quale pensi che sia il segreto per non “suonare obsoleti”, per non essere una band nostalgica di rock’n’roll? Io credo che in “Everything picture” il segreto stia in quanto voi filtriate il vostro background musicale, rivitalizzandolo con le vostre emozioni….Che ne pensi?
“Le emozioni sono sicuramente parte integrante, anzi, l’elemento principale della nostra musica, che diventa una sorta di sfogo, di terapia di gruppo per esprimere emozioni e sentimenti che non riusciremmo ad esprimere pienamente in altri modi. Con la musica ci riusciamo in modo naturale, senza forzature”.
Ma quale credi che sia il modo migliore per tradurre le emozioni in note?
“Cercare il meno possibile di suonare i propri strumenti, non catalizzare la propria attenzione sugli strumenti, sulla tecnica, ma pensare alla musica, al flusso che la musica può raggiungere liberamente, al di là delle regole del pentagramma, degli effetti più o meno sofisticati che raggiungi con la tua chitarra o di qualsiasi altra cosa che riguardi aspetti tecnici”.
Che tipo di sentimenti avete cercato di esprimere in “Everything picture”. Il mood di tutto il disco sembra avere a che fare con emozioni forti, con sentimenti come la solitudine, la disperazione….
“Sì, proprio così”.
Come mai tutta questa disperazione?
“Non saprei spiegare in parole il perché. So soltanto che ci è venuto naturale scrivere canzoni come queste. Probabilmente era quello di cui avevamo bisogno. Avevamo bisogno di buttare fuori queste sensazioni. La musica ci ha aiutato a farlo. E poi, questo tipo di emozioni sono quelle che più ci hanno aiutato a modellare il suono di Ultrasound come lo abbiamo sempre voluto”.
In che modo lavorate sulle vostre canzoni? Il risultato finale farebbe pensare a un approccio libero dalle regole della forma canzone. farebbe pensare a voi, chiusi in una stanza, a suonare per ore e ore, facendo jam session…
“Assolutamente no. Tutto parte da una melodia, dall’elemento primario di una pop song. Che la scriva io o Tiny non ha importanza. Una volta scritta la si fa sentire agli altri del gruppo e ognuno ci aggiunge qualcosa. Tiny scrive le parole. Ci aggiunge a sua volta qualche melodia. Tutti gli altri danno il loro contributo mettendo qualche idea, qua e là. Così alla fine, da una melodia molto spesso ci troviamo in mano un pezzo che fa pensare a qualcosa di “progressivo”, a un brano che sa di jam session”.
Musica che fa pensare a qualcosa di trasversale, che va oltre ogni suono. Credo che il nome scelto per la vostra band sintetizzi molto bene questo modo di concepire la musica….