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Harper

Integrità e intensità. Incontrare Ben Harper significa avere a che fare, per qualche minuto, con tutto questo; con una musica che sembra fuori dal tempo e che invece è già diventata un classico. Ha il ruolo di un predicatore di anime, Harper, ma senza retorica o sforzo alcuno; semplicemente, la sua musica va dritta fin lì, e se non trova niente è capace di squarciare tutto. Per questo a Imola il suo set è stato il più importante, per questo anche chi non lo conosceva si è innamorato della sua musica, per questo Rockol lo ha incontrato per fare due chiacchiere.

Sul tuo disco "The will to live" hai inserito una fotografia molto forte (si vede una mandria di animali morti quasi completamente seppellita dalla sabbia del deserto, mentre alcuni di essi sono stati anche già sbranati, probabilmente da altri animali di passaggio, ndr): perché?

Credevo fosse un’immagine potente, che si sposava bene in un tutt’uno con il titolo del cd e con il suo contenuto. Ha un forte contrasto nei confronti della musica che faccio.

Il concetto comunque è sempre lo stesso: the will to live....

Sì.

Anche se si parla di morte...

Be’, sono due cose, la vita e la morte, fortemente collegate, e si riflettono l’una nell’altra. Spero che dalla foto questo si capisca.

Nei testi dell’album parli spesso proprio di questa duplice natura delle cose, di come vivere sia già morire, conoscere una persona sia in un certo senso già lasciarla e altre situazioni del genere. E’ una problematica che vivi intensamente?

Sì, sono abbastanza confuso, come tutti del resto. Cerco di trovare un mio livello di chiarezza nella mia vita, per mantenere una sorta di equilibrio e una certa sanità di mente. Ci sono momenti in cui mi chiedo cose ovvie, altri in cui penso a cose irrazionali, a ciò che conosco e a ciò che è sconosciuto; sono solo alcune domande, a cui non so dare sempre una risposta. Cerco di crescere e di diventare un po’ più sicuro, tutto qui.

Quanto la musica ti aiuta in questa ricerca?

La musica per me è la voce della mia creatività, è ciò che mi permette di spiegare le mie emozioni. Viene dal mio nucleo, dalla mia parte più nascosta e profonda.

Sei considerato un bluesman moderno: si pensava non ci fosse più spazio per questa musica e invece tu hai dimostrato di poter ancora coinvolgere le persone con il suono dell’anima. Ci credevi quando hai iniziato?

Ci ho sempre creduto, e comunque abbiamo dovuto faticare non poco per trovarci un nostro spazio. Non è facile entrare a far parte del mondo della musica pop.

Come hai vissuto l’idea di far ascoltare la tua musica al mondo?

Era eccitante, mi piaceva l’idea di poterlo fare, è stata sempre una sfida quella di fare ciò che volevamo mantenendo al tempo stesso una nostra integrità. Non mi spaventa quanto duramente si debba lavorare per portare questa musica alla gente, è comunque una cosa appassionante.

E’ ciò che avevi sempre voluto?

Sì, da sempre.

Scrivi dei testi molto belli: hai mai pensato di scrivere un libro di racconti, poesie, oppure un romanzo?

Non credo che sarei capace: ci ho pensato, ma credo che dovrei mettere da parte per un po’ la musica e dedicarmi a quello. Siccome la musica continua comunque ad essere al centro dei miei pensieri, non so se avrò mai la possibilità di fare una cosa del genere. Non riesco a separare le cose nella mia mente.

Hai deciso di dedicarti ad una chitarra particolare, come la slide: perché?

Credo che quello il modo più forte con cui posso esprimermi musicalmente e connettere la musica ai testi che scrivo. Ho bisogno della slide.

E’ un suono che hai sempre amato?

Assolutamente, più di qualsiasi altro suono. Il suono della slide mi ha fatto affiorare dentro ciò che avrei voluto comunicare.

Come riesci a trovare il tempo per scrivere le tue canzoni?

Lo faccio di solito quando sono in tour, anche perché non ho altra scelta. Siamo on the road da cinque anni, ormai. A volte mi capita di avere qualche giorno off e allora vado a casa e scrivo lì.

Un festival come questo offre la possibilità di suonare di fronte ad un pubblico enorme: ti senti più a tuo agio qui oppure preferiresti un piccolo club?

Credo che siano entrambe situazioni da provare, mi piacciono entrambe, puoi comunque avere un rapporto molto individuale anche con tante persone. Basta concentrarsi sulla musica, sull’energia che hai intenzione di trasmettere con il tuo suono. Non devi pensare a quanto è grosso il palco, ma all’intensità e alla qualità di quello che stai facendo. E’ così che arrivi al cuore delle persone. Festival o club? Mi piace che esistano entrambe queste realtà.

Chi sono i musicisti che apprezzi di più per la loro integrità e intensità?

Jimi Hendrix sicuramente... Bob Marley, Sly Stone, Kurt Cobain...

Ti piacerebbe fare qualcosa con Sly Stone?

Anche subito....mi dovrebbe chiamare lui però, perché io non ne avrei il coraggio. Mi piacerebbe anche lavorare con Bob Dylan, George Harrison, grandi musicisti così...

Pensi che ci sia ancora spazio nel terzo millennio per il suono della slide guitar?

Sì, ce la sto mettendo tutta per portare quel suono il più avanti possibile...

So che tra poco incontrerai Jovanotti: da cosa nasce questo incontro?

Lui vuole conoscermi, e a me piace molto la sua musica. Non so citarti delle canzoni precise, ma quello che ho ascoltato è molto interessante.

Potreste fare qualcosa insieme?

Perché no? Da parte mia sono disponibile. Adesso ci conosciamo e poi vedremo cosa succederà...

Prossimi progetti?

Concerti. Concerti fino alla fine dell’anno.

E poi un disco dal vivo?

No, un album dal vivo è uscito di recente negli States, sai un cd con 5 o 6 pezzi. Piuttosto credo che torneremo in sala per un nuovo album: le canzoni per la maggior parte sono già pronte....

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